martedì 2 agosto 2011

Memoria e Retorica

Il ministro Brunetta continua coi suoi decreti e le sue circolari a incasinare sempre di più la pubblica amministrazione che, invece di unirsi e metterlo in un angolo, come meriterebbe per le sue follie, lo prende sul serio e si adegua. Si burocratizza sempre più la burocrazia! Non se ne uscirà più, e si rafforzerà il concetto di lavoratori pubblici scansafatiche e profittatori. Mentre i ministri se ne vanno baldanzosi, prepotenti e sempre più ricchi.
Sono i tempi che corrono. Tempi che stanno pianificando il disastro annunciato al quale dovranno prendere parte, loro malgrado, i nostri figli. Tagli senza criterio su tutto ciò che è pubblico, da sbeffeggiare e annullare, dove la fa da padrone Nostro Signore Debito, esaltando l’efficienza e l’agilità, tutte robe moderne, del Privato Profitto.
E lasciamo stare i miliardi di euro regalati al mercato della guerra, con le sue missioni umanitarie sparse per il mondo, con le armi e gli armamenti vari, aerei, elicotteri, navi da acquistare, vendere, scambiare. Che si uccidano migliaia di persone non interessa molto, anche perché, spesso, la cosa nemmeno viene raccontata.
Si è costretti talvolta a parlare, raccogliendoci tutti uniti fraternamente (ma solo un minuto, che è pure troppo…) di qualche soldatino sbadato che salta in aria. Chissà perché, poi, tutta questa irriconoscenza, visto che parte per esportare democrazia, oltre che per pagarsi il mutuo della casa, aperto ai tassi da usura delle democratiche e sempre pulite banche mondiali.
Tutto questo, verrà mai ricordato da qualcuno? Quando i nostri figli pagheranno gli ingenti danni che stanno costruendo per loro, qualcuno ricorderà mai gli inutili Don Chishotte che cercavano di raccontare un’altra verità?
Perché la memoria è la base di tutto, senza memoria non si va da nessuna parte. E si tende a farne a meno. Solo che quando ne fa a meno chi è in evidente malafede ce ne facciamo una ragione. Ma quando a farne a meno sono gli insospettabili, la cosa si fa dura.
Ed ecco che, allora, per entrare nel tema fondante di questo blog, leggo nell'articolo di Tommaso Di Francesco di venerdì 29 Luglio su “il manifesto”, dell'ennesima crisi al confine fra Kosovo e Serbia. Ma, leggendo, ho dovuto segnalare un errore, che voglio ancora credere una svista (anche se la segnalazione è stata ignorata…), dato che a commetterlo è uno dei giornalisti da sempre fra i più attenti della questione jugoslava e balcanica.
Nel presentare queste nuove tensioni al confine fra Serbia e Kosovo, si parla delle sparizioni dei serbi dal giugno del 1999, opera dell’Uck, cosiddetto esercito di liberazione del Kosovo, in realtà formazione terroristica e delinquenziale (vedere: Uck, l’armata nell’ombra, di Sandro Provvisionato).
C’è da ribadire ancora una volta, ma credevo non ce ne fosse bisogno mai più, che i serbi scomparivano si, vittime dei sequestri delle bande dell'Uck, ma già dal giugno del 1998, a bombe Nato lontane! E anche prima, di quella data.
Ogni data è fondamentale, perché consente di riportare tutto dentro la giusta ottica. Non di ritorsione si è trattato, come un lettore distratto e male informato potrebbe capire leggendo di sparizioni e sequestri avvenuti dal giugno del 99, alla fine dei bombardamenti Nato e al rientro degli albanesi dal confine con l’Albania (mèta delle governative operazioni Arcobaleno, chi le ricorda più? Ah, la memoria, questa sconosciuta…) ma di autentica aggressione! Un’aggressione condotta all'interno di uno stato sovrano, contro liberi cittadini che avevano la colpa di essere serbi e abitare una regione che gli albanesi ritengono di loro proprietà, occultando le millenarie presenze delle altre etnie che si cerca di far scomparire dalla memoria storica, insieme ai tanti monasteri e chiese ortodossi. E questo, senza dimenticare i tanti scomparsi e uccisi non serbi, addirittura albanesi, colpevoli solo di essere considerati collaborazionisti semplicemente perché, magari, coltivavano la terra insieme al "nemico" serbo o lo frequentavano per un caffè da prendere insieme.
Nel mio ultimo viaggio in Kosovo e Metohija (dove sta divenendo pericoloso anche solo pronunciarlo questo nome: Metohija, la terra dei monasteri…), in un clima revisionista che vorrebbe cancellate dalla memoria collettiva le radici storiche, culturali e religiose di un intero popolo; dove si introducono nelle scuole programmi adottati dall'Albania che inculcano nelle nuove generazioni fin dalle elementari il concetto di monoetnicità della regione, nel mio ultimo viaggio ho incontrato persone nei villaggi serbi della Metohija che vivono al limite della dignità umana. Famiglie che hanno bisogno di tutto, alle quali le autorità albanesi tagliano l'acqua, monopolizzando fiumi e sorgenti e impedendo, di fatto, la coltivazione minima anche di un orto.
Vorrei chiedere, anche se so bene che la domanda può apparire retorica in quanto difficilmente mi verrà data risposta: come possono tollerare i fautori delle guerre umanitarie, sempre più in voga e sempre più finanziate da tutti i governi che si susseguono, siano essi di destra o di sinistra, questa palese e sfrontata negazione dei diritti umani in Kosovo, quel Kosovo ora "libero e indipendente" dove il premier Thaci è accusato ormai da tutti di traffico di organi umani espiantati in modo violento e infame agli scomparsi degli anni precedenti le bombe della Nato?
Davvero la loro coscienza, che s’indigna davanti ai "pazzi sanguinari" di turno che “ammazzano il loro stesso popolo” e che sono sempre e comunque da bombardare, ma in maniera accettabile e condivisa, con le bombe più intelligenti che esistano, come quelle all'uranio, capaci di avvelenare un popolo per generazioni e generazioni future... davvero la loro coscienza è così intermittente? Davvero il loro difendere i diritti umani è atto così poco equidistante, quando l’equidistanza da sempre è il loro verbo assoluto? Davvero devo pensare siano così in malafede?
Non posso crederlo, né accettarlo. E, spero, anche voi che leggete.

