Gennaio
2017, fanno 18 anni dalla morte di De André, formidabile cantautore e poeta
genovese che ricordiamo nel titolo di questo breve report.
Marzo 2017,
faranno 18 anni dalle bombe sulla Serbia e sul Kosovo e Metohija, già ex
Jugoslavia, ma anche 18 anni dall’inizio delle nostre attività in favore dei
serbi, profughi dal Kosovo ma anche semplicemente coinvolti nel dramma
collettivo del post bombardamenti.
18 anni
riportano a età adulta e quando si arriva a età adulta c’è bisogno di lasciar
andare, di mollare la presa e far proseguire il cammino con le proprie gambe
all’adulto di turno. Il ricordo di De André, così come la nostra presenza fra
quelle persone e fra quei luoghi, hanno in comune proprio questo: la necessità
di prendere la propria strada, nella storia, nelle coscienze.
Ad
accomunarci un amico genovese, Giuseppe, che da qualche tempo non c’è più
ma che continua a vivere nella realizzazione delle nostre iniziative che così
tanto aveva sollecitato e sostenuto. In suo nome, questa nostra tignosa
presenza fra i dimenticati, i serbi, descritti prima come criminali e
nemici, ora semplici braccia da sfruttare, alla mercé di disinvolti avventurieri
della finanza, pronti a fiutare affari nelle agevolazioni di un governo che
sembra non aspettare altro che dimostrare all’Unione
Europea la propria affidabilità che, tradotta in termini coorenti, significa
abbassamento delle tutele sociali, collettivizzazione degli oneri, privatizzazione
dei profitti.
A Giuseppe i
serbi piacevano. Piaceva la loro testardaggine, un po’ montanara, un po’ contadina,
il loro saper rinunciare, il loro farsi bastare anche la miseria, se necessario.
Serbi come Bilijana Rakić, che vive a Konarevo, nel comprensorio di Kraljevo.
Bilijana coi suoi due figli Jovan e Mihailo, è rimasta vedova tre anni fa.
Sola, è stata costretta a lasciare la sua casa, la casa del marito, nella quale
è ritornata due anni fa, alla morte del cognato che quella casa aveva rilevato.
I ragazzi, due anni fa in vacanza al mare, vacanza anch’essa finanziata da Un
Ponte per... a Baošiči, in Montenegro, sono anche inseriti nel progetto di
sostegno a distanza che, in collaborazione con il nostro partner, la Croce
Rossa Serba di Kraljevo, raggiunge decine di famiglie in stato di estrema
povertà.
Ma Bilijana
è stata coinvolta anche in un'altra iniziativa, la fornitura di oltre venti serre
agricole fra famiglie di Kraljevo e dei villaggi serbi della Metohija, una serra che le ha
permesso di coltivare oltre il ciclo normale di produzione che, da queste parti
(in questi giorni la temperatura è scesa anche oltre i meno 20 gradi!!!) è di pochi mesi.
Bilijana ci
mostra il suo congelatore pieno di prodotti frutto del suo lavoro e un bel giaccone comprato per uno dei figli: “E' così che uso i soldi del
sostegno”, ci dice. Un sostegno globale, dunque, dalle vacanze al mare, momenti
di spensieratezza così necessari nella vita dei due ragazzini (ai quali,
però, entrambi quest’anno hanno deciso di rinunciare per non lasciare sola la mamma ed
aiutarla nei lavori nella serra...), al sostegno a distanza, rapido, concreto,
sempre efficace, passando per questa serra che, grazie a quella poca terra che
ha a disposizione intorno casa, rappresenta una ricchezza perché offre la possibilità di lavorare. Lavorare per un futuro che
sia anche solo un po’ migliore rispetto a un passato che, se non potrà essere
dimenticato, potrà almeno essere ricordato con la giusta dolcezza e malinconia.
Stesse scene
o quasi presso altre due famiglie che visitiamo, non senza esserci persi con l’auto
della Croce Rossa fra stradine di campagna innevate e ai limiti della
praticabilità. Cambiano però gli attori, che esigono la stessa attenzione e lo
stesso coinvolgimento emotivo. Del resto, siamo sempre proprio tutti coinvolti.
