Programma serale, di quelli a premi. Domanda... cosa è il Golden Gala? Risposta... Il Golden Gala di atletica leggera è una iniziativa promossa dal Coni dopo il boicottaggio dei paesi occidentali delle olimpiadi di Mosca, nel 1980, boicottaggio causato dall'invasione dell'Afghanistan da parte dell'URSS.
Senza fare una piega, digeriamo tutto. Soprattutto l'assurdo...
E già, l'URSS non portava democrazia! La democrazia che ci ha condotti, fieri e orgogliosamente devoti alla patria, in armi contro Saddam (guardare l'Iraq corrotto, mafioso, tirannico e violatore di diritti umani di oggi)... oppure a difesa degli albanesi del Kosovo contro il despota Milosevic! In armi a difesa di coloro i quali avrebbero eletto come padri della patria eroi quali Bill Clinton, Madeleine Albright, William Walker o il trafficante di organi umani, meglio se espiantati ai serbi, attuale premier del Kosovo libero e indipendente, Hashim Thaci...
Auguri a tutti, per un 2011 di lotta dura (e vera!!!) contro questo schifo.
lunedì 27 dicembre 2010
lunedì 20 dicembre 2010
Voci dal Silenzio - Un regalo
Carissimi, che mi leggete qualche volta, oppure per niente, oppure sempre (con un saluto particolare a quelli che... sempre!), ecco il mio regalo per le feste di fine anno: un video girato due settimane fa, diviso in 3 parti, sulla Serbia e sul Kosovo oggi, dal titolo: Voci dal Silenzio (http://www.unponteper.it/gallery/video.php)
E si, perché sono voci che cercano di emergere dal silenzio nel quale sono state confinate. Sono le voci dei terremotati di Kraljevo, che devono fare i conti con un terremoto che ha fatto danni, e tanti, ma di cui in pochi ci siamo interessati... Sono le voci dei dimenticati, i serbi che cercano di tornare nel Kosovo e Metohija, la loro terra da sempre, la terra dei loro avi, quella delle loro radici...
E infine, le voci dei serbi che resistono, in villaggi come riserve pellerossa, dove provano a costruire un futuro, difficile e contrastato, per i propri figli...
E poi, ci sono le nostre, di voci, quelle di chi si ostina a combattere contro i mulini a vento dell'oblìo e dell'indifferenza verso la storia di tante persone abbandonate a se stesse. Guardateveli, questi video: parlano di persone non molto lontane dalle nostre quotidianità che, spesso, ci fanno sentire immuni dalle tragedie e dalle sofferenze altrui, quasi che contino solo le nostre, a volte nemmeno tanto urgenti.
"Voci dal Silenzio" ( http://www.unponteper.it/gallery/video.php )...
prima parte: I terremotati di Kraljevo... Serbia, dicembre 2010;
seconda parte: Kosovo e Metohija, il ritorno dei profughi serbi;
terza parte: Villagi serbi nel Kosovo... Storia e Speranza, Solidarietà e Sostegno.
E per contribuire, vi ricordo anche il libro+documentario "L'Urlo del Kosovo "
(http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315&UID=20101220184913)
E se, dai vostri regali natalizi avanzerà qualcosa, abbiamo qualche soluzione per farne dell'ottimo investimento. Sul futuro.
E si, perché sono voci che cercano di emergere dal silenzio nel quale sono state confinate. Sono le voci dei terremotati di Kraljevo, che devono fare i conti con un terremoto che ha fatto danni, e tanti, ma di cui in pochi ci siamo interessati... Sono le voci dei dimenticati, i serbi che cercano di tornare nel Kosovo e Metohija, la loro terra da sempre, la terra dei loro avi, quella delle loro radici...
E infine, le voci dei serbi che resistono, in villaggi come riserve pellerossa, dove provano a costruire un futuro, difficile e contrastato, per i propri figli...
E poi, ci sono le nostre, di voci, quelle di chi si ostina a combattere contro i mulini a vento dell'oblìo e dell'indifferenza verso la storia di tante persone abbandonate a se stesse. Guardateveli, questi video: parlano di persone non molto lontane dalle nostre quotidianità che, spesso, ci fanno sentire immuni dalle tragedie e dalle sofferenze altrui, quasi che contino solo le nostre, a volte nemmeno tanto urgenti.
"Voci dal Silenzio" ( http://www.unponteper.it/gallery/video.php )...
prima parte: I terremotati di Kraljevo... Serbia, dicembre 2010;
seconda parte: Kosovo e Metohija, il ritorno dei profughi serbi;
terza parte: Villagi serbi nel Kosovo... Storia e Speranza, Solidarietà e Sostegno.
E per contribuire, vi ricordo anche il libro+documentario "L'Urlo del Kosovo "
(http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315&UID=20101220184913)
E se, dai vostri regali natalizi avanzerà qualcosa, abbiamo qualche soluzione per farne dell'ottimo investimento. Sul futuro.
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sabato 18 dicembre 2010
Voci dal Silenzio - Nel buio
Non so perché, in questo buio che circonda, mentre penso a ciò che scriverò di questo viaggio, ho gli occhi umidi…
Mentre ritrovo il calore dei luoghi consueti e ammiccanti, delle quotidiane lotte contro il tempo, che fugge via scontato, ripenso a quelle tende…
A quegli uomini che aspettano…
A quelle famiglie, di notte beffate di giustizia, di giorno illuse di libertà…
A quegli occhi bambini, tenuti lontani con amore, dall’odio…
A quei soldati, trasformati dall’umano contatto, ma pure dall’umana conoscenza, in ex nemici… da complici di un terrorismo finto-indipendentista, etnico-razziatore, delinquente e fascista, svasticheggiante assassino, prezzolato o fanatico che differenza fa, poi ripulito nella ridicola polizia del Kosovo…
Da complici di tutto questo, quei soldati sono diventati deterrente alla violenza e confortevole sicurezza. Per villaggi e monasteri.
Proprio per questo, andranno via, lasciando “giustizia e sicurezza” nelle mani nel neo-Nato-narco-Stato.
Quanta giustizia riceveranno quei volti, così determinati a vivere nella loro terra?
E quale sicurezza potrà rendere, a quegli sguardi, più coraggio di vita?
Fanno paura, tanta determinazione e coraggio!
Fa paura, quel non volersene andare, quel resistere, ad ogni costo, quell’attendere ai propri diritti. Negati, rimandati, posticipati, nascosti, prepotentemente ignorati. E repressi.
Hanno bisogno di stare soli, non vogliono contaminazioni, i monoetnici abitanti del nuovo Kosovo "libero e indipendente"!
Libero di cacciare serbi, da sempre in quelle terre, indipendente da nessuno, preda di mafie, malaffare, Usa e basi Nato...
Hanno paura di Rade, anziano signore ormai solo, insieme ai suoi cani, che offre rakija e sorrisi. Amari, ma leali e sinceri…
Hanno paura di suor Isidora, anziana monaca di Gorioć, che aspetta il nuovo giorno legata alla sua fede, che non l’ha mai abbandonata al dubbio…
Hanno paura di Anastasija, piccola principessa nelle braccia, calde e certe, di sua madre…
Si, qualcuno ha paura dei serbi in Kosovo.
Non sono bastati bombardamenti Nato in appoggio, le più imponenti diplomazie al mondo acclamanti… potenti lobby americane a sostegno... propaganda globale e soldi, tanti… no, ancora non riescono a liberarsi dei serbi e dei loro simboli.
Come i monasteri, molti già distrutti, spesso più isolati dei villaggi, accerchiati dall’odio rancoroso e villano, in balia e vittime del revisionismo a orologeria, che ne vorrebbe la cancellazione dalla memoria.
Sono tornato a voi.
Quanto siamo simili, cocciuti di ideale, d’una convinzione, di un puntiglio!
Scopro perché amo la vostra esistenza, il vostro orgoglio, la vostra fierezza.
Il vostro testardo e invincibile fruire del tempo. A voi, a me, il tempo non sconfigge certezza. A voi, a me, il tempo non sconfigge idea. Rimaniamo così, anche soli, se necessario. Ma privi del compromesso, che vuole in cambio l’anima. Siamo simili, ci siamo riconosciuti. Resteremo testardi. E invincibili.
Mentre ritrovo il calore dei luoghi consueti e ammiccanti, delle quotidiane lotte contro il tempo, che fugge via scontato, ripenso a quelle tende…
A quegli uomini che aspettano…
A quelle famiglie, di notte beffate di giustizia, di giorno illuse di libertà…
A quegli occhi bambini, tenuti lontani con amore, dall’odio…
A quei soldati, trasformati dall’umano contatto, ma pure dall’umana conoscenza, in ex nemici… da complici di un terrorismo finto-indipendentista, etnico-razziatore, delinquente e fascista, svasticheggiante assassino, prezzolato o fanatico che differenza fa, poi ripulito nella ridicola polizia del Kosovo…
Da complici di tutto questo, quei soldati sono diventati deterrente alla violenza e confortevole sicurezza. Per villaggi e monasteri.
Proprio per questo, andranno via, lasciando “giustizia e sicurezza” nelle mani nel neo-Nato-narco-Stato.
Quanta giustizia riceveranno quei volti, così determinati a vivere nella loro terra?
E quale sicurezza potrà rendere, a quegli sguardi, più coraggio di vita?
Fanno paura, tanta determinazione e coraggio!
Fa paura, quel non volersene andare, quel resistere, ad ogni costo, quell’attendere ai propri diritti. Negati, rimandati, posticipati, nascosti, prepotentemente ignorati. E repressi.
Hanno bisogno di stare soli, non vogliono contaminazioni, i monoetnici abitanti del nuovo Kosovo "libero e indipendente"!
Libero di cacciare serbi, da sempre in quelle terre, indipendente da nessuno, preda di mafie, malaffare, Usa e basi Nato...
Hanno paura di Rade, anziano signore ormai solo, insieme ai suoi cani, che offre rakija e sorrisi. Amari, ma leali e sinceri…
Hanno paura di suor Isidora, anziana monaca di Gorioć, che aspetta il nuovo giorno legata alla sua fede, che non l’ha mai abbandonata al dubbio…
Hanno paura di Anastasija, piccola principessa nelle braccia, calde e certe, di sua madre…
Si, qualcuno ha paura dei serbi in Kosovo.
Non sono bastati bombardamenti Nato in appoggio, le più imponenti diplomazie al mondo acclamanti… potenti lobby americane a sostegno... propaganda globale e soldi, tanti… no, ancora non riescono a liberarsi dei serbi e dei loro simboli.
Come i monasteri, molti già distrutti, spesso più isolati dei villaggi, accerchiati dall’odio rancoroso e villano, in balia e vittime del revisionismo a orologeria, che ne vorrebbe la cancellazione dalla memoria.
Sono tornato a voi.
Quanto siamo simili, cocciuti di ideale, d’una convinzione, di un puntiglio!
Scopro perché amo la vostra esistenza, il vostro orgoglio, la vostra fierezza.
Il vostro testardo e invincibile fruire del tempo. A voi, a me, il tempo non sconfigge certezza. A voi, a me, il tempo non sconfigge idea. Rimaniamo così, anche soli, se necessario. Ma privi del compromesso, che vuole in cambio l’anima. Siamo simili, ci siamo riconosciuti. Resteremo testardi. E invincibili.
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martedì 14 dicembre 2010
Voci dal Silenzio
Le recenti elezioni farsa in Kosovo hanno visto la vittoria, con sospetto di brogli ma questo è il meno... dell'attuale premier kosovaro albanese Hashim Tachi. Ha vinto con il favore di poco più del 30 per cento dei votanti, che sono stati meno della metà degli aventi diritto. In questo, il neoNato narcostato è davvero simile alle grandi "democrazie" occidentali che ormai sanno fare a meno della partecipazione di massa e quando ci sono, queste partecipazioni di massa, come le rivolte studentesche di questi giorni, ne restano infastidite a tal punto da rispondere con l'unica faccia, la "migliore" che il potere sembra saper mostrare: zone rosse e cellerini!
Il giorno dopo la sua vittoria, però, questo "paladino dei diritti democratici", grande amico della Madeleine Albright (chi è la Albright? colei che, da segretario di stato Usa nel periodo 1997-2001, ebbe a dire, dell'oltre mezzo milione di bambini iracheni morti a causa del feroce embargo di cui fu vittima l'Iraq negli anni 90: E' stato il giusto prezzo da pagare!)... ma pure grande amico di Bill Clinton, al quale ha dedicato una statua di bronzo alta 4 metri nel centro di Pristina... che ha fatto erigere una statua della libertà su uno dei maggiori hotel di Pristina, costruiti sulle terre derubate ai serbi, omaggio a George Bush (il nostro D'Alema, bombardatore della Jugoslavia nel 99, capogoverno di una coalizione che fu permessa dal fiduciario della CIA in Italia, Cossiga, creperà di invidia: a lui non hanno dedicato neppure una via o una piazzetta)... questo grande democratico che guida il Kosovo "liberato e indipendente" è accusato di traffico di organi umani, espiantati a serbi fatti sparire negli anni precedenti le bombe della Nato, ma pure dopo (il lupo perde il pelo ma non il vizio) negli anni recenti, dove in cliniche di Pristina, per pochi soldi, a poveracci venivano tolti, chissà quanto volontariamente, gli organi per finanziare le attività mafiose di cui l'attuale Kosovo abbonda.
