giovedì 25 ottobre 2012

Pietre di giustizia...

“Vorrei diventare come una delle pietre che incontro in questi viaggi, testimoni di luoghi dimenticati da Dio, ma non da uomini e donne che resistono e che a quel Dio si rivolgono, quotidianamente, con immutata fede, per chiedere giustizia.”

  1. Velika Hoča
Arrivo in Kosovo e Metohija, a Velika Hoča (si legge Velica Occia) la sera dell’11 ottobre, dopo aver visitato la casa di Miloš Šarkovic, ragazzo 19enne che verrà a studiare in Italia (ha già passato le prove di italiano e il test di ingresso per Fisioterapia all’università di Roma Tor Vergata).  La sua casa si trova a Vidanje, nei pressi di Klina, dove, tra l’edificio sede del comune costruito a immagine e somiglianza della Casa Bianca… tra una statua a madre Teresa di Calcutta... tra una chiesa cattolica nuova di zecca e l’ennesimo monumento agli eroi del “Kosovo indipendente”, cioè albanese monoetnico, assistiamo alla sintesi della reale natura di questa indipendenza forzata che costringe ragazzi come Miloš alla ghettizzazione.
Velika Hoča è tutta un fermento (è il caso di dirlo…). Domani, 12 ottobre, ci sarà il Mihoildan, festa del vino e del santo protettore, istituita solo di recente (prima edizione nel 2003). Da domani si potrà bere il nuovo vino, ma queste restano solo buone intenzioni, pura teoria contraddetta dalle brocche di vino che continuano a fare la spola fra le cantine private e le tavole, discretamente imbandite, delle case.
Velika Hoča, i vigneti
Velika Hoča rivendica un linguaggio e una storia, unici. Gli stessi abitanti si sentono differenti dal resto del Kosovo e Metohija e della Serbia. Gli albanesi della vicina Orahovac, parlano il dialetto locale, almeno questo è quello che mi raccontano. Dal mattino presto si iniziano a disporre i banchetti per l’assaggio del vino e della rakija, mentre altri prodotti tipici si possono trovare in altri banchetti organizzati in terra, sotto grandi alberi. I visitatori arrivano, tutti si salutano, anche se sconosciuti. Si compra tanto nelle cantine, soprattutto in quella di Srdjan, dove ho trovato alloggio per dormire. Nella casa vinicola del monastero di Dečani, la vineria di Dečani, padre Marko va avanti e indietro col trattorino, c’è tanto da fare, si prepara la tavola imbandita per gli ospiti che, dopo la funzione, nel pomeriggio, potranno mangiare e bere. Il tempo non assiste e così, dopo tre mesi di siccità, arrivano le piogge, che offrono un quadro grigio e dimesso della festa. Almeno così ci appare nella funzione religiosa del mattino, col vescovo Teodosije presente alla celebrazione. Incontro Nifont, monaco di Dečani, col quale parlo dei pozzi artesiani che stiamo realizzando per alcune famiglie serbe fra le più isolate. Mi aspettano a Dečani per andare a visitarne qualcuno. Meno dimessa è l’atmosfera nella kafana locale (l’osteria) dove si va avanti fino a tarda sera con canti, bicchieri di rosso e birra. La pioggia fa il suo ingresso trionfale anche all’interno della kafana, attraverso coperture in lamierino approssimative e tutte da rivedere.
Il kolo, ballo etnico serbo
Ma va bene così. Nel pomeriggio con Miloš e Božidar (Boža), abbiamo assistito allo spettacolo di musica e ballo folkloristico serbo. Il finale è stato riservato a un gruppo di ballo di Hoča, a ribadire l’unicità del posto. Ma la festa finisce e domani… domani, il nulla ritorna.
Mi aggiro per le 13 chiese di Velika Hoča, tre delle quali testimoniate dalla presenza delle sole pietre a terra disposte in forma di chiesa (Sveti Petar, Sveti Arhangel Mihailo, Sveta Prečistva), due testimoniate dal solo ricordo di qualche anziano (Sveta Petka e la chiesa senza nome a Dugi Rid) che indica approssimativamente il posto dove queste sorgevano. Le altre sono ancora in buono stato e accessibili. Il pope di Sveti Stefan, Milenko, col quale parlo del mio dottorato di ricerca sulle chiese della Metohija, mi da le chiavi della chiese che, una alla  volta, visito. Chiese dell’undicesimo secolo, alcune del dodicesimo, testimonianza di una cultura che viene da lontano e che si vorrebbe far sparire per sempre, sepolta dalla “damnazio memoriae” che in questi posti sta sostituendo alla verità storica relativa a un popolo, ben documentata e visibile, quella della propaganda più abietta, figlia del dollaro e dei suoi derivati.

