giovedì 29 settembre 2016

Buonanotte, Noodles.


 Caro Noodles, mi è capitato oggi di sbrigarmi per tornare a casa.

Non ce ne era motivo, ma era come se dovessi fare presto per venire a darti da mangiare. Sono arrivato, sono entrato con la macchina in giardino, al solito mi è venuto spontaneo cercare la tua sagoma fra quelle dei tanti gatti che ormai da anni popolano la nostra casa. Tu non c’eri. Come non c’eri stato la sera prima, al ritorno dal mare. Io sapevo che saresti spuntato da qualche parte, come facevi sempre. A volte, te ne stavi a capo di quel comitato d’accoglienza cui manca solo di alzare cartelli al nostro ritorno, dal lavoro, da una breve vacanza, ieri dal mare. Cartelli con su scritto “Bentornati!” o, più prosaicamente: “Bastardi, era ora che vi ricordaste di noi!”.
Da quel giorno in cui ti prendemmo, dentro una scatola di cartone, con tua sorella, sono passati più di tre anni. Era un primo maggio, passato fra cibi biologici e tavoli di solidarietà, fra vino e libri. Tua madre era morta e cercavano qualcuno che si prendesse cura di due minuscoli esseri quali eravate tu e tua sorella. Ti si dava il latte con una siringa, siringa che, per te, non c’era bisogno di premere: succhiavi quel latte con una forza impensabile. E poi, con la nostra Lepa che da poco aveva partorito tre cagnolini, non avevi problemi a ciucciarle latte, mentre la accarezzavo e tenevo quelle piccole "belve" dei suoi cuccioli chiusi in cantina, che non ti avrebbero certo permesso di startene comodo lì, a scorazzarle sulla pancia! Tua sorella non ce la fece, troppo debole e troppo poco disperatamente attaccata alla vita, come invece ti dimostrasti tu.
Ti viziammo già da allora, ma eri un piccolo orfanello, vittima di un grave deficit di “accudimento” e tu, ogni volta, ce lo ricordavi, facendo il “pane” e attaccandoti ai nostri maglioni come fossimo Lepa di quei giorni. Fra i cuccioli di Lepa c’era Vago, che tenemmo e che divenne nostro e tuo grande amico, anche se, quando entravate in casa a coppia, come due gringo in un saloon, lui ti andava sempre a fregare rimasugli di cibo nella tua ciotola. Ma lo tolleravi, con l’aristocrazia tipica del gatto che si chiede, facendo le proprie pulizie sulla sua poltrona:”Ma ‘sto plebeo di cane, che ci fa qui?”
E adesso?
E adesso basta. Ti sei preso tutta la scena come meglio non avresti potuto. Tu non sei sparito come gli altri, senza lasciare una traccia, un biglietto, un verso, no... tu sei rimasto qui, fino alla fine. E ti ho trovato. Non è stato bello, sai? No, non è stato bello andare verso la cantina per posare cose e vederti, piccola macchia bianca nell’oscurità, giacere a terra senza vita. Altri, prima di te, sono spariti nel nulla, lasciando ferite mai completamente rimarginate. Gastone, Mocciolo, Virgola... tu no, tu sei rimasto. E ti ho trovato.
Si, adesso basta con il solito tornare a casa e sbirciare, fra parole di circostanza, se ci sei o no. “Prendete gli zaini, le buste della spesa le prendo io” e, con la coda dell’occhio ma soprattutto del cuore, vedere se spunti da qualche parte, da un cespuglio, da dietro un vaso, dal tetto, da sotto un tavolo, da sopra una gatta. Basta.
Basta col cercarti fra mille sensazioni, basta col pensarti fra i mille pericoli di una vita davvero felina, una o tre, cinque o sette vite che importa? C’eri, tornavi, ti si rivedeva, tutto svaniva in un lampo: “Oh, ecco il buon Noodles!”. Eri ancora tu, come sempre, tutto poteva riprendere coi soliti ritmi del tuo viverci accanto.
Basta con la poltrona che avevi fatto tua ma che spesso nemmeno ti bastava, ne volevi altre, le nostre, quasi a dire: “Se vi ci mettete voi, perché non io?”. Basta con le sfiancanti richieste di cibo, mai abbastanza per te, per poi chiedere di uscire che le gatte, là fuori, aspettavano. Basta con il tuo fare da despota, imperatore dei gatti, re incontrastato che nessuno poteva scalzare dal trono. Tante le tue vittime, forse ti avranno anche odiato. Milady, la tua gatta preferita, no.


Con lei, spesso ti affacciavi alla finestra, a spiare cosa avveniva all’interno della casa, pronto a sfruttare il minimo errore, una finestra socchiusa, per entrare e, guarda un po’, chiedere cibo.
Sei stato un grande, Noodles. Ma, come nel film “C’era una volta in America”, avessimo puntato su di te, avremmo perso. E oggi, abbiamo perso.
Ora c’è un salice a farti compagnia. E’ piccolo ma ha buone radici. Se avrà la tua stessa voglia disperata di vita, ce la farà. E ti terrà accanto, in quel letto che ti ho preparato stamattina, all’alba, una scatola avvolta in un telo a ripararti dall’umidità. Un letto annaffiato dalle nostre lacrime, che uscivano inarrestabili e improvvise e così dolci per te, nel ricordo delle tante risate assieme. Dalla "tua" finestra, adesso quel salice si vede bene. Da quella finestra, continueremo a cercarci.
Che la terra ti sia lieve, buon Noodles. E che sappia custodire tutto di te, come un segreto dentro una piramide.







p.s. Ti ho messo del cibo, accanto. Dovessi mai svegliarti, avresti sicuramente fame. Buonanotte, Noodles.