Avete capito? Roba da niente! Non c'è che da fare i complimenti a chi ha causato tutto questo, da D'Alema, per restare in Italia, fino a tutto l'arco costituzionale, con qualche nobile eccezione del tempo. Tutti sempre d'accordo e a gareggiare per dimostrare l'affidabilità del nostro paese (a sovranità limitata) al padrone USA.
Oggi, questo servilismo è ben rappresentato da loschi figuri quali il ministro della difesa La Russa o il ministro degli esteri Frattini. Pronti a sostituirli, non temete, ce ne sono moltissimi, già tutti in fila!
Ecco, la situazione che c'è in Kosovo.
E a Roma, proprio ieri, l'ambasciatore di questo neoNato narcostato "liberato" dai serbi che lo abitavano da secoli, ha presentato un calendario con le bellezze del Kosovo fra le quali, bontà sua, qualche monastero ortodosso.
Chissà se ci avrà pure messo qualche foto dei villaggi serbi, isolati e osteggiati, dove intere famiglie resistono anche alle continue razzie e violenze di ladri e terroristi, senza nessuna tutela legale nonostante la presenza, che va sempre più diminuendo, della forza militare cosiddetta di interposizione, la Kfor. Chissà se accanto alla foto del monastero ci avrà scritto che, tra non molto, sarà la polizia del Kosovo, composta per la maggior parte da reduci della formazione terroristica dell'Uck, a "garantire" la sicurezza per monaci e monache che ci vivono.
Chissà perchè, mentre scrivo queste cose, nei miei occhi lucidi tornano le immagini dei villaggi visitati, dove ostinati e cocciuti, i serbi aspettano che finiscano di costruire loro le nuove case, accanto e al posto di quelle distrutte e razziate. Fondi internazionali che il governo di Pristina dovrà spendere per forza, ma che sono dati in pasto a ditte albanesi che procedono nei lavori come lumache su una pista olimpionica, rimandando sempre la consegna una volta per una cosa, una volta per l'altra. Con la corrente che viene razionata ferocemente, con l'acqua che non c'è, con le testimonianze che ci dicono come sia difficile per gli albanesi accettare questo ritorno dei serbi. Perchè restano preda dei poteri locali retti da mafie e narcotraffico, che non vogliono "estranei" sul territorio, che non permettono convivenze pericolose. Così, anche se i serbi vanno a fare la spesa e parlano la loro lingua, gli albanesi non possono avere rapporti con loro.
Perchè fanno così paura questi serbi? Perchè le persone incontrate non possono costruirsi un loro futuro in quella che da sempre è stata la loro terra? Perchè anche quando minoranza osteggiata e perseguitata, suscitano così tanto astio e timore?
Forse perchè, nella loro storia, non si sono mai spezzati. Hanno sofferto, patito, si sono difesi fino alla fine, ma sono rimasti. Sanno cosa è la resistenza. Ma credo lo sappiano bene anche tutti gli altri. Perciò ne hanno paura.
Il giorno dopo la sua vittoria, però, questo "paladino dei diritti democratici", grande amico della Madeleine Albright (chi è la Albright? colei che, da segretario di stato Usa nel periodo 1997-2001, ebbe a dire, dell'oltre mezzo milione di bambini iracheni morti a causa del feroce embargo di cui fu vittima l'Iraq negli anni 90: E' stato il giusto prezzo da pagare!)... ma pure grande amico di Bill Clinton, al quale ha dedicato una statua di bronzo alta 4 metri nel centro di Pristina... che ha fatto erigere una statua della libertà su uno dei maggiori hotel di Pristina, costruiti sulle terre derubate ai serbi, omaggio a George Bush (il nostro D'Alema, bombardatore della Jugoslavia nel 99, capogoverno di una coalizione che fu permessa dal fiduciario della CIA in Italia, Cossiga, creperà di invidia: a lui non hanno dedicato neppure una via o una piazzetta)... questo grande democratico che guida il Kosovo "liberato e indipendente" è accusato di traffico di organi umani, espiantati a serbi fatti sparire negli anni precedenti le bombe della Nato, ma pure dopo (il lupo perde il pelo ma non il vizio) negli anni recenti, dove in cliniche di Pristina, per pochi soldi, a poveracci venivano tolti, chissà quanto volontariamente, gli organi per finanziare le attività mafiose di cui l'attuale Kosovo abbonda.
Avete capito? Roba da niente! Non c'è che da fare i complimenti a chi ha causato tutto questo, da D'Alema, per restare in Italia, fino a tutto l'arco costituzionale, con qualche nobile eccezione del tempo. Tutti sempre d'accordo e a gareggiare per dimostrare l'affidabilità del nostro paese (a sovranità limitata) al padrone USA.
Oggi, questo servilismo è ben rappresentato da loschi figuri quali il ministro della difesa La Russa o il ministro degli esteri Frattini. Pronti a sostituirli, non temete, ce ne sono moltissimi, già tutti in fila!
Ecco, la situazione che c'è in Kosovo.
E a Roma, proprio ieri, l'ambasciatore di questo neoNato narcostato "liberato" dai serbi che lo abitavano da secoli, ha presentato un calendario con le bellezze del Kosovo fra le quali, bontà sua, qualche monastero ortodosso.
Chissà se ci avrà pure messo qualche foto dei villaggi serbi, isolati e osteggiati, dove intere famiglie resistono anche alle continue razzie e violenze di ladri e terroristi, senza nessuna tutela legale nonostante la presenza, che va sempre più diminuendo, della forza militare cosiddetta di interposizione, la Kfor. Chissà se accanto alla foto del monastero ci avrà scritto che, tra non molto, sarà la polizia del Kosovo, composta per la maggior parte da reduci della formazione terroristica dell'Uck, a "garantire" la sicurezza per monaci e monache che ci vivono.
Chissà perchè, mentre scrivo queste cose, nei miei occhi lucidi tornano le immagini dei villaggi visitati, dove ostinati e cocciuti, i serbi aspettano che finiscano di costruire loro le nuove case, accanto e al posto di quelle distrutte e razziate. Fondi internazionali che il governo di Pristina dovrà spendere per forza, ma che sono dati in pasto a ditte albanesi che procedono nei lavori come lumache su una pista olimpionica, rimandando sempre la consegna una volta per una cosa, una volta per l'altra. Con la corrente che viene razionata ferocemente, con l'acqua che non c'è, con le testimonianze che ci dicono come sia difficile per gli albanesi accettare questo ritorno dei serbi. Perchè restano preda dei poteri locali retti da mafie e narcotraffico, che non vogliono "estranei" sul territorio, che non permettono convivenze pericolose. Così, anche se i serbi vanno a fare la spesa e parlano la loro lingua, gli albanesi non possono avere rapporti con loro.
Perchè fanno così paura questi serbi? Perchè le persone incontrate non possono costruirsi un loro futuro in quella che da sempre è stata la loro terra? Perchè anche quando minoranza osteggiata e perseguitata, suscitano così tanto astio e timore?
Forse perchè, nella loro storia, non si sono mai spezzati. Hanno sofferto, patito, si sono difesi fino alla fine, ma sono rimasti. Sanno cosa è la resistenza. Ma credo lo sappiano bene anche tutti gli altri. Perciò ne hanno paura.
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martedì 23 novembre 2010
Basta follie di Stato!
vi chiedo di andare su:
http://www.peacelink.it/campagne/index.php?id=86&id_topic=2
e aderire, se potete (e per quello che può servire...), contro l'acquisto dei cacciabombardieri F35!
Che poi gli uni (al governo) ci verranno a raccontare che questi "giocattoli" servono a portare pace e democrazia, garantendo a noi la sicurezza, gli altri (all'opposizione) verranno a protestare con noi contro i tagli alla sanità e alla scuola pubbliche, alla cultura, ecc. ecc., dimenticando di aver votato per queste spese folli e omicide!
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intervista oggi su RCA
vi segnalo oggi, su radio città aperta, una intervista su Serbia e situazione post terremoto a Kraljevo. Alle ore 14 e 10 circa su:
http://www.radiocittaperta.it/
e andare su ON AIr per ascoltare (oppure 88.90 per chi sta a Roma).
ciao a tutti
alessandro
http://www.radiocittaperta.it/
e andare su ON AIr per ascoltare (oppure 88.90 per chi sta a Roma).
ciao a tutti
alessandro
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venerdì 5 novembre 2010
Propaganda e disinformazione
Oggi ho aperto il sito de "larepubblica" e, in prima pagina, ho trovato una bella sorpresina, un articolo degno del peggior nemico dei serbi: la propaganda, unita a quella disinformazione pianificata e lucida, segno dei tempi che corrono, che sono corsi e che correranno davanti ai quali ben poco resta da fare a noi, poveri, tristi e solitari Don Chisciotte che andiamo dietro alla pretesa di giusta e corretta informazione e, soprattutto, di verità (ah, questa sconosciuta!).
Così, inutilmente certo, ma cocciutamente comunque, ho voluto scrivere una lettera al direttore, alla rubrica delle lettere e alla redazione de larepubblica.it. Ve la riporto qui,anche perchè difficilmente la leggerete altrove.
"Posso dirlo che avete da tempo superato la soglia dell'indecenza, per quanto riguarda l'approccio al tema ex Jugoslavia?
Oggi questo articolo in prima pagina (http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).".
Alessandro Di Meo
Così, inutilmente certo, ma cocciutamente comunque, ho voluto scrivere una lettera al direttore, alla rubrica delle lettere e alla redazione de larepubblica.it. Ve la riporto qui,anche perchè difficilmente la leggerete altrove.
"Posso dirlo che avete da tempo superato la soglia dell'indecenza, per quanto riguarda l'approccio al tema ex Jugoslavia?
Oggi questo articolo in prima pagina (http://www.repubblica.it/esteri/2010/11/05/news/tadic_vukovar-8766359/) sulle scuse di Tadic, così come tanto spazio avete dedicato al simbolo del male (sottintendendo male uguale Serbia) Ivan il terribile e non una parola sulle scuse del presidente croato Josipovic per eccidi compiuti dai croati neosecessionisti, precedenti a Vukovar. Scuse fatte in contemporanea alla visita di Tadic!
E tutto questo dopo aver dedicato zero spazio alla notizia del terremoto di ieri l'altro, che non sarà stato Haiti, per fortuna (ma magari qualcuno fra di voi, della scuola di Adriano Sofri, a questo punto credo se lo auguri) ma che almeno per rispetto al dovere dell'informazione un comune lettore si aspettava di trovare.
Davvero senza speranza e senza più parole (e da oggi, anche senza più alcun interesse per il vostro lavoro che se è in malafede qui, può esserlo sicuramente anche altrove).".
Alessandro Di Meo
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mercoledì 3 novembre 2010
I serbi sono soli
E certo, non c'era mica il famigerato "Ivan, il terribile" da mostrare alle televisioni, coi suoi tatuaggi celtici e cetnici da "Grande Serbo", "violento e massacratore", "pulitore etnico a denominazione d'origine controllata!". No, non c'era Ivan, c'era solo un terremoto, con due morti nel villaggio di Grdica, dove vivono famiglie profughe dal Kosovo che dopo tanti anni, con tanta fatica, si sono rifatte una casa dove provare a far crescere i propri figli. Case oggi crepate, di terremoto, ma chissenefregherà mai?
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo.
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.
(per contribuire: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890)
No, nessuna televisione ha mostrato qualcosa di questo terremoto di una intensità pari a quello che ha sconvolto L'Aquila, con povere case fatte di mattoni che hanno resistito molto meglio di case dello studente fatte con l'approvazione delle italiche concessioni edilizie! I serbi non valgono queste notizie, i siti di giornali come La Repubblica (e non solo...) non hanno degnato di un trafiletto quei morti e quei feriti e quelle tante case danneggiate per gente che dovrà affrontare il terribile, quello si, inverno balcanico, aggiustando crepe e tetti, rinunciando alla legna per il riscaldamento, rinunciando a molte di quelle cose normali al nostro mondo.
Non meritano i vostri articoli, mentre li merita Ivan il terribile, corrispettivo ideologico di chi si permette di affermare che i serbi sono la schifezza di questo mondo (vero Sofri?) tralasciando di commentare le loro disgrazie.
I serbi sono soli, a questo mondo. Sono soli e lo sanno. Lo so da tempo, anche io. I serbi sono soli, noi che ci sbattiamo per loro, siamo soli. Siamo già in due.
(per contribuire: http://www.unponteper.it/informati/article.php?sid=1890)
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martedì 12 ottobre 2010
Non voltiamo la faccia!
La Serbia non esce bene da questa serata calcistica.