Velika Hoča, il monastero di Sveti Jovan
Ci sarà tempo per studiare meglio queste chiese e questi luoghi, unici in tutta la Metohija, vero e proprio cuore dell’Ortodossia Serba. Anche perché piove forte sulla festa. Mi presteranno un ombrello che andrà perso. Commetterò l’errore strategico di andare, l’ultima sera, a casa della famiglia di Božidar, che me lo aveva prestato il giorno prima, per salutare e ridare indietro il mio ombrello al posto del loro. Ne sarei uscito solo a notte fonda, con le gambe leggermente instabili a causa del vino e del cibo offertomi in abbondanza. Ma la discussione con Bojan, cognato di Boža, con Zdravko, padre di Boža e con gli altri presenti, si è fatta via via sempre più interessante, forse anche grazie al buon vino, certo, per capire che non tutto di questa festa piace agli abitanti del posto. Molti la ritengono una forzatura di cui Velika Hoča non aveva bisogno. E mi raccontano di altre feste, più sentite e più antiche, che bisognerà scoprire e conoscere.
 
  1. Patriarcato di Peć e monastero di Dečani
Mi devo incontrare coi monaci di Dečani, in particolare con Isaja, per il progetto che ci vede impegnati nello scavo idi pozzi artesiani per l’approvvigionamento dell’acqua, che vede coinvolte alcune famiglie molto isolate di villaggi serbi. Per incontrare i monaci devo però arrivare al patriarcato di Peć dove oggi, domenica 14 ottobre, c’è la slava del patriarcato, con la presenza anche del patriarca Irinej. Stanno tutti là…
Per le strade percorse da Velika Hoča fino a Peć, si incontrano spesso monumenti a eroi albanesi della liberazione, anche se sembrano un po’ troppi. O sono troppi gli eroi, o sono troppi i monumenti… Accanto a cimiteri albanesi segnalati enfaticamente, sorgono cimiteri ortodossi segnalati dall’abbandono e dal dileggio. Bandiere a stelle e strisce mi accompagnano nel viaggio, così come le moschee in costruzione, che segnano fortemente il territorio. Per trovare il patriarcato, dove sono stato molte volte ma sempre accompagnato da altri, chiedo a una ragazza albanese che, però, non parlando inglese mi fa segno di aspettare. Chiamerà un taxi, che pagherò io e mi farà strada. Ma va bene così.
Al patriarcato incontro molte persone conosciute in questi anni. Sembra di stare al proprio paese, ritrovo Miodrag Dašić, uno degli intervistati nel film L’Urlo del Kosovo. Sta bene, i suoi figli crescono, quasi non li riconosco… Il patriarca Irinej è a pochi metri, ci sono Andrej, coi ragazzi della sua scuola di Teologia di Prizren, Petar, Isaja, Sava, tutti monaci di Dečani. Mi saluta Danijel, monaco del monastero di Zočište.