La famiglia
Vukičević è stata abbandonata dal marito/padre e mamma Snežana è rimasta con l’anziana
madre e i suoi 3 figli: Marko, che è stato in vacanza in Italia proprio vicino Genova, a
Celle Ligure, qualche anno fa, quando incontrammo anche Giuseppe, con noi
organizzatore e finanziatore di quell’iniziativa, che rimase volentieri fra noi a parlare, sorridere, mangiare, giocare a biliardino, in momenti splendidi...
Marian, che è stato l’estate scorsa a Baošiči, in vacanza al mare... Marina,
che è molto di aiuto per la mamma. Sneža ci mostra una vecchia serra dove ha
messo a germogliare le sementi, pronte a diventare piantine ed essere trapiantate nella “nostra” nuova
serra, ora a riposo e che spera potrà darle un raccolto come quello di quest’anno.
Infine, la
famiglia Todorović che conosciamo per esserci già stati un’altra volta e per i
due figli di Milenko, Milan e Ivan, anche loro in Italia a Celle Ligure.
Milenko vive solo con loro, la moglie se ne è andata anni fa. La serra è stata
molto generosa, grazie al lavoro di tutti, anche se Milan, che si fa chilometri
e chilometri sia per andare a scuola, come il fratello Ivan, che per andare a
giocare a pallone, non riesce sempre a stare dietro al padre. Milenko insiste
per regalarci ajvar, sorta di patè di peperoni gustosissimo e l’immancabile rakija
distillata in casa. Ringrazia tutti, Milenko, per il sostegno a distanza ma
anche e soprattutto per la serra. Ne è contento, è davvero un mezzo
prezioso per riuscire a produrre quella cosa cui nemmeno un serbo può
rinunciare: cibo da mangiare!
Questo
nostro testardo continuare a stare fra queste persone, profughi dal Kosovo o semplicemente ridotti in miseria dalle conseguenze dei bombardamenti Nato, in mezzo a
questi luoghi sempre più poveri ha un significato preciso, che va oltre l’umana solidarietà
con chi se la passa male e non è iniziativa che potrebbe essere riproposta in altri luoghi, come
un "pacchetto vacanze". No, questo nostro permanere dopo diciotto anni a fianco
dei serbi è frutto di scelte di campo precise, fatte al tempo dei bombardamenti
Nato, nel ’99, ma anche prima, durante le sanguinose guerre jugoslave degli
anni ’90.
Come detto
già, è un bambino diventato adulto, nato in mezzo a bombe infami, in mezzo a
menzogne che ce lo presentavano come criminale e nemico. Bombe sganciate a
favore dei veri criminali e delinquenti, coloro che oggi hanno in mano il “Kosovo
indipendente”, quei fondamentalisti, fanatici irredentisti che propinano sogni di grandi
Albanie.
Viene da
sorridere, francamente, nel vedere le proteste contro Trump, appena insediatosi
alla Casa Bianca, da parte di pseudo pacifisti con le bandiere della pace indosso.
Forse a costoro piaceva certamente di più la democratica e affabile Hillary
Clinton, moglie di Bill, la cui statua bronzea svetta al centro di Priština, riconosciuto
come padre fondatore della patria albanese kosovara, dispensatore generoso di
bombe, di uranio impoverito e di soldi, tanti soldi alle mafie locali. Anche le donne
“in rosa” protestano contro Trump forse ignare o un tantino distratte da non
vedere come vivono oggi donne e uomini come Bilijana o Snežana o Milenko, donne
e uomini ridotti così dalle conseguenze di bombe che, sganciate così lontano
dalle loro case, non ricordano proprio. Anche voi siete tutte coinvolte, care donne in "rosa"!
Non so che
mondo sarà con Trump, certo il mondo disegnato dai suoi predecessori, a chi si ritiene
davvero pacifista non può piacere. Al peggio non c’è mai fine ma è difficile
immaginare un peggio per quelle popolazioni investite dalle attenzioni dei presidenti
USA che sono venuti prima di Donald Trump, l'ultimo compreso, quell'Obama "premio Nobel per la
pace", colui che ha lasciato che fossero gettate, non senza evidentemente condividerle, la maggior quantità di bombe fra tutti i presidenti USA della storia. Chissà che
Trump, nel suo delirio protezionistico, non arriverà anche a chiudere Bond
Steel, la base americana più grande d’Europa costruita subito dopo i
bombardamenti del ’99 in Kosovo, nei pressi di Uroševac (pardon, oggi si chiama
Ferizaj e la scritta in serbo, perché il nuovo Kosovo nel suo Statuto si
dichiara rispettoso delle minoranze, è però spesso cancellata).