Nel frattempo, si accennava alle nuove tensioni che stanno avvenendo, nel silenzio generale, fra Kosovo e Serbia.
Il governo serbo getta acqua sul fuoco, con politiche improntate al massimo dialogo, ma nel rispetto delle risoluzioni Onu (fa tenerezza questa ostinazione della Serbia ufficiale a credere nelle sirene della “Democrazia” importata a suon di bombe. C’è da credere a questo senso delle istituzioni? O è solo fumo da gettare negli occhi dei serbi, che dovranno in un futuro molto prossimo, ci scommetto, accettare molto di peggio??).
Le autorità albanesi di Pristina, al contrario, soffiano sullo stesso fuoco, forti, come sempre, dell’appoggio dei propri protettori europei e, in particolare, di quelli a stelle e strisce che da un lato si compiacciono per le politiche neoliberiste e per gli arresti eccellenti da consegnare al tribunale dell’Aja, tutta opera dell’attuale governo serbo, ma dall’altro nulla fanno, ad esempio, per accelerare l’incriminazione e l’arresto di quello che da sempre è il loro più grande alleato della regione: quell’Agim Thaci, ex criminale, ora elegante premier in giacca e cravatta del neoNato narcostato, già molto amico della Albright ai tempi degli accordi farsa di Rambouillet.
Ma, certo, la base Usa di Bond Steel, nel sud del Kosovo, la più grande d’Europa, deve essere ben salvaguardata nel territorio! E chi, meglio di astuti e incalliti criminali che, nel frattempo, accrescono i propri loschi affari mafiosi e malavitosi, può farlo? Un’altra domanda retorica, alla quale nessuno risponderà.
Intanto, nel nord del Kosovo, a maggioranza serba, il blocco alle frontiere sta determinando una situazione difficile a causa dell’impedimento al passaggio delle merci, avallato dall’intervento della Kfor che non essendo in grado di pretendere da Pristina lo sblocco delle dogane, fa finta di vigilare per evitare altre violenze ma, di fatto, militarizzando quei confini, rendendoli sempre più difficili da attraversare. Quando l’equidistanza diventa farsa!
In tutto questo, registriamo l’assordante silenzio della comunità internazionale, tutta intenta a continuare le proprie guerre, distruggendo popoli e territori, come in un risiko gigantesco.
Ora, dopo la Libia, che resiste, soffre e muore, toccherà alla Siria. E dopo? Domanda retorica.