Il patriarcato di Peć: il patriarca Irinej
Andando via, da lontano riconosco il funzionario dell’Unmik che avevo incontrato a Velika Hoča, nell’ufficio sopra al teatro dove si erano esibiti i gruppi di ballo etnico. E’ un biondino, tedesco, ben vestito, sta con la sua donna. Sfilano via sul loro fuoristrada, sorridenti. Discuteva con Bojan del fatto che anche per i serbi c’è sicuramente un ufficio legale dove potersi rivolgere. C’è negli accordi e loro devono solo cercarlo, trovarlo e utilizzarlo! Come un marziano appena sceso sulla terra, sosteneva le sue tesi con una tale sicumera che avrei voluto quasi… quasi… quasi non si rendesse conto di come vivono i serbi in questi posti, sfoggiava le sue teorie che tanto riscaldano i cuori e gli animi, ma anche i deretani, di chi è seduto a Bruxelles e non si degna di muovere neppure un dito per i diritti di queste persone, ghettizzate e dimenticate.
La sera a Dečani, nella quiete del monastero che più amo, parlo con Isaja e Petar della faccenda pozzi. Se ne possono fare anche altri, i fondi ci sono, la priorità anche. In alcuni casi sono davvero necessari e le persone ne sono soddisfatte e felici. Isaja mi mostra filmini e foto delle trivellazioni e la cosa più curiosa è che a trovare i siti giusti, è stato un uomo dotato di una specie di sesto senso. Quando i peli delle sue braccia si rizzano, ecco che lì, a suo avviso, c’è acqua! E riesce a individuare il posto giusto con una percentuale del 99 per cento! Il sistema non sarà di alto livello tecnologico, ma della sua efficacia non si discute…
Prima dello scavo dei pozzi, individuazione del sito
Il giorno dopo Isaja è impegnato con problemi di vita quotidiana dei villaggi (si devono ridistribuire alcuni macchinari agricoli a nuove famiglie) ma mi indica la strada per andare a visitare alcuni pozzi insieme a qualcuno del villaggio di Osojane. Ovviamente, mi perderò.
 
  1. Osojane e i pozzi
Per arrivare a Osojane, sbaglio varie volte strada e finisco in mezzo a campi e case isolate dove gli albanesi si chiedono cosa ci faccia questa auto italiana in mezzo a boschi sperduti del Kosovo. E me lo chiedo anche io, perché davvero non riesco a trovarla, Osojane, anche se ci sono stato tante volte. Ma un conto è guidare un conto guardare il paesaggio… Il cellulare è isolato (ho numero serbo e non c’è linea per i serbi). Finalmente, col cellulare italiano riesco ad avere un minimo di segnale e parlo con Sonja, che mi consiglia di chiedere a un benzinaio sulla strada principale che lei conosce. E infatti, l’uomo mi da le indicazioni giuste (parla anche un po’ di italiano). Finalmente, passando per strade sterrate, arrivo a destinazione. Ma Sonja ha contrattempi a scuola e allora vado per pozzi con Radovan, autista del pulmino in dotazione al villaggio di Koš, che mi ha portato molte volte in giro per il Kosovo e la Metohija.
villaggio di Berkovo, vicino Osojane: lo scavo di un pozzo
Visito i pozzi realizzati nelle famiglie di Radoman Jeremić e di Zvonko Lazić (dove vive Anastasija, bambina sostenuta col progetto sostegni a distanza). Le famiglie si dicono contentissime del lavoro, solo c’è da istallare la pompa per portare l’acqua all’interno della casa. Sono cose che vanno fatte assolutamente, così come lo scavo per interrare i tubi per proteggerli dal freddo e dal gelo dell’inverno. Registro un paio di filmati brevi, Isaja mi ha già dato molte foto e vado. Devo raggiungere Draganac e vorrei arrivare prima di sera. Ma mi attardo a parlare con Sonja, a casa sua, a Osojane, davanti a una birra e ai tanti peperoni da lavorare con la madre per farne ajvar. Vlasto, il padre, mi offre Rakija ma devo guidare e non posso bere, così me ne regala una bottiglia. Stanno scaricando legna e Sonja racconta quanto sia sempre più difficile ottenere legna dai boschi perché preda degli albanesi che tagliano tutto senza criterio, non permettendo agli alberi di riformare legna per gli anni a venire. Parliamo anche della situazione generale, del tentativo continuo di intromissione nella loro vita quotidiana da parte di chi viene da fuori con l’intento apparentemente amichevole ma, in realtà, con la protervia tutta occidentale del neocolonizzatore! Resto invece favorevolmente impressionato dalla considerazione che si ha del nostro operare, sempre in piena sintonia e condivisione, dove l’amicizia e la solidarietà restano punti fermi e indiscutibili. Vado via con un po’ di tristezza e rassegnazione nel cuore, perchè non è così per tutti.