Senza ricordare
continuamente, fino all’esasperazione questo passato, non avrebbe senso restare fra
questa gente. Un passato che dovrebbe, ad esempio, riabilitare Slobodan Milošević, troppo in
fretta liquidato all’Aja nelle carceri del tribunale ad hoc per i crimini
nella ex Jugoslavia, tribunale che si è guardato bene dal condannare criminali
reali che se ne vanno liberi per il mondo o che hanno ricevuto morte in gloria e funerali solenni. Milošević, addirittura oggi assolto dallo stesso tribunale, anche se è
assoluzione che va letta fra le righe di una sentenza che riguarda il processo Karadžić e la Bosnia ma che, di fatto, lo scagiona da crimini contro l'umanità, cosa ignorata dai principale mezzi di "informazione", non fu dunque un criminale ma uno statista al posto sbagliato nel
momento sbagliato. Il gioco era truccato, doveva andare così.
La storia
sembra insegnare poco e siamo sempre tutti pronti a credere alla giustezza di
interventi detti “umanitari e liberatori” contro il despota di turno, “affamatore
e assassino” del proprio popolo.
Siamo tutti coinvolti, anche nel continuare a
credere alle menzogne che ci vengono propinate in maniera molto sottile e
subdola. Basterebbe un sano dubbio su tutto quel che accade, per avere almeno
un approccio migliore a questioni così gravi.
Nel ‘99 la menzogna invadeva le
nostre case, grazie a gentaglia mascherata da giornalisti o da politici che forse non apostrofavano il disabile o non pronunciavano frasi razziste ma
sapevano raccontare bene menzogne al servizio delle bombe che sarebbero presto cadute.
Nei telegiornali, nei dibattiti, nei libri in fretta pubblicati, nei titoli dei
giornali asserviti al potere, nulla si seppe dei tanti serbi scomparsi molto
prima dell’intervento cosiddetto “umanitario”, serbi fatti sparire da
squadracce di terroristi fatti passare come liberatori del Kosovo.
Alcuni di questi criminali all’Aja non sono riusciti a incriminarli, con molti
testimoni morti in circostanze "sospette", alcuni sono addirittura al potere nel nuovo Kosovo,
molti di loro entrati a far parte della nuova polizia kosovara, che dovrebbe "salvaguardare" il patrimonio serbo-ortodosso, fatto di Chiese e monasteri
plurisecolari. Un patrimonio che rischia di sparire materialmente, come durante il pogrom
antiserbo del 2004, quando molte chiese e monasteri furono distrutti o dai radar
della memoria collettiva, cercando di farli passare come storia del Kosovo e,
quindi, proprietà dello stesso Kosovo monoetnico. Uno schiaffo alla Cultura.
Senza
memoria di tutto questo sarà inutile continuare a sostenere famiglie distrutte
dalle bombe e dalle loro conseguenze, pagate negli anni a venire, tanto da
mettere in ginocchio un’intera popolazione che, caso raro nei Balcani, ancora
non si è piegata a entrare nella Nato, nonostante una classe politica che lo
farebbe presto e volentieri. Ma, forse, il vento sta cambiando, è un vento
freddo, viene dall’Est, ci hanno sbattuto il muso in tanti.
Nel
frattempo, continueremo, almeno anche per questo diciottesimo anno, a sostenere
in ogni modo i serbi, sia in Serbia che in Kosovo e Metohija. Bambino adulto nato controcorrente e che controcorrente continuerà ad andare, alla ricerca della
verità, da raccontare a chi vorrà ascoltare. Serberà memoria, questo ragazzo diventato uomo. E racconterà anche di noi.
GUARDA IL VIDEO: "BADNJI DAN, VIGILIA DI NATALE"
https://www.youtube.com/watch?v=zn5QqiIe_7E&t=10s
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