In mondovisione, i serbi sono apparsi di nuovo i "temibili nazionalisti selvaggi" che tremare il mondo fanno! Ma quella rabbia ha una casa. E quella casa sta nello scippo che i Serbi hanno subito da chi, al governo in Serbia oggi, colluso con l'occidente, sta svendendo la propria anima. Il Kosovo, cuore della Serbia, è lontano, con il patriarca ortodosso, paragonabile al nostro papa, costretto a insediarsi alla chetichella nel patriarcato di Pec, appena tollerato dal governo del Kosovo "liberato" dalla Nato, retto da mafia e narcotrafficanti. Il Fondo Monetario Internazionale, l'FMI, presta soldi che servono a finanziare le imprese estere (come la Fiat che espropria la Zastava, la Fiat dell'apparentemente italiano e fido Marchionne, uomo in realtà dell'americanissima Philip Morris!!!). Le bombe del '99 sono ormai dimenticate, quei morti e quei profughi offrono storie che non riempiono le cronache, troppo impegnate nel descrivere il nuovo look delle varie attricette da strapazzo, quelle si, degne delle nostre odierne e democratiche, attenzioni, il tutto condito da un omicidio assurdo e l'altro, parte del nostro amato occidente.
Ma in Serbia si organizza il Gay Pride, cosa "assolutamente prioritaria" nella Serbia di oggi, assurda provocazione che non poteva che dare i risultati che ha dato. Ma gli USA si congratulano con la polizia serba, per le capacità a proteggere i "diritti umani" nel proprio paese. Nuove violenze si prospettano all'orizzonte, contro altri diritti...
Ai bambini serbi, che non erano allo stadio stasera, così come quei tanti loro coetanei italiani che la retorica dei telecronisti di Rai1 (assurdi, inadeguati e ignoranti al punto da scambiare il segno delle tre dita dei calciatori serbi come un invito a non far perdere la partita per tre a zero!!!) continuava a incensare, non resta molto da sperare per il futuro. Nonostante questa triste serata, però, io continuo a stare con i Serbi. C'è una Serbia che non ci sta, anche se il suo volto, stasera, non era certo accattivante e accomodante. Una Serbia che non vuole entrare in Europa, perchè dall'Europa si sente tradita, defraudata, umiliata. E' una triste serata perchè preoccupante per il futuro, che temo foriero di nuove stagioni di violenza. Ma quella violenza ha una casa. Il mio è un invito. A non voltare la faccia.
In mondovisione, i serbi sono apparsi di nuovo i "temibili nazionalisti selvaggi" che tremare il mondo fanno! Ma quella rabbia ha una casa. E quella casa sta nello scippo che i Serbi hanno subito da chi, al governo in Serbia oggi, colluso con l'occidente, sta svendendo la propria anima. Il Kosovo, cuore della Serbia, è lontano, con il patriarca ortodosso, paragonabile al nostro papa, costretto a insediarsi alla chetichella nel patriarcato di Pec, appena tollerato dal governo del Kosovo "liberato" dalla Nato, retto da mafia e narcotrafficanti. Il Fondo Monetario Internazionale, l'FMI, presta soldi che servono a finanziare le imprese estere (come la Fiat che espropria la Zastava, la Fiat dell'apparentemente italiano e fido Marchionne, uomo in realtà dell'americanissima Philip Morris!!!). Le bombe del '99 sono ormai dimenticate, quei morti e quei profughi offrono storie che non riempiono le cronache, troppo impegnate nel descrivere il nuovo look delle varie attricette da strapazzo, quelle si, degne delle nostre odierne e democratiche, attenzioni, il tutto condito da un omicidio assurdo e l'altro, parte del nostro amato occidente.
Ma in Serbia si organizza il Gay Pride, cosa "assolutamente prioritaria" nella Serbia di oggi, assurda provocazione che non poteva che dare i risultati che ha dato. Ma gli USA si congratulano con la polizia serba, per le capacità a proteggere i "diritti umani" nel proprio paese. Nuove violenze si prospettano all'orizzonte, contro altri diritti...
Ai bambini serbi, che non erano allo stadio stasera, così come quei tanti loro coetanei italiani che la retorica dei telecronisti di Rai1 (assurdi, inadeguati e ignoranti al punto da scambiare il segno delle tre dita dei calciatori serbi come un invito a non far perdere la partita per tre a zero!!!) continuava a incensare, non resta molto da sperare per il futuro. Nonostante questa triste serata, però, io continuo a stare con i Serbi. C'è una Serbia che non ci sta, anche se il suo volto, stasera, non era certo accattivante e accomodante. Una Serbia che non vuole entrare in Europa, perchè dall'Europa si sente tradita, defraudata, umiliata. E' una triste serata perchè preoccupante per il futuro, che temo foriero di nuove stagioni di violenza. Ma quella violenza ha una casa. Il mio è un invito. A non voltare la faccia.
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venerdì 1 ottobre 2010
Alla vigilia dell'intronizzazione del nuovo patriarca della chiesa ortodossa serba, Irinej, che avverrà (salvo imprevisti) domenica 3 ottobre nel patriarcato di Pec, in Kosovo e Metohija, la situazione nella regione è, a dir poco, esplosiva.
Un bell'articolo di Tommaso Di Francesco oggi, venerdì 1 ottobre 2010, in ultima pagina de il manifesto, ci offre il reale quadro di quello che sta accadendo.
Compratevi il giornale, che versa in condizioni economiche difficilissime, uno dei pochi che non ha mai abbassato la guardia sui problemi e sulle ingiustizie nei Balcani. Questo dovrebbe essere un merito...
Alessandro
p.s. E ricordo a tutti anche il libro e il documentario L'Urlo del Kosovo, per dare una mano anche a Un Ponte per... e per diffondere un lavoro lungo, oscuro, ma così prezioso per tante persone dimenticate!
(per ordinare: http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315&UID=20101001092102
Un bell'articolo di Tommaso Di Francesco oggi, venerdì 1 ottobre 2010, in ultima pagina de il manifesto, ci offre il reale quadro di quello che sta accadendo.
Compratevi il giornale, che versa in condizioni economiche difficilissime, uno dei pochi che non ha mai abbassato la guardia sui problemi e sulle ingiustizie nei Balcani. Questo dovrebbe essere un merito...
Alessandro
p.s. E ricordo a tutti anche il libro e il documentario L'Urlo del Kosovo, per dare una mano anche a Un Ponte per... e per diffondere un lavoro lungo, oscuro, ma così prezioso per tante persone dimenticate!
(per ordinare: http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315&UID=20101001092102
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venerdì 3 settembre 2010
Cultura contro barbarie!
Siamo stati facili profeti noi dell'associazione Un ponte per... quando, nel dicembre dello scorso anno, abbiamo lanciato un drammatico appello per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri ortodossi nel Kosovo e Metohija.
La decisione di affidare la loro tutela, a partire dal monastero di Gracanica, che dal 13 luglio 2006 è inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO, alla polizia kosovara attuale, formata da reduci del disciolto Uck, formazione terrorista che dalla metà degli anni '90 ha imperversato nel Kosovo organizzando la malavita oggi al potere e ammazzando o facendo sparire serbi ma anche albanesi non collusi con l'idea di indipendenza, in genere jugoslavisti, uno per tutti: Ibraj Musa, partigiano jugoslavo (http://www.resistenze.org/sito/as/sosyu/assy9l13-005673.htm) sta divenendo realtà.
C'è da scommettere che arriveranno presto altri monasteri da far "proteggere" agli ex miliziani, magari quello di Decani, Patrimonio dell'UNESCO dal 2004, anno in cui di monasteri questi ex miliziani ne distrussero o ne lasciarono distruggere, con la complciità di una distratta Kfor, circa 150... o magari lo stesso patriarcato di Pec dove in autunno, forse, riuscirà a insediarsi il nuovo patriarca della chiesa ortodossa serba, Irinej. Potrebbe quindi insediarsi, patriarca Irinej, sotto la "protezione" dei terroristi che fermarono e quasi sequestrarono, durante una visita a un monastero, il defunto patriarca Pavle nel 1998!
Se a questo aggiungiamo che i monasteri sono spesso il punto di riferimento unico e vitale, necessario e irrinunciabile per le poche comunità serbe rimaste a resistere nel Kosovo ripulito etnicamente, possiamo capire, anche in questa distratta, sonnecchiosa e ambigua estate, quanto si farà sempre più difficile la situazione nell'area.
Per questo invitiamo a sottoscrivere l'Appello per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri! (http://www.unponteper.it/article.php?sid=1866)
Non lasciamo sole quelle persone e quelle meraviglie di architettura!
Non lasciamo che vinca la barbarie sulla cultura (anche fuori dal nostro paese...).
Nella foto: Il monastero di Gracanica, patrimonio dell'UNESCO, uno dei primi a finire sotto la "tutela" della polizia kosovara.
La decisione di affidare la loro tutela, a partire dal monastero di Gracanica, che dal 13 luglio 2006 è inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO, alla polizia kosovara attuale, formata da reduci del disciolto Uck, formazione terrorista che dalla metà degli anni '90 ha imperversato nel Kosovo organizzando la malavita oggi al potere e ammazzando o facendo sparire serbi ma anche albanesi non collusi con l'idea di indipendenza, in genere jugoslavisti, uno per tutti: Ibraj Musa, partigiano jugoslavo (http://www.resistenze.org/sito/as/sosyu/assy9l13-005673.htm) sta divenendo realtà.
C'è da scommettere che arriveranno presto altri monasteri da far "proteggere" agli ex miliziani, magari quello di Decani, Patrimonio dell'UNESCO dal 2004, anno in cui di monasteri questi ex miliziani ne distrussero o ne lasciarono distruggere, con la complciità di una distratta Kfor, circa 150... o magari lo stesso patriarcato di Pec dove in autunno, forse, riuscirà a insediarsi il nuovo patriarca della chiesa ortodossa serba, Irinej. Potrebbe quindi insediarsi, patriarca Irinej, sotto la "protezione" dei terroristi che fermarono e quasi sequestrarono, durante una visita a un monastero, il defunto patriarca Pavle nel 1998!
Se a questo aggiungiamo che i monasteri sono spesso il punto di riferimento unico e vitale, necessario e irrinunciabile per le poche comunità serbe rimaste a resistere nel Kosovo ripulito etnicamente, possiamo capire, anche in questa distratta, sonnecchiosa e ambigua estate, quanto si farà sempre più difficile la situazione nell'area.
Per questo invitiamo a sottoscrivere l'Appello per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri! (http://www.unponteper.it/article.php?sid=1866)
Non lasciamo sole quelle persone e quelle meraviglie di architettura!
Non lasciamo che vinca la barbarie sulla cultura (anche fuori dal nostro paese...).
Nella foto: Il monastero di Gracanica, patrimonio dell'UNESCO, uno dei primi a finire sotto la "tutela" della polizia kosovara.
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venerdì 30 luglio 2010
L’Urlo del Kosovo
di Alessandro Di Meo
Storie vere da cui è impossibili fuggire.
L'urlo che la propaganda non riesce a coprire.
Voci che spezzano il coro allineato del pregiudizio che è letale per le persone tanto quanto le scorie della "guerra umanitaria".
Il Libro
Il libro vuole essere una denuncia del dramma vissuto da migliaia di persone, in prevalenza serbe, cacciate da quella terra, il Kosovo e Metohija, dove hanno da sempre vissuto e convissuto con altre etnie. Le ingerenze esterne dovute a interessi di potere, politici e, soprattutto, malavitosi, hanno tolto la parola alle persone per consegnarla alla propaganda e alla menzogna.
L’autore, attraverso le storie narrate, cerca di spostare l’attenzione sui veri protagonisti della triste e drammatica vicenda: le persone in carne e ossa, facendosi testimone della loro tragica vicenda per una ricostruzione dei fatti meno condizionata da propaganda e luogo comune.
Il DVD
Il documentario è un viaggio tra le conseguenze dei bombardamenti che nel 1999, per 78 giorni, hanno colpito quel che rimaneva della Jugoslavia. A oltre 10 anni di distanza, i problemi e le contraddizioni che la cosiddetta “guerra umanitaria” voleva risolvere si sono, in realtà, moltiplicate. L’insorgere di malattie sempre più gravi, dovute a inquinamento ambientale e uso indiscriminato di uranio impoverito; la chiusura delle fabbriche con conseguente perdita del posto di lavoro; la drammatica situazione dei serbi rimasti nei villaggi del Kosovo, di fatto ghettizzati; lo stato dei monasteri ortodossi, patrimonio culturale e storico dell’umanità, a rischio distruzione. Un viaggio nella Serbia di oggi, ancora troppo devastata nel cuore e nell’anima.
si può richiedere l'edizione completa di libro e dvd a:
http://www.unponteper.it/bottega/description.php?II=315
Codice prodotto: 02084
nome: L'Urlo del Kosovo (Libro+DVD)
Durata: 52'
contributo richiesto: euro 18.00
Spese di spedizione: euro 3.00
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martedì 27 luglio 2010
la Fiat Bomba!
Nell’articolo di Alessandro Robecchi di domenica scorsa su “il manifesto”, “Le newco del mondo libero”, mancava all’elenco un modello di auto: la Fiat Bomba.