nei pressi del villaggio di Osojane, scuola e case serbe bruciate
Mi fermo a filmare una scuola che è stata data alle fiamme e mai più ricostruita. Intorno, ci sono case bruciate e depredate. Non solo chiese e monasteri, dunque, danno fastidio ai nuovi padroni di questa terra, ma pure case e scuole, quindi famiglie e bambini. E cultura. E me ne accorgo bene, ce ne fosse ancora bisogno, scendendo con la mia macchina per questa stradina sterrata. Mi fermo e riprendo… la grande piscina coi giochi, sembra di stare a Disneyland!!! Una cattedrale nel deserto con a fianco una vera cattedrale! La nuova chiesa cattolica di Zlokučane. Enorme, sproporzionata, che strano… in un villaggio di albanesi evidentemente cattolici, questo tipo di costruzione non ha nulla da temere. Ma allora non è questione di religione! E la sede della Caritas che vedo dalla strada, mi conferma la cosa. Viaggiando per questa terra, mi resta dentro come una sensazione… che da queste parti sia iniziata una nuova crociata. Ma non contro l’Islam.

Zlokučane, la piscina e la chiesa cattolica
Del resto, non sarebbe la prima volta. La storia parla chiaro (la II guerra mondiale e le tante stragi subite dai serbi, ad opera dell’invasore nazi-fascista), Jasenovac insegna (il campo di concentramento dove preti cattolici diedero il loro contributo allo sterminio di circa un milione di persone, in maggioranza serbi ortodossi). La memoria non si cancella con una bomboletta spray, come fanno sulle strade per cancellare le indicazioni in serbo, volute da quei funzionari che giurano di operare per la reale multietnicità di questa terra, ma poi girano le spalle e se ne vanno, come il tedesco-marziano di prima! Hotel di lusso, monumenti “agli eroi del Kosovo liberato” e pompe di benzina ovunque… moschee e chiese cattoliche crescono… ma le strade vanno in pezzi e diventano pericolose per chi non ha Jeep e fuoristrada su cui sfrecciare.

  1. Monastero di Draganac
Dopo essere passato davanti al monastero di Gračanica, aver sfiorato il lago Gračaničko, arrivo a Draganac, nel buio di strade e tornanti, sbagliando, ad un incrocio, la direzione. Ma qui la toponomastica dei luoghi non confonde molto, anche se le scritte in serbo sono cancellate. I nomi derivano tutti dalla lingua serba, la versione albanese è solo una mera traduzione letterale (che spesso, in albanese, non significa nulla).

