Il buon, vecchio Petar è seduto vicino a me, mi offre una rakija
di prugne e inizia a raccontare.
Di come qui, a Klina, paesino della Metohija, quella
Metohija il cui nome non si può nemmeno pronunciare nel nuovo Kosovo albanese e
monoetnico, “liberato” dalle bombe della Nato e degli Usa, le cui bandiere
sventolano da balconi di case private e da pennoni di fiammanti pompe di
benzina, banche e hotel, la vita sia diventata impossibile. “Una volta, qui, c’erano
solo serbi”, mi dice Petar... “Se vai al cimitero albanese, te ne accorgi. Le
date riportate sulle tombe hanno date recenti, dal 1999, dopo i bombardamenti,
a oggi. Il nostro, di cimitero, abbandonato, con le tombe divelte, difficile da
visitare per il pericolo di violenze dei fanatici estremisti, ha tombe che
risalgono a tanti anni fa. Puoi capire tante cose, andando a vedere questi luoghi”.
Da lontano, a poche centinaia di metri, si odono spari,
clacson, grida. E’ finita la partita fra Serbia e Albania, gli albanesi
festeggiano.... “Cosa festeggiano, Petar?” – “Festeggiano l’idea della grande
Albania, festeggiano l’averci umiliati a casa nostra, a Belgrado, festeggiano
il nostro peso internazionale, nullo. Avessimo fatto la stessa cosa noi, come
quando dovemmo vergognarci per quei delinquenti a Genova, sarebbe stato il
finimondo, Vedrai, alla fine incolperanno solo noi, anche stavolta. I nostri
politici sono burattini, non si fanno rispettare!”.
Forse, però, è meglio così, penso. Avesse vinto la Serbia o
l’Albania, avremmo avuto reazioni anche peggiori e più violente. “Di questo
puoi stare sicuro!”, aggiunge.
Klina è poco distante, una mezz’ora in macchina, da Velika
Hoča, dove ogni anno, il 12 ottobre, si festeggia il Miholjdan, festa religiosa
ma anche laica, visto che è la festa del vino. Ma da queste parti, sacro e
profano vanno straordinariamente a braccetto, da sempre. Io visito chiese e
fotografo affreschi. Padre Milenko, avvisato dai monaci del monastero di Dečani,
mi accoglie volentieri e mi parla della storia del posto. Poi, mi da le chiavi
delle chiese che visito con Miloš e Zoran, amici che mi accompagnano.
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un "selfie" davanti san Luka, con i miei "assistenti" |
Sono 15 chiese, quattro ormai ridotte a poche pietre a terra, che sarebbe meraviglioso ricostruire, altre due di cui non si sa neppure dove e se davvero furono mai realizzate. La chiesa
di santo Jovan è stata imbiancata da poco. Durante i lavori di
ristrutturazione, eseguiti da una ditta albanese, alcuni operai dovevano andare
sul tetto a togliere la croce. Ma si sono rifiutati, memori della malattia che
colse il ragazzo che distrusse una croce sul tetto della chiesa di Podujevo, durante
il pogrom anti serbo ortodosso del marzo 2004... “Quello è finito troppo male!”,
hanno detto a Milenko.
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Velika Hoča, monastero di sveti Nikola |
A Dečani, intanto,
scritte inneggianti all'Isis sono apparse l'altra mattina sulle mura di
cinta del monastero. Non è una goliardata, hanno arrestato anche sedici
imam a Priština, il mese scorso, per collaborazioni col fondamentalismo. Ma non è la prima volta, poche settimane fa scritte esaltanti l'Uck avevano imbrattato i portoni del monastero, prove tecniche di "grandi albanie" che, pure, non vanno sottovalutate.
Un monastero, quello di Dečani che, ricordiamolo, nostri "valorosi militari" sorvegliano
24 ore su 24!
Ovviamente, il giorno dopo erano tutti in allerta, per la serie: chiudi la
stalla dopo che son scappati i buoi!
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monastero di Dečani, scritte inneggianti all'Isis |
Oggi c’è stata la slava, festa del santo protettore, al patriarcato
di Peć. Sono stato a fotografare gli affreschi di Danilo II, l’arcivescovo,
biografo, architetto e curatore artistico in uno dei periodi più fervidi del
regno di Serbia, dai re Milutin e Stefan Dečanski fino allo zar Dušan. Una
signora mi chiede un foglietto, deve lasciare un messaggio per le preghiere dei
prossimi giorni. Lo prende, ci scrive sopra cose, lo lascia sull’altare e poi
va a pregare davanti l’icona della Madonna, donata a san Sava nel suo viaggio a
Gerusalemme.