Questa potrebbe davvero essere prodotta in Serbia, proprio in quella fabbrica, la Zastava, distrutta dai bombardamenti del 1999. Ci racconta Rajka Veljovic, del sindacato Samostalni, che ormai non esiste più, messo all’angolo e lasciato senza i secondi…
“Nel 99 fummo uniti a difendere la Zastava. Stavamo dentro, invitammo le maggiori testate televisive europee per dire che non avremmo abbandonato quella che era la nostra seconda casa. Ma ci bombardarono lo stesso.”.
L’intera intervista è riportata nel film-documentario “L’urlo del Kosovo”, che in questi giorni esce unitamente al libro di cui Tommaso Di Francesco ha scritto appassionata recensione il 23 luglio.
Quella che era la Torino dei Balcani, la città jugoslava di Kragujevac e quella che era la Fiat dei Balcani, la Zastava, furono bombardate senza nessun tipo di remora o ritegno, il giorno della Pasqua ortodossa, mandando in frantumi strutture, macchinari e… uova pasquali, colorate e pronte da distribuire fra i lavoratori. In un vortice dove tutto si mischia, vita e morte, dramma e grottesco, lacrime e scoppi di risate, fu bombardata quella che era la seconda casa di questi lavoratori, così come tutta la Serbia e così come tutto il Kosovo, ultima amputazione in ordine cronologico della Jugoslavia, ultimo schiaffo in faccia a i Serbi.
A Kragujevac un inquinamento ambientale spaventoso dovuto alle fuoriuscite di materiale tossico e oli combustibili usati nelle lavorazioni industriali, ha causato e causa tuttora, nascite con malformazioni e l’insorgenza di malattie tumorali mentre i profughi, che da Kragujevac a Kraljevo vivono sparsi in decine di migliaia, molti dei quali provenienti dalle fabbriche satelliti della Zastava, in particolare da Pec, nel Kosovo occidentale, hanno reso, loro malgrado, la situazione di vita quotidiana drammatica per tutti. Cacciati senza nessuna possibilità di ritorno dalla loro terra, dalla loro vita, nel giro di poche ore dal 10 giugno del 1999, con la Kfor che assisteva “distratta” alle violenze dell’estremismo panalbanese, vivono spesso di sussidi, aiuti, e lavori saltuari. Lavoro diventato una chimera anche per chi lo aveva sempre avuto garantito.
Salari che non arrivano ai 200 euro, prezzi che salgono alle stelle, le verdure più semplici che arrivano anche a un euro al chilo, mentre rasenta i due euro al chilo la carne, senza contare le spese fisse per elettricità, riscaldamento e altro, con il dinaro che ogni mese perde punti, (dall’inizio dell’anno a oggi è passato da 95 per 1 euro ai 105 attuali), se non fosse per le secolari capacità di adattamento alla tragedia delle donne e degli uomini di questo popolo, sarebbe la catastrofe.
E invece, eccoli che ancora resistono. Si resiste a Kragujevac, città che nell’ottobre del ’41 vide intere generazioni di uomini e ragazzi e adolescenti ammazzate in un giorno e mezzo dalla belva nazifascista. Oggi un parco ricorda quell’eccidio al cui confronto le nostre Fosse Ardeatine diventano una carezza. Sa sopportare la gente di Kragujevac il destino avverso, ci vuole ben altro che un Marchionne qualunque per piegarla. Ma questa contrapposizione fra lavoratori italiani e serbi fa molto male, soprattutto a loro. Perché nella sede del vecchio sindacato campeggiano alle pareti le foto della solidarietà, che ancora unisce i lavoratori italiani e serbi, attraverso i sostegni a distanza di centinaia di famiglie di operai o ex operai della Zastava. Dalla Fiat non è arrivata una lira, ancora oggi, mentre dai lavoratori delle varie organizzazioni sindacali la solidarietà non è mai mancata, da quel maledetto 24 marzo 1999 fino a oggi. Non avrebbero mai pensato di doversi trovare coinvolti in queste strumentalizzazioni, vere e proprie guerre fra poveri.
Dalla Fiat, che prima delle bombe era solita mandare panettoni, sono arrivati solo diktat e imposizioni che hanno avuto, come conseguenza, licenziamenti in massa, subappalti, ritmi di lavoro disumani, perdita di garanzie e diritti, impoverimento dei salari, perdita di futuro.
Bisogna che questi ponti fra lavoratori italiani e serbi non vengano distrutti dalla superficialità e dalla propaganda, così come vennero distrutti tanti ponti della Serbia durante i bombardamenti. Vogliono le guerre fra i poveri, ma è ora che i “poveri” comincino a guardare oltre il loro stretto utile quotidiano, perché ci sarà sempre qualcuno più ricattabile pronto a fare gli interessi di manager e aziende senza scrupoli. E gli stessi lavoratori dovranno diffidare dei tanti, soprattutto politici che, a parole, sono con loro ma poi, nei fatti, li lasciano soli. Chi sta rischiando davvero di essere ridotto alla fame, sono soltanto loro, i lavoratori. Pensano di ridurli a più miti pretese, tenendoli sotto ricatto. Ma potrebbero sbagliare e dare modo alla solidarietà di avere il sopravvento.
E allora, questa Fiat Bomba davvero potrebbe diventare un veicolo affidabile, da prodursi in cooperazione Italo-Serba. La Fiat Bomba, della solidarietà.
Questa potrebbe davvero essere prodotta in Serbia, proprio in quella fabbrica, la Zastava, distrutta dai bombardamenti del 1999. Ci racconta Rajka Veljovic, del sindacato Samostalni, che ormai non esiste più, messo all’angolo e lasciato senza i secondi…
“Nel 99 fummo uniti a difendere la Zastava. Stavamo dentro, invitammo le maggiori testate televisive europee per dire che non avremmo abbandonato quella che era la nostra seconda casa. Ma ci bombardarono lo stesso.”.
L’intera intervista è riportata nel film-documentario “L’urlo del Kosovo”, che in questi giorni esce unitamente al libro di cui Tommaso Di Francesco ha scritto appassionata recensione il 23 luglio.
Quella che era la Torino dei Balcani, la città jugoslava di Kragujevac e quella che era la Fiat dei Balcani, la Zastava, furono bombardate senza nessun tipo di remora o ritegno, il giorno della Pasqua ortodossa, mandando in frantumi strutture, macchinari e… uova pasquali, colorate e pronte da distribuire fra i lavoratori. In un vortice dove tutto si mischia, vita e morte, dramma e grottesco, lacrime e scoppi di risate, fu bombardata quella che era la seconda casa di questi lavoratori, così come tutta la Serbia e così come tutto il Kosovo, ultima amputazione in ordine cronologico della Jugoslavia, ultimo schiaffo in faccia a i Serbi.
A Kragujevac un inquinamento ambientale spaventoso dovuto alle fuoriuscite di materiale tossico e oli combustibili usati nelle lavorazioni industriali, ha causato e causa tuttora, nascite con malformazioni e l’insorgenza di malattie tumorali mentre i profughi, che da Kragujevac a Kraljevo vivono sparsi in decine di migliaia, molti dei quali provenienti dalle fabbriche satelliti della Zastava, in particolare da Pec, nel Kosovo occidentale, hanno reso, loro malgrado, la situazione di vita quotidiana drammatica per tutti. Cacciati senza nessuna possibilità di ritorno dalla loro terra, dalla loro vita, nel giro di poche ore dal 10 giugno del 1999, con la Kfor che assisteva “distratta” alle violenze dell’estremismo panalbanese, vivono spesso di sussidi, aiuti, e lavori saltuari. Lavoro diventato una chimera anche per chi lo aveva sempre avuto garantito.
Salari che non arrivano ai 200 euro, prezzi che salgono alle stelle, le verdure più semplici che arrivano anche a un euro al chilo, mentre rasenta i due euro al chilo la carne, senza contare le spese fisse per elettricità, riscaldamento e altro, con il dinaro che ogni mese perde punti, (dall’inizio dell’anno a oggi è passato da 95 per 1 euro ai 105 attuali), se non fosse per le secolari capacità di adattamento alla tragedia delle donne e degli uomini di questo popolo, sarebbe la catastrofe.
E invece, eccoli che ancora resistono. Si resiste a Kragujevac, città che nell’ottobre del ’41 vide intere generazioni di uomini e ragazzi e adolescenti ammazzate in un giorno e mezzo dalla belva nazifascista. Oggi un parco ricorda quell’eccidio al cui confronto le nostre Fosse Ardeatine diventano una carezza. Sa sopportare la gente di Kragujevac il destino avverso, ci vuole ben altro che un Marchionne qualunque per piegarla. Ma questa contrapposizione fra lavoratori italiani e serbi fa molto male, soprattutto a loro. Perché nella sede del vecchio sindacato campeggiano alle pareti le foto della solidarietà, che ancora unisce i lavoratori italiani e serbi, attraverso i sostegni a distanza di centinaia di famiglie di operai o ex operai della Zastava. Dalla Fiat non è arrivata una lira, ancora oggi, mentre dai lavoratori delle varie organizzazioni sindacali la solidarietà non è mai mancata, da quel maledetto 24 marzo 1999 fino a oggi. Non avrebbero mai pensato di doversi trovare coinvolti in queste strumentalizzazioni, vere e proprie guerre fra poveri.
Dalla Fiat, che prima delle bombe era solita mandare panettoni, sono arrivati solo diktat e imposizioni che hanno avuto, come conseguenza, licenziamenti in massa, subappalti, ritmi di lavoro disumani, perdita di garanzie e diritti, impoverimento dei salari, perdita di futuro.
Bisogna che questi ponti fra lavoratori italiani e serbi non vengano distrutti dalla superficialità e dalla propaganda, così come vennero distrutti tanti ponti della Serbia durante i bombardamenti. Vogliono le guerre fra i poveri, ma è ora che i “poveri” comincino a guardare oltre il loro stretto utile quotidiano, perché ci sarà sempre qualcuno più ricattabile pronto a fare gli interessi di manager e aziende senza scrupoli. E gli stessi lavoratori dovranno diffidare dei tanti, soprattutto politici che, a parole, sono con loro ma poi, nei fatti, li lasciano soli. Chi sta rischiando davvero di essere ridotto alla fame, sono soltanto loro, i lavoratori. Pensano di ridurli a più miti pretese, tenendoli sotto ricatto. Ma potrebbero sbagliare e dare modo alla solidarietà di avere il sopravvento.
E allora, questa Fiat Bomba davvero potrebbe diventare un veicolo affidabile, da prodursi in cooperazione Italo-Serba. La Fiat Bomba, della solidarietà.
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venerdì 23 luglio 2010
Lettera aperta al popolo serbo
L’arresto del criminale kosovaro albanese Ramus Haradinaj è stato il mezzo bicchiere d’acqua che vi hanno fatto bere per mandare giù l’ennesima pillola avvelenata: il pronunciamento della corte di giustizia (quale giustizia?) dell’Aja, che si è espressa a favore della autoproclamata indipendenza del Kosovo monoetnico.
C’è da scommettere che, fra qualche mese, il criminale verrà di nuovo rilasciato o, al limite, condannato, ma lievemente, ci mancherebbe altro. Magari, vedrete, solo per aver tentato di manipolare le prove a sua accusa. E sarà come multare un killer incallito per aver parcheggiato male la sua auto.
Vi stanno fagocitando, col malaffare, con l’ingiustizia e la corruzione. Richiudete le vostre frontiere! Rifiutate a questa Europa vile, meschina e malavitosa, l’ingresso sul vostro sacro suolo!
All’aeroporto di Belgrado, da un po’ di tempo, vedo arrivare e partire sempre più frequenti frotte di gente maleducata e arrogante, prepotenti delle nuove generazioni e ignoranti delle precedenti. Piccoli e medi imprenditori, a caccia di braccia da lavoro a basso costo, quando non a caccia delle vostre donne, per i loro luridi tornaconti. Vestono bene, questi torvi personaggi, hanno portafogli gonfi. Così come le frotte di attorucoli da strapazzo che vengono nelle vostre città con aria annoiata e scostante, a girare chissà quali inutili fiction televisive, quasi non bastasse l’inutilità delle loro vite, vere e proprie fiction di quotidiana stupidità.
Fermateli alle frontiere! Ripristinate i visti d’ingresso, controllate chi entra e chi esce, che vi stanno prendendo l’Anima! Negategliela!
Negate alla Fiat di venire a banchettare sulla vostra pelle, negate a questi avvoltoi di vegliare sul vostro sfinimento, negate agli sciacalli la vostra storia! Gettate nel Danubio e nella Sava quei politici corrotti che hanno studiato in America, mentre i vostri figli non riuscite a farli studiare più neppure nelle vostre scuole! Gettate a fiume queste marionette, traditori della vostra storia, gente che in televisione va a strappare applausi e consensi, in giacche e cravatte alla moda, ma poi regala i vostri soldi agli avvoltoi che oscurano il vostro cielo. Vi stanno abbandonando sempre più, vendendosi e strappandosi vesti pur di entrare nella Nato e avere il proprio meschino compenso! Si, la Nato, quella che vi ha bombardato e ridotto a terzo mondo, proprio quella, dove fra un po’ entrerete per farne parte da vassalli. Fra non molto, li vedrete scorrazzare, coi loro autoblindo oscurati, sulle vostre strade chiedendo e ottenendo precedenza nel vostro traffico quotidiano. Con la vostra polizia e il vostro esercito ossequiosi a farli passare. Tutto nel nome della sicurezza mondiale. Del resto, già lo fanno in quella che è stata la terra dei vostri padri, il Kosovo e Metohija.