nei pressi di Gračanica, il lago Gračaničko
Vengo aiutato a ritrovare la strada da un vecchietto albanese al quale offro un passaggio. Scettico sulla strada da me scelta per andare al monastero, si fa lasciare vicino Novo Brdo, il paese del sindaco che crede di stare “nel Kansas City!” (vedi report di agosto…). Ma la strada la ricordo bene, adesso. Passo vicino la chiesa di Sveta Bogorodica, a Bostane. Finalmente arrivo al monastero, non c’è Ilarion, ancora in giro. Arriverà dopo una mezz’ora. Mentre prendo le mie cose, mi lampeggia con la sua auto, appena avuta in dono dalla Kfor. Parliamo un po’ ma è molto stanco, andiamo a preparare la stanza nell’edificio della foresteria, ancora in ristrutturazione. Ilarion mi da tutto nuovo, cuscino, coperta, lenzuola. Ci sono molte zanzare, sono creature di Dio ma io le ammazzo tutte prima di dormire!
Il giorno dopo mi sveglio presto, in tempo per la funzione delle sei, cui assisto. Penso che questo farà piacere a Ilarion che, però, scenderà solo alle nove. Non sta bene, gli fa male un piede per una distorsione del giorno prima. Così assisto in silenzio alla funzione, circondato da vendicative zanzare scampate allo sterminio notturno. Solo una breve pausa quando esco per prendere dalla mia auto il vestiario portato dall’Italia. Ilarion deve andare alla scuola, è in ritardo. Andiamo con la mia auto perché, mentre lui terrà lezione, io andrò da Valentina Ristić, una delle accompagnatrici del gruppo ospitato al mare ad Anzio, nel settembre scorso. Le indicazioni al solito, mi portano altrove finché Valentina non mi chiama per telefono e mi dice di fermarmi perché, da lontano, mi ha visto.
villaggio di Jasenovik, vecchie case serbe
Arriva ansimante e, finalmente, andiamo. Valentina contraccambia la visita di Roma con la visita dei suoi luoghi. Siamo nel villaggio di Jasenovik, nel comprensorio di Gnjilane. Mi mostra le vecchie case, mi racconta delle persone che le abitavano prima della guerra. Poi i suoi ricordi, attraverso alberi, boschi, ruscelli. Ecco la vallata dove i serbi avevano trovato da vivere durante l’occupazione turca, nel medioevo. Non c’è più nulla ma lì esistevano e sopravvivevano i serbi, lontani dal pericolo. Lì, nessuno li ha mai trovati. Ci sono stradine e ruscelli dove Valentina non passa, perché le ricordano momenti allegri dell’infanzia, per sempre scomparsi. Andiamo dalla sua nonna, ultranovantenne, che vuole offrirmi da mangiare, ma dobbiamo andare via subito… “Come è pensabile non poter offrire nulla a un ospite?”. E così mi regala le sue noci, che dimenticherò nella borsetta di Valentina.

villaggio di Jasenovik, foto ricordo con Valentina e la nonna
Arriva Dušan, anche lui in Italia a settembre, fratello di Valentina. Ci accompagna per il bosco e per le vecchie case, dove Valentina mi mostra la macchina, antica, per macinare la farina di mais, il giogo dei buoi per il carro, il vecchio carro e il pozzo dell’acqua, scavato a mano, antichissimo anche lui. Poi, Dušan sale su un albero, arrampicandosi con agilità, solo per cogliere una mela per Valentina. Andiamo a mangiare a casa sua, dove c’è il padre. Poi, insieme andiamo a scuola da Ilarion, dove incontro la mamma di Valentina. Sono entrambe insegnanti. Parliamo della situazione e mi chiedono se è possibile fare qualcosa per due ragazzini di 11 anni, dal villaggio di Carevce, che hanno problemi a raggiungere la scuola (Sveti Sava) perché spesso sono oggetto di rimostranze pericolose da parte degli albanesi dei villaggi vicini, che devono attraversare per andare a scuola. Ci vorrebbe un auto. Forse potremmo fare qualcosa col progetto pozzi, ma ne devo parlare in associazione. Con Ilarion stiamo per andare a visitare un pozzo in costruzione anche in questa zona, dove Svetlana, della cucina Popolare, svolge la sua attività. Ma piove e i lavori non possono essere avviati oggi. Tornerò presto. Ilarion mi mostra una scuola dove non ci sono riscaldamenti, se non con sette vecchie e pericolose stufe a legna per sette aule. Ce ne sono altre di scuole così, ma prendiamo questa come esempio. Se ne potrebbe fare un bel progetto da farsi finanziare, a scuola vanno 17 bambini più insegnanti e con 6-7 mila euro forse si riesce a completare un bell’impianto, con tanto di isolamento termico di tutta la scuola. Si dovrà cercare anche fra altre associazioni che potrebbero essere interessate alla ristrutturazione.