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patriarcato di Peć, la tomba di Danilo II |
Il vecchio Petar non è venuto, c’è stato tante volte e gli
fa male vedere quel manifestino attaccato al portone di ingresso al
patriarcato, quello che ricorda i sei ragazzi uccisi nel 1997, quando pochi si
interessavano a quello che succedeva in Kosovo, con molti serbi che venivano fatti sparire dalle bande criminali dell'Uck.
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in morte di Vuk, Ivan, Svetislav, Dragan, Ivan e Zoran |
Petar si ricorda anche del
patriarca Pavle, del suo cammino fra la gente, della sua umiltà e santità, degli
attacchi subiti da squadracce terroriste dell’Uck.... “Oggi anche la chiesa sta
cambiando, fanno entrare tutti nei monasteri, anche gli americani che ci hanno
bombardato e che proteggono questi delinquenti al potere oggi!”.
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il patriarcato di Peć |
Sono parole forti, quelle del buon, vecchio Petar, forse ingenerose
verso chi, in ogni caso, sta cercando di salvaguardare una cultura millenaria dai
pericoli dei nostri giorni. Allora, le addolciamo con un’altra rakija, prima di
andare a dormire. Domani mi attende un altro viaggio che da Klina mi porterà a
Novo Brdo, vicino Gnjilane, in Kosovo. Perché il vero Kosovo è quello ad est, questa,
a ovest, si chiama Metohija e non mi stancherò mai di ripeterlo. E’ nome più
vecchio dell’altro, coniato nel primo medioevo quando i primi regnanti serbi
della dinastia Nemanjia, lasciavano grossi possedimenti a monasteri che
fondavano per la propria sepoltura. L’anima contava più della terrena materia,
a quel tempo.
Ma lungo il corso dell’Ibar, che ieri mi ha portato fin qui,
passando per monasteri dal valore storico enorme, unico anello ancora esistente
e tangibile (quelle mura le puoi toccare con le mani...) fra la Roma cristiana
e papalina e l’Oriente cristiano e bizantino, ancora oggi, a primavera, puoi
respirare il profumo dei lillà che riportano a storie romantiche e molto
terrene, fatte di accoglienza e pensieri felici.
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la chiesa di stara Pavlica |
Passando per monasteri come quelli di Studenica e Sopoćani... chiese
quali Nova e Stara Pavlica (nuova e vecchia chiesa di san Paolo)... sveti
Petar, la più antica della Raška, regione a sud della Serbia dove nacque lo
stato medioevale serbo... fino a Gradac, dove è sepolta la regina Jelena Anžuiska,
Elena d’Angiò, andata in sposa a re Uroš I, terzo figlio di Stefan Nemanjia,
detto “Primo Incoronato”, che ricevette la corona direttamente dal papa romano,
Onorio III, nel 1217... ci sono storie che affascinano il visitatore.
Famosa è quella dei lillà che proprio re Uroš fece piantare
lungo il corso dell’Ibar, divenuto da allora la “Dolina Jorgovana”, la valle dei
lillà, per accogliere nel miglior modo possibile la sua futura sposa. Ancora
oggi, a primavera, una festa ricorda la storia della regina più amata dai
serbi, nobile d’animo, gentile, che promosse arte e cultura in un rapporto
stretto fra l’occidente di provenienza e l’oriente di adozione.
Oppure, a Ljubostinja, nella valle della Morava, in Serbia
centrale, dove la principessa Milica, sposa del principe Lazar morto nella
famosa battaglia del 1389 contro i Turchi, radunò le vedove dei cavalieri serbi
martiri della battaglia, formando una comunità monastica e seppellendo i resti
dei propri cari nel giardino del monastero stesso, con i corpi che furono stipati in piedi, per sfruttare al massimo lo spazio, altrimenti insufficiente ad accoglierli tutti. La leggenda narra che proprio questo fosse il luogo dove Milica e Lazar si innamorarono...
Le spoglie di Milica riposano, dal 1405, sotto
quattro metri e mezzo di terra, al segreto riparo dai turchi invasori e
predatori.
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monastero di Ljubostinja |
Quando Pietro Karadjordjevic I, il re delle guerre balcaniche
di liberazione dai Turchi, cercando la corona d'oro di Lazar nella tomba di Milica, corona che non trovò perchè i Turchi l'avevano già trafugata a Istanbul dove si trova tuttora,
riportò alla luce le spoglie della principessa, gli apparve il suo corpo
intatto. La leggenda narra che rimase immobile, in piedi davanti a lei, per tre
giorni. Quando il viso di lei iniziò a dare segni di
decomposizione, si decise a ricoprirne le spoglie. E, da allora, la principessa non fu più
disturbata.
A Ravanica, invece, riposa il principe Lazar, i cui resti
furono portati via nel continuo peregrinare del popolo serbo negli anni bui
della dominazione turca, per non lasciarli finire nelle mani dell’invasore che
li avrebbe volentieri bruciati, come fece con quelli del santo Sava, fondatore
della chiesa serba ortodossa, bruciati con enorme falò, visibile da tutti, su
una collina a Belgrado, dove oggi sorge la basilica a lui dedicata.