Impediteglielo!
Fatevi promotori di un fronte balcanico che si opponga e resista all’avanzata della barbarie guerrafondaia, allo strapotere della banche, alle minacce dell’arroganza politica. Non abbiate timore perche, tanto, vi ridurranno ugualmente alla fame. Non abbiate timore perché, tanto, non c’è nulla da perdere. Il gioco è truccato, il ricatto vi seppellirà.
Soli, avete ancora una speranza.
Soli, avete ancora di che mangiare, di che bere, di che offrire all’onesto viaggiatore. Fatene vostro unico tesoro. Restate liberi, nella dignità. Noi, la dignità l’abbiamo sepolta da un pezzo, con la memoria di noi stessi.
C’è da scommettere che, fra qualche mese, il criminale verrà di nuovo rilasciato o, al limite, condannato, ma lievemente, ci mancherebbe altro. Magari, vedrete, solo per aver tentato di manipolare le prove a sua accusa. E sarà come multare un killer incallito per aver parcheggiato male la sua auto.
Vi stanno fagocitando, col malaffare, con l’ingiustizia e la corruzione. Richiudete le vostre frontiere! Rifiutate a questa Europa vile, meschina e malavitosa, l’ingresso sul vostro sacro suolo!
All’aeroporto di Belgrado, da un po’ di tempo, vedo arrivare e partire sempre più frequenti frotte di gente maleducata e arrogante, prepotenti delle nuove generazioni e ignoranti delle precedenti. Piccoli e medi imprenditori, a caccia di braccia da lavoro a basso costo, quando non a caccia delle vostre donne, per i loro luridi tornaconti. Vestono bene, questi torvi personaggi, hanno portafogli gonfi. Così come le frotte di attorucoli da strapazzo che vengono nelle vostre città con aria annoiata e scostante, a girare chissà quali inutili fiction televisive, quasi non bastasse l’inutilità delle loro vite, vere e proprie fiction di quotidiana stupidità.
Fermateli alle frontiere! Ripristinate i visti d’ingresso, controllate chi entra e chi esce, che vi stanno prendendo l’Anima! Negategliela!
Negate alla Fiat di venire a banchettare sulla vostra pelle, negate a questi avvoltoi di vegliare sul vostro sfinimento, negate agli sciacalli la vostra storia! Gettate nel Danubio e nella Sava quei politici corrotti che hanno studiato in America, mentre i vostri figli non riuscite a farli studiare più neppure nelle vostre scuole! Gettate a fiume queste marionette, traditori della vostra storia, gente che in televisione va a strappare applausi e consensi, in giacche e cravatte alla moda, ma poi regala i vostri soldi agli avvoltoi che oscurano il vostro cielo. Vi stanno abbandonando sempre più, vendendosi e strappandosi vesti pur di entrare nella Nato e avere il proprio meschino compenso! Si, la Nato, quella che vi ha bombardato e ridotto a terzo mondo, proprio quella, dove fra un po’ entrerete per farne parte da vassalli. Fra non molto, li vedrete scorrazzare, coi loro autoblindo oscurati, sulle vostre strade chiedendo e ottenendo precedenza nel vostro traffico quotidiano. Con la vostra polizia e il vostro esercito ossequiosi a farli passare. Tutto nel nome della sicurezza mondiale. Del resto, già lo fanno in quella che è stata la terra dei vostri padri, il Kosovo e Metohija.
Impediteglielo!
Fatevi promotori di un fronte balcanico che si opponga e resista all’avanzata della barbarie guerrafondaia, allo strapotere della banche, alle minacce dell’arroganza politica. Non abbiate timore perche, tanto, vi ridurranno ugualmente alla fame. Non abbiate timore perché, tanto, non c’è nulla da perdere. Il gioco è truccato, il ricatto vi seppellirà.
Soli, avete ancora una speranza.
Soli, avete ancora di che mangiare, di che bere, di che offrire all’onesto viaggiatore. Fatene vostro unico tesoro. Restate liberi, nella dignità. Noi, la dignità l’abbiamo sepolta da un pezzo, con la memoria di noi stessi.
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martedì 13 luglio 2010
L'Urlo del Kosovo (vedi: http://www.uniroma.tv/?id_video=16852 )
Nell’ambito dell’iniziativa “C’è un bambino che...”, ospitalità di bambini e ragazzi profughi di guerra provenienti dalla Serbia, giunta al nono anno e organizzata in collaborazione fra l’associazione “Un Ponte per...” e l’Ateneo di Tor Vergata,
siamo lieti di invitarvi alla serata di saluto di Mercoledì 14 luglio, a partire dalle ore 17,30 presso il piazzale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Roma Tor Vergata, via Columbia 1.
Nell’occasione, alle ore 18 nell’aula Moscati (primo piano, edificio B, davanti la Presidenza) verrà proiettato in anteprima il documentario: “L’Urlo del Kosovo”
video-film sulle conseguenze subite dalla popolazione civile dopo i bombardamenti della Nato del 1999 sulla Jugoslavia e in particolare su Serbia e Kosovo.
Verrà inoltre presentato il libro omonimo di Alessandro Di Meo, edito da Exòrma.
Sarà presente l’autore.
(vedi: http://www.uniroma.tv/?id_video=16852 )
A seguire, nel piazzale della Facoltà,
musica popolare e ritmica, balli, cibi e bevande, oltre alla rakìja!
Sarà un’occasione per accostarsi in modo discreto al dramma e alla sofferenza
di una delle tante ingiustizie del nostro mondo, che cerchiamo,
anche attraverso la presenza dei ragazzi,
di raccontare con la dolcezza di sguardi pieni di futuro.
Vi aspettiamo.
siamo lieti di invitarvi alla serata di saluto di Mercoledì 14 luglio, a partire dalle ore 17,30 presso il piazzale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’università di Roma Tor Vergata, via Columbia 1.
Nell’occasione, alle ore 18 nell’aula Moscati (primo piano, edificio B, davanti la Presidenza) verrà proiettato in anteprima il documentario: “L’Urlo del Kosovo”
video-film sulle conseguenze subite dalla popolazione civile dopo i bombardamenti della Nato del 1999 sulla Jugoslavia e in particolare su Serbia e Kosovo.
Verrà inoltre presentato il libro omonimo di Alessandro Di Meo, edito da Exòrma.
Sarà presente l’autore.
(vedi: http://www.uniroma.tv/?id_video=16852 )
A seguire, nel piazzale della Facoltà,
musica popolare e ritmica, balli, cibi e bevande, oltre alla rakìja!
Sarà un’occasione per accostarsi in modo discreto al dramma e alla sofferenza
di una delle tante ingiustizie del nostro mondo, che cerchiamo,
anche attraverso la presenza dei ragazzi,
di raccontare con la dolcezza di sguardi pieni di futuro.
Vi aspettiamo.
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Alessandro Di Meo,
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Un Ponte per
venerdì 4 giugno 2010
Parola di Manolo!
COMUNICATO STAMPA
I morti sono almeno 19 e i feriti circa 160 di cui alcuni molto gravi, ci dice
Manolo Luppichini appena uscito dall’aeroporto militare di Ciampino. I morti
non li ha visti direttamente, la sua fonte è Jennie Campbell, una delle
infermiere che viaggiavano sulla Mavi Marmara, australiana, imbarcatasi insieme
al marito, tuttora sequestrato dagli israeliani.
La Campbell gli ha riferito di aver contato 19 cadaveri e di aver visto
gettare in acqua diversi corpi. In effetti tuttora risultano mancanti all’
appello venticinque persone.
Dalla nave su cui viaggiava,la Sfintoni-8000, Manolo ha assistito alla
battaglia con cui i militanti per la pace hanno tentato di resistere all’
assalto dei soldati israeliani che tentavano d’impossessarsi della nave turca.
Hanno cercato di difendere con grande coraggio la “mission” per cui avevano
affrontato il viaggio: portare aiuti al popolo di Gaza e testimoniare come la
solidarietà sia più potente del blocco imposto da Israele.
Non ci sono riusciti. Si sono battuti a mani nude o con gli arredi della nave
contro i soldati armati di pistole, taser, bombe sonore e sostenuti dalle
sventagliate di mitra sparate dagli elicotteri militari.
Anche sulla Sfintoni-8000 c’è stata tanta paura e alcuni feriti, sebbene
nessuno avesse opposto resistenza. Manolo ora si chiede che fine abbia fatto
PAUL LARUDEE, un signore californiano di oltre sessant’anni , co-fondatore del
“free Gaza movement”, colpito prima dal micidiale taser (la pistola elettrica
vietata in Italia perché produce una sorta di elettrochoc ) e poi gettatosi dal
ponte facendo “perdere tempo” agli israeliani che lo inseguivano e pagandola
molto cara, visto che quando è stato ripescato e portato al centro di
detenzione mostrava evidenti segni di pesanti percosse. Di lui non si sa dove
sia, forse è ancora sequestrato in Israele, o forse è ricoverato in qualche
ospedale.
Anche Manolo è stato picchiato, la sua colpa era di voler comunicare con la
famiglia o il consolato, ma si è trovato davanti dei soldati un po’ nervosi che
lo hanno buttato a terra e lavorato ai fianchi. Ha parecchi ematomi e una
costola contusa, quindi gli è andata bene! Poi è stato tenuto in isolamento per
dodici ore e solo battendo sulla porta mentre passavano i greci con il loro
console è riuscito ad attirare la loro attenzione affinché questi
sollecitassero il consolato italiano. Dopo l’intervento del console, le cose
sono andate meglio.
Ora che è tornato gli abbiamo chiesto cosa intende fare e lui ci ha risposto
che intanto intende riavere da Israele la strumentazione di lavoro (Manolo fa
il regista) che gli è stata arbitrariamente sottratta; quindi battersi affinché
i materiali costati fatica e vite umane arrivino agli abitanti di Gaza; poi
fare quanto possibile affinché tutti i sopravvissuti siano liberati e
accertarsi che Larudee sia vivo e che possa tornare in California.
I morti sono almeno 19 e i feriti circa 160 di cui alcuni molto gravi, ci dice
Manolo Luppichini appena uscito dall’aeroporto militare di Ciampino. I morti
non li ha visti direttamente, la sua fonte è Jennie Campbell, una delle
infermiere che viaggiavano sulla Mavi Marmara, australiana, imbarcatasi insieme
al marito, tuttora sequestrato dagli israeliani.
La Campbell gli ha riferito di aver contato 19 cadaveri e di aver visto
gettare in acqua diversi corpi. In effetti tuttora risultano mancanti all’
appello venticinque persone.
Dalla nave su cui viaggiava,la Sfintoni-8000, Manolo ha assistito alla
battaglia con cui i militanti per la pace hanno tentato di resistere all’
assalto dei soldati israeliani che tentavano d’impossessarsi della nave turca.
Hanno cercato di difendere con grande coraggio la “mission” per cui avevano
affrontato il viaggio: portare aiuti al popolo di Gaza e testimoniare come la
solidarietà sia più potente del blocco imposto da Israele.
Non ci sono riusciti. Si sono battuti a mani nude o con gli arredi della nave
contro i soldati armati di pistole, taser, bombe sonore e sostenuti dalle
sventagliate di mitra sparate dagli elicotteri militari.
Anche sulla Sfintoni-8000 c’è stata tanta paura e alcuni feriti, sebbene
nessuno avesse opposto resistenza. Manolo ora si chiede che fine abbia fatto
PAUL LARUDEE, un signore californiano di oltre sessant’anni , co-fondatore del
“free Gaza movement”, colpito prima dal micidiale taser (la pistola elettrica
vietata in Italia perché produce una sorta di elettrochoc ) e poi gettatosi dal
ponte facendo “perdere tempo” agli israeliani che lo inseguivano e pagandola
molto cara, visto che quando è stato ripescato e portato al centro di
detenzione mostrava evidenti segni di pesanti percosse. Di lui non si sa dove
sia, forse è ancora sequestrato in Israele, o forse è ricoverato in qualche
ospedale.
Anche Manolo è stato picchiato, la sua colpa era di voler comunicare con la
famiglia o il consolato, ma si è trovato davanti dei soldati un po’ nervosi che
lo hanno buttato a terra e lavorato ai fianchi. Ha parecchi ematomi e una
costola contusa, quindi gli è andata bene! Poi è stato tenuto in isolamento per
dodici ore e solo battendo sulla porta mentre passavano i greci con il loro
console è riuscito ad attirare la loro attenzione affinché questi
sollecitassero il consolato italiano. Dopo l’intervento del console, le cose
sono andate meglio.
Ora che è tornato gli abbiamo chiesto cosa intende fare e lui ci ha risposto
che intanto intende riavere da Israele la strumentazione di lavoro (Manolo fa
il regista) che gli è stata arbitrariamente sottratta; quindi battersi affinché
i materiali costati fatica e vite umane arrivino agli abitanti di Gaza; poi
fare quanto possibile affinché tutti i sopravvissuti siano liberati e
accertarsi che Larudee sia vivo e che possa tornare in California.
