Non so se ne è valsa la pena.
Potevano restarmi, di te, altre immagini,
altri momenti e invece… Ecco che, spesso, nella mia mente, riaffiorano ricordi
di dolore. E il dolore non è bello, anche quando è solo lontano ricordo. Il
dolore appartiene alla vita, è vero. Ma quando resta solo il dolore, sarebbe
meglio se la vita finisse lì. Che terminasse, cessasse di esistere, si
dissolvesse nel vento, lasciandoci in pace.
Ricordo che cominciasti col gettare sale
dietro le tue spalle, antico rito contro il malocchio. Tue compagne di
sventura, prima ferventi credenti, rinnegarono il loro dio, lasciando scritto
in drammatici testamenti che, alla fine di tutto, non avrebbero voluto
sepolture, né cerimonie officiate con spargimenti di incensi, ma Cremazioni.
Sdegnate, rancorose, rabbiose Cremazioni. Insomma, uno sfregio alla fede, di
fronte a tanto insopportabile, inenarrabile, personale strazio.
Ricordo, una notte, la morfina. Seppe
trasformare il tuo dolore, prima in un elenco di desideri terreni, ataviche
preoccupazioni, solo tue, che non osasti mai raccontare, poi in un canto, dolce
lamento notturno, che di Chopin non sospettava neppure l’esistenza. Ricordo
altre litanie notturne, devastanti cantilene accompagnate, in sottofondo, dal
sinistro cigolio dei tuoi metallici bastoni, che accompagnavano
quell’andirivieni senza mèta e senza voglia lungo il corridoio di casa,
divenuto braccio della morte, la tua. Ricordo il tuo volto, ormai privo di
sorriso, stanco ma pure arrabbiato, si, arrabbiato con la vita che ti aveva
tradito in quel modo. E il tuo sguardo, sofferente, accigliato. E la tua ultima
carezza, su tenere guance dove riuscisti ancora a trovare dolcezza.
Mi sono sempre chiesto se tutto quel dolore
valesse la pena di essere vissuto.
C’è chi giura e spergiura di si. Dicono che
sempre ne vale la pena. Proprio come potenti personaggi di stati, in genere
“uniti”, ribadiscono per altre drammatiche situazioni, che sembrano essere
infinite, pure davanti a migliaia di morti innocenti e inconsapevoli.
“It’s
worth the price”, “Ne vale la pena”,
dicono tutti in coro questi torvi, infami personaggi. Avessi saputo...
Avessi saputo, quella candela te l’avrei
spenta.
Perché una candela lo sai, che sta per
spegnersi. Lo sai che non andrà avanti a lungo. E allora, a che serve vederla
esaurirsi, lentamente, per serbare di lei, alla fine, solo immagini monche e
senza sorriso?
Avessi saputo…
Avessi saputo, quella carezza su tenere
guance a cercare dolcezza l’avrei avuta per me. E invece, sei stata costretta a
stare da sola in quei tuoi ultimi attimi, che avrebbero potuto diventare
eterni. Per noi...
Sarebbe stato bello abbracciarci, proprio
come davanti a una partenza per un lungo viaggio che ci avrebbe tenuto distanti
per molto tempo. Magari, ci saremmo detti qualcosa di grande.
Ma a quel tempo non immaginavo neppure
quanto avrei voluto ricordarlo, un tuo sorriso. Un tuo sorriso, un attimo da
portare in eterno nel mio cuore. L’attimo in cui si resta da soli, in un
passaggio difficile e imprevedibile, dove avere qualcuno a cui raccontarlo,
quell’attimo, forse potrebbe aiutare. Magari, proprio a sorridere. Quell’attimo
che qualcuno, un giorno, vorrei fortemente dividesse con me.
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