scuola del villaggio di Gornj Makreš, Gnjilane: la stufa a legna
E poi, Ilarion mi parla ancora del ragazzo in cerca di aiuto per acquistare una decina di pecore da allevare. Lui ha promesso che farà qualcosa, ma non è facile trovare quei mille, millecinquecento euro per inanziare la cosa. Nella scuola, inoltre, c’è il papà di Dragana, ospitata in Italia, che chiede di poter venire per un lavoro qualunque, anche solo per tre mesi. Non gli do molte speranze, chiederò, ma so che è difficile.
Nel pomeriggio parto per Kraljevo, dopo aver festeggiato Ilarion e i suoi 38 anni. Ci sono ospiti, uno dei quali mi mostra in un vecchio video Ilarion attore di cinema! Ma i tempi sono andati e anche io devo andare. Ma appena qualche chilometro dal monastero, fra tornanti e pioggia insistente, la mia auto inizia ad avere problemi. Rumore preoccupante, perdita di potenza, vado pianissimo. A Priština, provo a mettere un litro di olio, cercando di non parlare serbo (qualche parola mi viene spontanea, a volte…). Ma niente. Non è l’olio il problema. Arrivo a Mitrovica molto tardi. Mitrovica che sta al buio, l’energia elettrica se ne è andata all’improvviso. Parcheggio e trovo una stanza in un piccolo hotel. Mi riposo.
  1. Kraljevo
L’indomani uno scaltro meccanico mi permetterà almeno di raggiungere Kraljevo dove al “Club du France Service” mi ripareranno l’auto, che aveva la turbina rotta. Alla frontiera, scene di quotidiana follia, tra fili spinati ed elicotteri militari che volano sulla testa delle persone. Una frontiera divisa in tre, con la prima parte presidiata dai civili della “Barricate”, la seconda parte presidiata dall’Eulex, con funzionari Usa e militari del Marocco sulla loro Jeep… e la terza parte presidiata dall’esercito serbo. Una frontiera che tiene divisa la Serbia dai serbi di Kosovska Mitrovica nord. Se non è follia questa…

La frontiera fra Serbia e Kosovo e Metohija
Ma mentre riparano la mia auto, c’è la presentazione in “anteprima assoluta mondiale!!!”, del video-film Vento di Mare (Vetar s’ mora). È il film sull’ospitalità a Celle Ligure, a luglio scorso, del gruppo di ragazzini provenienti da Kraljevo, organizzata con la Croce Rossa Serba di Kraljevo. La proiezione avviene proprio in sede CR, alla presenza di tutti i ragazzi (manca solo Aleksandar che non ha avuto il permesso dalla scuola), dei loro genitori, parenti, qualche amico e dello staff della Croce Rossa al completo. Tutti si divertono e ridono, qualcuno si pente di qualche propria performance ma l’atmosfera è allegra, divertita e c’è molta condivisione. Alla fine ci si abbraccia e ci si saluta, come buoni amici.
Kraljevo, sede della Croce Rossa Serba: proiezione del film "Vento di mare"
Resto a parlare dei sostegni, manderemo presto l’ultima rata (anche se dobbiamo prima mandare le rate per le 20 famiglie in Kosovo e Metohija). Chiedo notizie di Tamara, la ragazzina malata di tumore alla testa, per la quale tutta la città si è mobilitata e per la quale anche noi abbiamo contribuito, con mille euro. Non può volare fino a Mosca, almeno per ora. Sta seguendo un ciclo di terapie a Belgrado, sotto il controllo dei medici russi.

Vado a trovare Rade, autista del pullman Kondor, da anni nostro collaboratore e “autista ufficiale” di molte nostre iniziative. Mi aiuta a ritirare l’auto dal meccanico, Dejan, molto amico di Ilarion e dei monaci che conosco. Resto a dormire dalla famiglia Milanović. Marko sarà a novembre in Italia per i controlli di turno. Ha preparato la sua prima grappa da solo e me ne regala due litri, orgoglioso.
Il viaggio di ritorno avviene senza problemi. Miloš è rimasto qualche giorno in più a Vidanje, dai suoi. Tornerà a Roma per l’inizio delle lezioni a Tor Vergata. Ceca, invece, torna con me, risparmiando i soldi del biglietto aereo.  Sta per iniziare la sua avventura da studentessa di Infermieristica Pediatrica presso l’università di Roma Tor Vergata. Non è più tempo di ospitalità e di vacanze organizzate. E’ arrivato il tempo di studiare per il proprio futuro. In bocca al lupo. E che crepi…