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Un Ponte per
lunedì 17 maggio 2010
Viaggi nella memoria
Continuiamo con i nostri viaggi nella memoria.
La memoria di un popolo, quello serbo, scippato delle sue tradizioni, della sua cultura, delle sue radici. Ma che resiste, fra mille tentativi di fiaccarla, questa resistenza.
Un viaggio nel Kosovo e Metohija, per me vuol dire sempre un “magone” che prende la gola. Ogni volta, come la prima volta. La tensione è forte nelle mie meravigliose accompagnatrici e interpreti. Ceca (si legge Zezza), 16 anni, Tanja, 18, Beba 13 e Jadranka 19, qualcuna per la prima volta in Kosovo, qualcuna c’è già stata lo scorso anno, qualcun’altra non può ricordarsi. Perché era bambina e fuggiva, a sua insaputa, fra braccia di genitori terrorizzati.
A Dečani, nell’incanto del monastero, dormiamo ospiti dei sempre gentili e accoglienti monaci. Padre Ilarijom fa le veci di Andrej, improvvisamente partito per Belgrado, e di Petar, che pure conosciamo bene, che è a Gračanica.
Dopo la liturgia, ci vengono offerti caffè, rakija e una gradevole cena, con buon vino rosso. Ci sono anche altre persone, che non si fermeranno a dormire. Vengono da Osojane, una vicina frazione e con una di loro, Sonja, ci scambiamo indirizzi e voglia di fare cose. Progettiamo una festa nel suo villaggio.
Prima di dormire chiedo che venga aperto il salone coi ceri della principessa Milica, moglie del leggendario principe Lazar, cavaliere serbo sconfitto nella battaglia del giugno 1389. I ceri, accesi per la prima volta nel 1924, dopo le guerre balcaniche, furono sostituiti con delle copie per opera di Aleksandar Karadjordjević e sua moglie Marija, le cui riproduzioni campeggiano nel salone. I ceri originali vengono conservati altrove, nel monastero. L’anziano padre Avakum, nome che significa amore per Dio, ci racconta volentieri la storia, benevolo e ben disposto verso quelle dolci figure che mi porto dietro. Vederli parlare, in intimità, è qualcosa che ha a che fare con la spiritualità. Io posso solo filmare questo incontro ed esserne testimone. Un anziano pope che conversa amabilmente e in piena sintonia con delle giovani ragazze del suo popolo, in un posto così sacro. E’ la storia che si fa realtà. E’ il ricordo che si tramanda.
All’alba, le ragazze ottengono un appuntamento davvero insolito. Andiamo alla fonte, scortati da un militare armato, a prendere l’acqua della Bistrica. Sarà l’acqua per il giorno, quella da bere. E’ un rito che nel monastero continuano a ripetere da sempre. L’acqua è fresca, leggermente frizzante e la berremo tutti. Dopo aver assistito alla funzione del mattino, partiamo salutando, uno per tutti, padre Silofont che si stacca per un breve momento dalla liturgia per darci ascolto. Alla mia richiesta di pagare per le stanze, mi risponde con un gentile, sorridente, secco… “Certamente no!”.
Alle otto e mezza siamo a Goraždevac, dove è in programma, per il 14 maggio, la festa popolare per il santo protettore Jeremija, la slava del villaggio. Pare che Jeremija lo protegga davvero il villaggio che, dopo i bombardamenti, è comunque rimasto abitato dai serbi. Ma, forse, Jeremija ha trovato collaborazione nella Kfor che, certo, non si aspettava di venire in Kosovo a proteggere coloro che aveva bombardato. Ma tanto è. C’è vita a Goraždevac!
Questa festa religiosa, osteggiata nel dopoguerra dal governo di Tito, è stata trasformata, nel tempo e furbescamente, in una festa legata alla liberazione dal fascismo, così da poter essere comunque festeggiata. Una sorta di compromesso storico tutto jugoslavo.
E’ quanto ci racconta un professore di chimica in pensione che, con la moglie, è venuto apposta per partecipare alla festa e col quale conversiamo in amicizia.
In questo giorno, la processione con l’icona del santo, con la bandiera serba e con il drappo della comunità esce dalla chiesa intorno alla quale farà tre giri, mentre il campanaro suonerà a festa le campane. Poi, si va a rendere omaggio alla vecchia chiesetta del cimitero, quella del XV secolo, restaurata nel 1960 quando venne rifatto il tetto, ma con ancora la struttura originale ben conservata. Il pope celebra la sua breve funzione davanti la vecchia chiesetta che viene aperta al pubblico per l’occasione.
Poi, la processione prosegue per tutto il villaggio dove, nelle case, sono pronti cibi e bevande da offrire al passaggio del corteo. Tavoli imbanditi, alcuni vegetariani nel rispetto delle usanze, altri… meno, aspettano la folla che sfila nelle strade, rendendo omaggio al santo e chiedendo grazia di protezione e buon raccolto, non disdegnando un pezzo di carne o di pesce arrostito o un bicchiere di vino o una rakija.
Le mie splendide interpreti mi aiutano nelle interviste agli anziani che raccontano le loro esperienze e i loro ricordi legati alla festa. Ne ricaviamo tanto materiale da divulgare ma, intanto, anche loro, oltre a divertirsi, scoprono… proprie radici, tradizioni, provenienze. Ecco che, allora, Ceca parla con le persone rovistando fra suoi ricordi legati ai racconti dei nonni e dei genitori. Conversa con gli anziani, che scopre quasi parenti, abitanti di villaggi nei pressi di Kijevo, villaggio di Klina, dove sono nati i nonni, dove sono nati i genitori, dove è nata anche lei. Dove oggi, però, di serbi non ne nascono più perché cacciati e impossibilitati a tornare.
Ecco che, vincendo iniziali titubanze, con Jadranka chiediamo a delle ragazze che siedono su un muretto della chiesa, cosa fanno, come vivono. E loro ci raccontano che stanno abbastanza bene, vanno a scuola ma non escono molto dal villaggio. Ma è meglio di quando sono dovute fuggire in Montenegro, con altri profughi. E’ meglio vivere a Goraždevac, libertà limitata, che come profughi altrove…
Ecco, ancora, che Tanja va in giro per il paese con la sorella Beba, guidata dal cugino Marko Bogicević, 20 anni, che nel 2003 scampò, uscendone “soltanto” ferito, all’assassinio dei due ragazzi serbi che, con lui, facevano il bagno nella Bistrica, il fiume che porta acqua nei numerosi rivoli e fiumiciattoli che attraversano il villaggio.
Proprio in uno di questi rivoli, davanti al mulino, al termine della processione, un ragazzo si immerge simbolicamente nei quattro sensi della croce, ma pure quattro punti cardinali, che riportano alle fasi della luna, del sole e della coltivazione nei campi.
Sveti Jeremija, san Geremia, continuerà a proteggere il villaggio anche per il prossimo anno. Ma ecco che, improvviso, si scatena un allegro e festoso putiferio!
Decine di ragazzi si buttano nelle basse acque scalciando e bagnando chiunque arrivi a tiro. Il liquido si fa presto fanghiglia dove vengono immersi anche malcapitati, occasionali ma comunque ben disposti visitatori. Tutto rimane nell’ambito della allegra festa, senza mai esagerare e ne farà le spese anche la nostra Jadranka che, fatalmente, verrà coinvolta. Attimi di nervosismo fra Marko e un altro ragazzo che avrebbe voluto buttare in acqua anche la nostra Ceca! Ma si sa, i ragazzi, alla fine, finiscono sempre per litigare quando ci sono di mezzo le ragazze!
Tutto torna a posto in un attimo. Jadranka si aiuterà con un paio di rakije bevute alla serba e con delle buste per calzini. Tornerà nella sua casa a Vitanovac, vicino Kraljevo, zuppa ma felice.
Ma a casa di Marko, dove un pochino Jadranka si asciugherà, incontriamo Dragan il padre di Marko, e Miško, lo zio di Tanja e Beba, cognato di Dragan.
Dopo esserci rifocillati e aver conversato, prima di andarcene Dragan ci mostra la foto appesa in camera sua del luogo dove avvenne la tragedia del 2003. Biciclette dei ragazzi a terra, il fiume e la sua luce strana, un senso di vuoto e di morte tutto intorno.
Ci racconta di quei due ragazzi, uno di 12 e l’altro di 19 anni, ammazzati a fucilate. Della vicina, grande piscina gestita, dopo i bombardamenti, da albanesi e di quando, al passaggio del funerale dei ragazzi, la musica venne alzata a tutto volume, in segno di ulteriore sfregio e disprezzo. A un gruppo di italiani che erano a Goraždevac per progetti di riconciliazione, chiesero quale riconciliazione fosse possibile davanti a tutto quell’odio. La loro risposta fu uno sguardo abbassato.
Ma questi italiani erano lì per un mondo migliore, non potevano né volevano prendere le parti di nessuno anche se, a volte, l’equidistanza rischia di fare ancora più danni. Perché non contempla la ricerca della verità. Equidistanti per un mondo migliore, dunque. Che però, adesso, fa a meno dei serbi.
Fa a meno anche di Jugoslav, 17 anni, ammazzato da albanesi nel 1998, insieme a un suo amico. Miško, il padre, ci racconta quei drammatici momenti…
“Sono ricordi pesanti da raccontare… Io glielo dicevo sempre di stare attento, di non allontanarsi troppo, di non restare mai solo, specie se lontano da casa. Erano nei campi, al lavoro. Il suo amico venne colpito da un proiettile che gli trapassò la testa mentre lui venne colpito al fianco destro. Rimase ore e ore così, senza nessuno a soccorrerlo. Io lo so, chi è stato, avrei voluto e potuto ucciderlo, so bene dove abita. La morte di un figlio, ammazzato in quel modo, ti acceca dal dolore. Ma quando ho visto la sua famiglia, i suoi piccoli figli, in quel momento non ce l’ho fatta. E se anche lo facessi oggi, sarebbe la fine per gli altri serbi del villaggio. Chi capirebbe il mio gesto?”.
Neppure la vendetta gli è rimasta, a Miško. Che deve vedere e sopportare nella sua terra, ormai non più dei monasteri, la Metohija, ma di Haradinaj, il criminale “assolto” all’Aja, al tribunale per i crimini nella Jugoslavia… pattuglie di poliziotti kosovari albanesi, in genere ex terroristi dell’Uck, aggirarsi sulle loro auto con i mitra spianati, in mezzo alla pacifica folla in festa. Percorsi della memoria che lasciano il segno!
Lo lasciano nell’animo di Ceca che, traducendo il racconto di Miško, rimane scossa, sfogo di delicato pianto ma pieno di rabbia… di Jadranka, che scopre storie della sua gente prima sconosciute, appropriandosene, finalmente e con tanta voglia di esserci ancora... di Tanja e Beba, che fanno le esperte, essendo questo il loro secondo viaggio in Kosovo, ma già pensano a feste da tenere nel “loro” villaggio, quello di Osojane.
Salutiamo e ce ne torniamo nel pulmino dove ci attende, oltre a Vinko, l’autista, anche Mijo Ratković, col quale andremo a riprendere suo figlio Josif, per la prima volta in Kosovo, che abbiamo lasciato a Belo Polje, dall’anziano zio Radomir, dove un bellissimo e curato orto ci parla il linguaggio della povera gente, onesta e dignitosa vita, vissuta di cose semplici.
Ripassiamo davanti la casa di Mijo, quella depredata e distrutta, a Belo Polje. Ma Mijo neppure si volta più a guardarla, ormai.
Nella rotonda di Peć, intanto, una gigantografia di William Walker campeggia.
Avanguardia della CIA nella destabilizzazione dell’America latina, capo missione OSCE nel ’99 in Jugoslavia (gli osservatori europei, guidati però da questo americano…), colui che diede il via libera ai bombardamenti Nato, responsabile di tanto dolore e tanta ingiustizia nel mondo, è un altro “benemerito” padre della patria kosovara albanese.
Bandiere a stelle e strisce dalle case gli rendono eterno omaggio.
p.s. Entrando nel Kosovo, dopo un po’ arriva sui nostri cellulari un messaggio…
“Welcome to Italy on TIM network!”
La telefonia mobile in Kosovo è stata tagliata ai serbi. Le schede serbe, quindi, funzionano come se si chiamasse dall’estero. Radomir, l’anziano zio di Mijo che vive nel villaggio di Belo Polje, se vuole chiamare i suoi figli in Serbia, paga come se dovesse chiamare Bill Clinton in USA. Ma a lui interessano solo i suoi figli, per sentirli meno distanti. E sentirsi, meno distante.
Invece no, testardo che è, non lo ha ancora capito che il Kosovo è uno stato indipendente e libero. Da quelli come lui, da quelli come i suoi figli, da quelli come la sua anziana, malata moglie. E se vuole pagare meno, cioè come prima, cosa per lui fondamentale vista la precaria situazione economica che vive, non gli servirà cambiare scheda e metterne una kosovara albanese. Pagherebbe allo stesso modo. Tanto.