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monastero di Ravanica |
Storie di tempi lontani ma ancora così vive nella cultura
serba, spesso narrate da vecchi poeti accompagnati dal suono delle gusle,
antico strumento monocorde, suonato come un violoncello nelle serate d’inverno,
davanti alla stufa. Storie alle quali se ne aggiungono di attuali, come quella che
vivo direttamente a Draganac, che neppure il buon vecchio Petar conosce.
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le gusle |
Arrivo nel pomeriggio al monastero di Draganac, dove il mio
amico padre Ilarion mi da il benvenuto. Mi mostra i lavori al monastero, da
tempo in fase di ristrutturazione e mi porta a fare una passeggiata sulle
alture che lo circondano. Un pozzo appena realizzato, una grande cisterna in
fase di realizzazione sull’altopiano vicino, dove un monaco da Dečani lavora
con una grande pala meccanica. Un profumo intenso si fa largo, fra funghi,
silenzi e paesaggi di natura incontaminata, che celano le origini del principe
Lazar, nato proprio in un paesino lontano ma visibile alle nostre spalle,
Prilepac. Quassù in alto, Ilarion vorrebbe realizzare una fontana...
“Qui c’è acqua, dalle sorgenti intorno viene spinta fino
quassù, non servirebbe andare troppo nel profondo per trovarla...”. – “Ma cos’è
questo profumo intenso, Ilarion?” – “Questo profumo? Questo è “l’anima della mamma”,
si dice così da noi. E’ la majčina dušica” (si pronuncia: màiccina dùsciza, il timo).
Poco lontano Ilarion vede delle persone al lavoro nei campi.
Li chiama, li saluta, mi dice “se sono serbi risponderanno!”. Infatti,
rispondono e ci invitano a prendere un caffè. Dovrei andare, ma mi lascio
guidare, come sempre, qualcosa da raccontare ci sarà.
Dragan, sua moglie e il figlio stanno lavorando alla loro vigna,
da dove Dragan coglie dell’uva che ci offre con gentilezza. E’ buona, dolce.
Passiamo per un campo recintato, che stona con la natura libera e selvaggia che
circonda. Le scritte sul muro della casa di Dragan, inquietano. Inneggiano alla
grande Albania, anche qui, in questo luogo sperduto, il fanatismo etnico non si
concede pause.
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Draganac, scritte inneggianti alla grande Albania |
“E’ un albanese, che s’è recintato dieci ettari di terra
dopo averne acquistato un quarto da un vecchio serbo che, però, aveva anche dei
fratelli, i quali non erano né informati né d’accordo con la vendita. L’albanese
lo sapeva, ha pagato pochissimo a un intermediario per un pezzo di terra
indefinito, ma ora s’è preso tutto. E il vecchio serbo, non ha visto nemmeno un
euro. Ora abbiamo chiesto giustizia, ci sarà un processo...”.
Storie di truffa, stridono con le storie di lillà, innamoramenti e sepolture
gloriose. Ma è l’attualità. L’albanese sta provando in tutti i modi a cacciare
anche questa famiglia serba, che vive miseramente fra questi fatiscenti, vecchi
casolari e che ci offre uva, acqua, biscotti, rakija e caffè...
“Tempo fa, tornavo in bicicletta, mi hanno superato con la
macchina, sono entrati dentro casa mia, hanno sporcato dappertutto. Quando sono
entrato ho pianto dalla rabbia e per l’umiliazione, ma poi ho pulito tutto e ho ricominciato.
Ci minacciano, ma dove posso vivere, se non qui? Non ho altro...”.
Ritorniamo verso il monastero, in silenzio. Il profumo del timo, l’anima di mamma, ci accompagna. Fra
sogni di fontane e di giustizia, mangiamo l’uva che Dragan ci ha donato. E’ buona, dolce.
4 commenti:
Bello ed esauriente, come sempre.
Due piacevoli sorprese nel testo: le gusle (si, da noi si dice in plurale) e la majčina dušica (Thymus serpyllum), che dovrebbe essere tradotto come l'animetta di madre :) (piccola anima di madre), uno degli infusi più diffusi in Serbia, fatto solo di parti fiorite, raccolto nei prati. Si trova tantissimo anche in Italia. :)
Grazie, Alessandro!
Biljana
grazie a te, Biljana. Era un profumo intenso, meraviglioso, annullava il silenzio intorno e quando l'ho avvertito e Ilarion me ne ha chiarito il significato, ho deciso che ne avrei fatto il titolo del racconto...
ciao!
che meraviglia... Sei un grande, Alessandro!
ma grazie a te, Bilja! un abbraccio.
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