No, dovrebbe solo andarsene. Lui e gli altri serbi dei villaggi. Per sempre. Intanto, però, pagherà e molto una telefonata alla figlia. Particolare interessante, la tariffa la paga alla TIM Italia, che gestisce le linee in roaming, credo si dica e si scriva così.
Alla faccia della protezione delle minoranze.
La memoria di un popolo, quello serbo, scippato delle sue tradizioni, della sua cultura, delle sue radici. Ma che resiste, fra mille tentativi di fiaccarla, questa resistenza.
Un viaggio nel Kosovo e Metohija, per me vuol dire sempre un “magone” che prende la gola. Ogni volta, come la prima volta. La tensione è forte nelle mie meravigliose accompagnatrici e interpreti. Ceca (si legge Zezza), 16 anni, Tanja, 18, Beba 13 e Jadranka 19, qualcuna per la prima volta in Kosovo, qualcuna c’è già stata lo scorso anno, qualcun’altra non può ricordarsi. Perché era bambina e fuggiva, a sua insaputa, fra braccia di genitori terrorizzati.
A Dečani, nell’incanto del monastero, dormiamo ospiti dei sempre gentili e accoglienti monaci. Padre Ilarijom fa le veci di Andrej, improvvisamente partito per Belgrado, e di Petar, che pure conosciamo bene, che è a Gračanica.
Dopo la liturgia, ci vengono offerti caffè, rakija e una gradevole cena, con buon vino rosso. Ci sono anche altre persone, che non si fermeranno a dormire. Vengono da Osojane, una vicina frazione e con una di loro, Sonja, ci scambiamo indirizzi e voglia di fare cose. Progettiamo una festa nel suo villaggio.
Prima di dormire chiedo che venga aperto il salone coi ceri della principessa Milica, moglie del leggendario principe Lazar, cavaliere serbo sconfitto nella battaglia del giugno 1389. I ceri, accesi per la prima volta nel 1924, dopo le guerre balcaniche, furono sostituiti con delle copie per opera di Aleksandar Karadjordjević e sua moglie Marija, le cui riproduzioni campeggiano nel salone. I ceri originali vengono conservati altrove, nel monastero. L’anziano padre Avakum, nome che significa amore per Dio, ci racconta volentieri la storia, benevolo e ben disposto verso quelle dolci figure che mi porto dietro. Vederli parlare, in intimità, è qualcosa che ha a che fare con la spiritualità. Io posso solo filmare questo incontro ed esserne testimone. Un anziano pope che conversa amabilmente e in piena sintonia con delle giovani ragazze del suo popolo, in un posto così sacro. E’ la storia che si fa realtà. E’ il ricordo che si tramanda.
All’alba, le ragazze ottengono un appuntamento davvero insolito. Andiamo alla fonte, scortati da un militare armato, a prendere l’acqua della Bistrica. Sarà l’acqua per il giorno, quella da bere. E’ un rito che nel monastero continuano a ripetere da sempre. L’acqua è fresca, leggermente frizzante e la berremo tutti. Dopo aver assistito alla funzione del mattino, partiamo salutando, uno per tutti, padre Silofont che si stacca per un breve momento dalla liturgia per darci ascolto. Alla mia richiesta di pagare per le stanze, mi risponde con un gentile, sorridente, secco… “Certamente no!”.
Alle otto e mezza siamo a Goraždevac, dove è in programma, per il 14 maggio, la festa popolare per il santo protettore Jeremija, la slava del villaggio. Pare che Jeremija lo protegga davvero il villaggio che, dopo i bombardamenti, è comunque rimasto abitato dai serbi. Ma, forse, Jeremija ha trovato collaborazione nella Kfor che, certo, non si aspettava di venire in Kosovo a proteggere coloro che aveva bombardato. Ma tanto è. C’è vita a Goraždevac!
Questa festa religiosa, osteggiata nel dopoguerra dal governo di Tito, è stata trasformata, nel tempo e furbescamente, in una festa legata alla liberazione dal fascismo, così da poter essere comunque festeggiata. Una sorta di compromesso storico tutto jugoslavo.
E’ quanto ci racconta un professore di chimica in pensione che, con la moglie, è venuto apposta per partecipare alla festa e col quale conversiamo in amicizia.
In questo giorno, la processione con l’icona del santo, con la bandiera serba e con il drappo della comunità esce dalla chiesa intorno alla quale farà tre giri, mentre il campanaro suonerà a festa le campane. Poi, si va a rendere omaggio alla vecchia chiesetta del cimitero, quella del XV secolo, restaurata nel 1960 quando venne rifatto il tetto, ma con ancora la struttura originale ben conservata. Il pope celebra la sua breve funzione davanti la vecchia chiesetta che viene aperta al pubblico per l’occasione.
Poi, la processione prosegue per tutto il villaggio dove, nelle case, sono pronti cibi e bevande da offrire al passaggio del corteo. Tavoli imbanditi, alcuni vegetariani nel rispetto delle usanze, altri… meno, aspettano la folla che sfila nelle strade, rendendo omaggio al santo e chiedendo grazia di protezione e buon raccolto, non disdegnando un pezzo di carne o di pesce arrostito o un bicchiere di vino o una rakija.
Le mie splendide interpreti mi aiutano nelle interviste agli anziani che raccontano le loro esperienze e i loro ricordi legati alla festa. Ne ricaviamo tanto materiale da divulgare ma, intanto, anche loro, oltre a divertirsi, scoprono… proprie radici, tradizioni, provenienze. Ecco che, allora, Ceca parla con le persone rovistando fra suoi ricordi legati ai racconti dei nonni e dei genitori. Conversa con gli anziani, che scopre quasi parenti, abitanti di villaggi nei pressi di Kijevo, villaggio di Klina, dove sono nati i nonni, dove sono nati i genitori, dove è nata anche lei. Dove oggi, però, di serbi non ne nascono più perché cacciati e impossibilitati a tornare.
Ecco che, vincendo iniziali titubanze, con Jadranka chiediamo a delle ragazze che siedono su un muretto della chiesa, cosa fanno, come vivono. E loro ci raccontano che stanno abbastanza bene, vanno a scuola ma non escono molto dal villaggio. Ma è meglio di quando sono dovute fuggire in Montenegro, con altri profughi. E’ meglio vivere a Goraždevac, libertà limitata, che come profughi altrove…
Ecco, ancora, che Tanja va in giro per il paese con la sorella Beba, guidata dal cugino Marko Bogicević, 20 anni, che nel 2003 scampò, uscendone “soltanto” ferito, all’assassinio dei due ragazzi serbi che, con lui, facevano il bagno nella Bistrica, il fiume che porta acqua nei numerosi rivoli e fiumiciattoli che attraversano il villaggio.
Proprio in uno di questi rivoli, davanti al mulino, al termine della processione, un ragazzo si immerge simbolicamente nei quattro sensi della croce, ma pure quattro punti cardinali, che riportano alle fasi della luna, del sole e della coltivazione nei campi.
Sveti Jeremija, san Geremia, continuerà a proteggere il villaggio anche per il prossimo anno. Ma ecco che, improvviso, si scatena un allegro e festoso putiferio!
Decine di ragazzi si buttano nelle basse acque scalciando e bagnando chiunque arrivi a tiro. Il liquido si fa presto fanghiglia dove vengono immersi anche malcapitati, occasionali ma comunque ben disposti visitatori. Tutto rimane nell’ambito della allegra festa, senza mai esagerare e ne farà le spese anche la nostra Jadranka che, fatalmente, verrà coinvolta. Attimi di nervosismo fra Marko e un altro ragazzo che avrebbe voluto buttare in acqua anche la nostra Ceca! Ma si sa, i ragazzi, alla fine, finiscono sempre per litigare quando ci sono di mezzo le ragazze!
Tutto torna a posto in un attimo. Jadranka si aiuterà con un paio di rakije bevute alla serba e con delle buste per calzini. Tornerà nella sua casa a Vitanovac, vicino Kraljevo, zuppa ma felice.
Ma a casa di Marko, dove un pochino Jadranka si asciugherà, incontriamo Dragan il padre di Marko, e Miško, lo zio di Tanja e Beba, cognato di Dragan.
Dopo esserci rifocillati e aver conversato, prima di andarcene Dragan ci mostra la foto appesa in camera sua del luogo dove avvenne la tragedia del 2003. Biciclette dei ragazzi a terra, il fiume e la sua luce strana, un senso di vuoto e di morte tutto intorno.
Ci racconta di quei due ragazzi, uno di 12 e l’altro di 19 anni, ammazzati a fucilate. Della vicina, grande piscina gestita, dopo i bombardamenti, da albanesi e di quando, al passaggio del funerale dei ragazzi, la musica venne alzata a tutto volume, in segno di ulteriore sfregio e disprezzo. A un gruppo di italiani che erano a Goraždevac per progetti di riconciliazione, chiesero quale riconciliazione fosse possibile davanti a tutto quell’odio. La loro risposta fu uno sguardo abbassato.
Ma questi italiani erano lì per un mondo migliore, non potevano né volevano prendere le parti di nessuno anche se, a volte, l’equidistanza rischia di fare ancora più danni. Perché non contempla la ricerca della verità. Equidistanti per un mondo migliore, dunque. Che però, adesso, fa a meno dei serbi.
Fa a meno anche di Jugoslav, 17 anni, ammazzato da albanesi nel 1998, insieme a un suo amico. Miško, il padre, ci racconta quei drammatici momenti…
“Sono ricordi pesanti da raccontare… Io glielo dicevo sempre di stare attento, di non allontanarsi troppo, di non restare mai solo, specie se lontano da casa. Erano nei campi, al lavoro. Il suo amico venne colpito da un proiettile che gli trapassò la testa mentre lui venne colpito al fianco destro. Rimase ore e ore così, senza nessuno a soccorrerlo. Io lo so, chi è stato, avrei voluto e potuto ucciderlo, so bene dove abita. La morte di un figlio, ammazzato in quel modo, ti acceca dal dolore. Ma quando ho visto la sua famiglia, i suoi piccoli figli, in quel momento non ce l’ho fatta. E se anche lo facessi oggi, sarebbe la fine per gli altri serbi del villaggio. Chi capirebbe il mio gesto?”.
Neppure la vendetta gli è rimasta, a Miško. Che deve vedere e sopportare nella sua terra, ormai non più dei monasteri, la Metohija, ma di Haradinaj, il criminale “assolto” all’Aja, al tribunale per i crimini nella Jugoslavia… pattuglie di poliziotti kosovari albanesi, in genere ex terroristi dell’Uck, aggirarsi sulle loro auto con i mitra spianati, in mezzo alla pacifica folla in festa. Percorsi della memoria che lasciano il segno!
Lo lasciano nell’animo di Ceca che, traducendo il racconto di Miško, rimane scossa, sfogo di delicato pianto ma pieno di rabbia… di Jadranka, che scopre storie della sua gente prima sconosciute, appropriandosene, finalmente e con tanta voglia di esserci ancora... di Tanja e Beba, che fanno le esperte, essendo questo il loro secondo viaggio in Kosovo, ma già pensano a feste da tenere nel “loro” villaggio, quello di Osojane.
Salutiamo e ce ne torniamo nel pulmino dove ci attende, oltre a Vinko, l’autista, anche Mijo Ratković, col quale andremo a riprendere suo figlio Josif, per la prima volta in Kosovo, che abbiamo lasciato a Belo Polje, dall’anziano zio Radomir, dove un bellissimo e curato orto ci parla il linguaggio della povera gente, onesta e dignitosa vita, vissuta di cose semplici.
Ripassiamo davanti la casa di Mijo, quella depredata e distrutta, a Belo Polje. Ma Mijo neppure si volta più a guardarla, ormai.
Nella rotonda di Peć, intanto, una gigantografia di William Walker campeggia.
Avanguardia della CIA nella destabilizzazione dell’America latina, capo missione OSCE nel ’99 in Jugoslavia (gli osservatori europei, guidati però da questo americano…), colui che diede il via libera ai bombardamenti Nato, responsabile di tanto dolore e tanta ingiustizia nel mondo, è un altro “benemerito” padre della patria kosovara albanese.
Bandiere a stelle e strisce dalle case gli rendono eterno omaggio.
p.s. Entrando nel Kosovo, dopo un po’ arriva sui nostri cellulari un messaggio…
“Welcome to Italy on TIM network!”
La telefonia mobile in Kosovo è stata tagliata ai serbi. Le schede serbe, quindi, funzionano come se si chiamasse dall’estero. Radomir, l’anziano zio di Mijo che vive nel villaggio di Belo Polje, se vuole chiamare i suoi figli in Serbia, paga come se dovesse chiamare Bill Clinton in USA. Ma a lui interessano solo i suoi figli, per sentirli meno distanti. E sentirsi, meno distante.
Invece no, testardo che è, non lo ha ancora capito che il Kosovo è uno stato indipendente e libero. Da quelli come lui, da quelli come i suoi figli, da quelli come la sua anziana, malata moglie. E se vuole pagare meno, cioè come prima, cosa per lui fondamentale vista la precaria situazione economica che vive, non gli servirà cambiare scheda e metterne una kosovara albanese. Pagherebbe allo stesso modo. Tanto.
No, dovrebbe solo andarsene. Lui e gli altri serbi dei villaggi. Per sempre. Intanto, però, pagherà e molto una telefonata alla figlia. Particolare interessante, la tariffa la paga alla TIM Italia, che gestisce le linee in roaming, credo si dica e si scriva così.
Alla faccia della protezione delle minoranze.
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sabato 6 febbraio 2010
Vulcano Mitrovica
Un senso di impotenza e scoramento ci assale ad ascoltare le parole di padre Andrej, monaco del monastero di Dečani, uno dei simboli del Kosovo e Metohija che rischia di essere lasciato al proprio destino dalla forte diminuzione del contingente italiano, chiamato al sacrificio afghano dai vertici Nato e Usa. La sua preoccupazione è pari alla tenacia con la quale il monastero verrà difeso, ci dice, fin quando esisterà anche un solo serbo nella terra di Lazar e Miloš.
La partita si giocherà, a detta anche del capo del contingente italiano in Kosovo, colonnello Grasso, il prossimo 25 aprile, quando ci sarà l’intronizzazione del nuovo patriarca Irenej nel patriarcato di Peć, a pochi chilometri da Dečani. Quello sarà il momento in cui il Kosovo “indipendente”, il Kosovo governato da ex criminali di guerra ora in giacca e cravatta, questi si!, ritenuti affidabili dal mondo politico occidentale, dovrà dimostrare di essere anche “tollerante e democratico”. Ci riuscirà, siamo pronti a scommetterci, ma bisognerà vedere cosa accadrà quando i riflettori saranno spenti e le delegazioni internazionali andate via.
Le parole del colonnello sono improntate a una certa tranquillità, forte anche dell’arrivo, ci dice, di altri contingenti fra i quali quello turco.
Nessuno sembra rendersi conto del peso che certe decisioni hanno sullo stato d’animo delle minoranze serbe. Che siano anche i turchi a garantire pace e sicurezza in un territorio che è stato proprio dai turchi dominato per secoli e secoli, costringendo il popolo serbo a sacrifici immani ancora nelle memoria di intere generazioni appare, francamente, come l’ennesimo affronto ai serbi, che già hanno dovuto subire, negli anni più recenti, oltre alla guerra, lo schiaffo di vedere la propria incolumità affidata al contingente tedesco, che solo nella II guerra mondiale, in divisa SS, ha provocato eccidi inenarrabili. E nel marzo del 2004, quando un pogrom antiserbo fu scatenato dagli albanesi sotto gli occhi “distratti” della Kfor anche tedesca, questa diffidenza serba ha trovato, fatalmente, conferma!
Ma il vero termometro della situazione è Kosovska Mitrovica nord, dove l’acqua e la corrente elettrica continuano a venire razionate per i continui boicottaggi degli albanese a sud, che gestiscono il flusso.
“Qui siamo tutti armati!”, ci dicono nostri amici di Mitrovica nord. Armati, in attesa che il vulcano esploda. Perché la volontà della missione Eulex di realizzare ad ogni costo il famigerato piano Arthisaari, non sarà mai accettato dai serbi che non vogliono staccarsi definitivamente da Belgrado. Perché se questo dovesse mai accadere, anche per i serbi rimasti nei ghetti di tanti sperduti e dimenticati villaggi, sarà la fine. E con loro, sarà la fine per i monasteri ortodossi, molti dei quali patrimonio dell’Unesco, come Dečani, Gračanica, Patriarcato di Peć e altri ancora… Forse non verranno distrutti, ma è già partito il revisionismo che li trasformerà in pietre fondanti, e improbabili, di culture non ortodosse, prime fra tutte, quella albanese musulmana. Soprammobili per un business turistico gestito dalla mafia locale e dalla letale equidistanza di tante ong dal gippone facile!
Intanto, contraddizioni emergono ma non sembrano turbare politiche estere ne scelte che la comunità internazionale continua a proporre a danno dei serbi. A Kosovska Mitrovica nord, a pochi metri dal ponte sull’Ibar che, come il ponte sulla Drina di Ivo Andrić, è divenuto testimone della storia fra i due popoli, negozi gestiti da albanesi con tanto di bandiere Usa e Uck e vecchi manifesti elettorali inneggianti agli “ex criminali” Haradinaj e Tachi, in un via vai di auto senza targa, con targa albanese, con targa serba, vedono tanti serbi fare spesa perché tutto costa meno. E si può pagare in dinari. Ancora a Mitrovica nord, il cimitero turco è intatto e libera è la visita ai defunti… a Mitrovica sud, il cimitero ortodosso è distrutto e per visitarlo si rischia la propria incolumità anche se scortati dalla nuova polizia kosovara, formata da ex militanti dell’Uck. Sempre a nord, un villaggio albanese vive in assoluta tranquillità e libertà di movimento proprio vicino al monastero ortodosso di Sokolica dove le monache non si oppongono certo alla visita di donne albanesi che chiedono grazia di fertilità. Percorrendo la strada che da Vranje, uno dei luoghi più bombardati dalla Nato, ti porta in Kosovo, poco prima delle nuove frontiere imposte dall’Eulex, un villaggio albanese mostra il profilo di minareti musulmani intatti, senza contingenti Kfor a protezione. Siamo in Serbia! Ma a Gračanica, i militari Kfor vigilano giorno e notte, coi loro mitra spianati, sul monastero e sulla comunità serba ghettizzata. Siamo in Kosovo!
Tutto questo mentre a Belgrado molti albanesi del Kosovo portano i propri figli a curare gravi malattie, gentile regalo delle bombe all’uranio impoverito, che non hanno fatto distinzioni. Letale equidistanza…
La sensazione che ancora una volta volontà e scelte politiche tutte occidentali stiano giocando sulla pelle della povera gente è forte. Così come la sensazione che il vulcano esploderà a breve. Per questo c’è bisogno della mobilitazione del mondo culturale e associazionistico non colluso con queste scelte, per questo è stato lanciato l’appello da Un Ponte per… per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri ortodossi(vedi: http://www.unponteper.it/sostienici/petizione.php )
Non è da sottovalutare il pericolo che si sta correndo in quella terra.
Il continuo ricatto a cui è sottoposto il governo serbo, al quale ora si richiede addirittura di entrare nella Nato, e sarebbe l’ennesima provocazione per il popolo serbo del quale molti stigmatizzano il senso di persecuzione atavico ma che, a leggere la storia moderna e non, sembra davvero inevitabile… questo continuo ricatto non tiene conto dell’orgoglio di un popolo da sempre avanguardia dell’Europa ma dall’Europa sempre trattato come merce di scambio sul mercato dell’opportunismo occidentale.
Nel frattempo, le 15 famiglie serbe rimaste a Belo Polije, simboleggiate dall’anziano Radomir che ci offre rakija col sorriso sule labbra, nonostante il tumore che lo affligge e nonostante l’anziana moglie malata di Parkinson, non hanno nemmeno legna a sufficienza per scaldarsi nel rigido inverno balcanico. Ma a chi interessa il loro piccolo, lontano destino quotidiano?
La partita si giocherà, a detta anche del capo del contingente italiano in Kosovo, colonnello Grasso, il prossimo 25 aprile, quando ci sarà l’intronizzazione del nuovo patriarca Irenej nel patriarcato di Peć, a pochi chilometri da Dečani. Quello sarà il momento in cui il Kosovo “indipendente”, il Kosovo governato da ex criminali di guerra ora in giacca e cravatta, questi si!, ritenuti affidabili dal mondo politico occidentale, dovrà dimostrare di essere anche “tollerante e democratico”. Ci riuscirà, siamo pronti a scommetterci, ma bisognerà vedere cosa accadrà quando i riflettori saranno spenti e le delegazioni internazionali andate via.
Le parole del colonnello sono improntate a una certa tranquillità, forte anche dell’arrivo, ci dice, di altri contingenti fra i quali quello turco.
Nessuno sembra rendersi conto del peso che certe decisioni hanno sullo stato d’animo delle minoranze serbe. Che siano anche i turchi a garantire pace e sicurezza in un territorio che è stato proprio dai turchi dominato per secoli e secoli, costringendo il popolo serbo a sacrifici immani ancora nelle memoria di intere generazioni appare, francamente, come l’ennesimo affronto ai serbi, che già hanno dovuto subire, negli anni più recenti, oltre alla guerra, lo schiaffo di vedere la propria incolumità affidata al contingente tedesco, che solo nella II guerra mondiale, in divisa SS, ha provocato eccidi inenarrabili. E nel marzo del 2004, quando un pogrom antiserbo fu scatenato dagli albanesi sotto gli occhi “distratti” della Kfor anche tedesca, questa diffidenza serba ha trovato, fatalmente, conferma!
Ma il vero termometro della situazione è Kosovska Mitrovica nord, dove l’acqua e la corrente elettrica continuano a venire razionate per i continui boicottaggi degli albanese a sud, che gestiscono il flusso.
“Qui siamo tutti armati!”, ci dicono nostri amici di Mitrovica nord. Armati, in attesa che il vulcano esploda. Perché la volontà della missione Eulex di realizzare ad ogni costo il famigerato piano Arthisaari, non sarà mai accettato dai serbi che non vogliono staccarsi definitivamente da Belgrado. Perché se questo dovesse mai accadere, anche per i serbi rimasti nei ghetti di tanti sperduti e dimenticati villaggi, sarà la fine. E con loro, sarà la fine per i monasteri ortodossi, molti dei quali patrimonio dell’Unesco, come Dečani, Gračanica, Patriarcato di Peć e altri ancora… Forse non verranno distrutti, ma è già partito il revisionismo che li trasformerà in pietre fondanti, e improbabili, di culture non ortodosse, prime fra tutte, quella albanese musulmana. Soprammobili per un business turistico gestito dalla mafia locale e dalla letale equidistanza di tante ong dal gippone facile!
Intanto, contraddizioni emergono ma non sembrano turbare politiche estere ne scelte che la comunità internazionale continua a proporre a danno dei serbi. A Kosovska Mitrovica nord, a pochi metri dal ponte sull’Ibar che, come il ponte sulla Drina di Ivo Andrić, è divenuto testimone della storia fra i due popoli, negozi gestiti da albanesi con tanto di bandiere Usa e Uck e vecchi manifesti elettorali inneggianti agli “ex criminali” Haradinaj e Tachi, in un via vai di auto senza targa, con targa albanese, con targa serba, vedono tanti serbi fare spesa perché tutto costa meno. E si può pagare in dinari. Ancora a Mitrovica nord, il cimitero turco è intatto e libera è la visita ai defunti… a Mitrovica sud, il cimitero ortodosso è distrutto e per visitarlo si rischia la propria incolumità anche se scortati dalla nuova polizia kosovara, formata da ex militanti dell’Uck. Sempre a nord, un villaggio albanese vive in assoluta tranquillità e libertà di movimento proprio vicino al monastero ortodosso di Sokolica dove le monache non si oppongono certo alla visita di donne albanesi che chiedono grazia di fertilità. Percorrendo la strada che da Vranje, uno dei luoghi più bombardati dalla Nato, ti porta in Kosovo, poco prima delle nuove frontiere imposte dall’Eulex, un villaggio albanese mostra il profilo di minareti musulmani intatti, senza contingenti Kfor a protezione. Siamo in Serbia! Ma a Gračanica, i militari Kfor vigilano giorno e notte, coi loro mitra spianati, sul monastero e sulla comunità serba ghettizzata. Siamo in Kosovo!
Tutto questo mentre a Belgrado molti albanesi del Kosovo portano i propri figli a curare gravi malattie, gentile regalo delle bombe all’uranio impoverito, che non hanno fatto distinzioni. Letale equidistanza…
La sensazione che ancora una volta volontà e scelte politiche tutte occidentali stiano giocando sulla pelle della povera gente è forte. Così come la sensazione che il vulcano esploderà a breve. Per questo c’è bisogno della mobilitazione del mondo culturale e associazionistico non colluso con queste scelte, per questo è stato lanciato l’appello da Un Ponte per… per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri ortodossi(vedi: http://www.unponteper.it/sostienici/petizione.php )
Non è da sottovalutare il pericolo che si sta correndo in quella terra.
Il continuo ricatto a cui è sottoposto il governo serbo, al quale ora si richiede addirittura di entrare nella Nato, e sarebbe l’ennesima provocazione per il popolo serbo del quale molti stigmatizzano il senso di persecuzione atavico ma che, a leggere la storia moderna e non, sembra davvero inevitabile… questo continuo ricatto non tiene conto dell’orgoglio di un popolo da sempre avanguardia dell’Europa ma dall’Europa sempre trattato come merce di scambio sul mercato dell’opportunismo occidentale.
Nel frattempo, le 15 famiglie serbe rimaste a Belo Polije, simboleggiate dall’anziano Radomir che ci offre rakija col sorriso sule labbra, nonostante il tumore che lo affligge e nonostante l’anziana moglie malata di Parkinson, non hanno nemmeno legna a sufficienza per scaldarsi nel rigido inverno balcanico. Ma a chi interessa il loro piccolo, lontano destino quotidiano?
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