mercoledì 26 dicembre 2012

L'appuntamento


Questa è la copertina del mio ultimo libro, "L'appuntamento".
Costa 15 euro, spese di spedizione comprese. Chi lo vuole, può chiedermelo in privato.

L'ho finito pochi giorni fa, quando tutti si aspettavano, facendo finta, la fine del mondo. Io mi aspettavo solo la fine di questo libro.
Adesso che è finito, mi manca. Mi manca starlo a rileggere, cambiare questa o quella parola, una virgola. Mi manca quel non volermene separare, quel non saperlo ormai letto da altri. Un po' come con i figli, quando se ne vanno per la propria strada. Sarai contento per loro, ma ti mancheranno.

Però, è strano. A mancare, dovrebbero essere i libri che si leggono, quando li finisci, non quelli che scrivi.

Vi riporto solo la quarta di copertina. Serve a questo, una quarta di copertina, a far capire cosa si andrà a leggere. O a lasciar perdere.

"In viaggio in una Serbia ancora ferita e umiliata dai bombardamenti della Nato nel '99, un volontario di una Ong italiana si ritrova a vivere il dramma della figlia, Maddalena, che si ammala improvvisamente. Così lontano, in quelle ore drammatiche che precedono il tunnel nel quale sarà costretto a vivere per giorni e giorni, fisserà un appuntamento.
Diario spietato e struggente di un'estate passata fra angoscia e speranza.".

martedì 20 novembre 2012

Schiaffo in Serbo (paghi 2 prendi 3)

Ennesimo schiaffo alla Serbia e al popolo serbo! Lo accuseranno anche stavolta di fare del vittimismo d'accatto? C'è da scommetterci...
 
 
I due ex generali croati, Ante Gotovina e Mladen Markac, "ex criminali" già condannati in prima istanza a 24 e 18 anni per crimini di guerra commessi durante l'operazione Tempesta dell'agosto del 1995 quando furono protagonisti della pulizia etnica ai danni dei serbi delle Krajne e della Slavonia, uccisi a migliaia e cacciati a centinaia di migliaia dalle loro terre, non essendo serbi ma croati, non essendo ortodossi ma cattolici, hanno avuto "giustizia" al tribunale "super partes" dell'Aja.
Il primo, Gotovina, fu catturato nel 2005 in vacanza alle Canarie, il secondo si  consegnò nel 2004 insieme a Ivan Cermak, altro generale croato già assolto in passsato dallo stesso tribunale dove fu "lasciato morire" l'ultimo presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic, contro il quale, dopo oltre quattro anni di detenzione forzata e di auto-difesa, non fu dimostrato un solo capo d'accusa.
Rimaniamo in "spasmodica" attesa per capire quale sarà la sorte di un altro "ex criminale" non serbo, Ramush Haradinaj, l'albanese kosovaro già a capo dell'Uck, formazione terroristica dove svolgeva il suo ruolo anche l'attuale premier kosovaro,  Agim Tachi, accusato di traffico d'organi umani espiantati ai serbi rapiti e fatti sparire prima, durante e dopo il '99, anno della "guerra umanitaria" scatenata dalla Nato a protezione di queste "brave persone"... Haradinaj è stato assolto, poi riarrestato, poi liberato, poi di nuovo in galera e verrà giudicato prossimamente sempre all'Aja. Possiamo scommettere su un'altra mite condanna, se non addirittura su una assoluzione, anche qui per mancanza di prove? (del resto, molti testimoni chiave sono stati già fatti fuori in modo molto "misterioso"...).
Le scene di giubilo ed esultanza a Zagabria nessuno le definirà mai manifestazioni di "fanatico nazionalismo". Quelle valgono solo per i Serbi! Entra, Serbia, entra nell'Unione Europea! A patto che tu dimentichi i tuoi figli nel Kosovo e Metohija, a patto che tu rinneghi la tua storia, la tua unicità.
Vogliono l'anima del tuo popolo, da sempre fiero, mai strisciante ai piedi dell'invasore di turno, tanto da essersi fatto spezzare le ossa per secoli dai turchi, per anni dai nazisti delle SS e dagli ascari ustascia, i fascisti croati, molto sodali e vicini a quelli italiani, che nuovamente si affacciano nei Balcani, travestiti da "umanitari", in una nuova crociata anti-slava. Il tutto, con la santa benedizione di quel  Vaticano che, all'epoca. era ben rappresentato da elementi come monsignor Aloizije Stepinac, beatificato da Giovanni Paolo II in piena crisi jugoslava, nel 1992, a Zagabria (quando Pannella, indossando la divisa ustascia, vi organizzò il congresso radicale...), o come il prete cattolico Filippo Majstorovic, detto "fra Satana", agli ordini di Stepinac e autore di massacri di serbi nel campo di sterminio di Jasenovac, sempre durante la II guerra mondiale. Il campo di sterminio di Jasenovac, sconosciuto a tanti, dove un milione di deportati furono sterminati, a migliaia i bambini... perchè serbi, perchè ortodossi, perchè comunisti, perchè rom, perchè ebrei. Ingiustizia regna, incontrastata, nel cuore dell'Europa "civile e democratica"...

P.S. per l'assoluzione decretata all'Aja oggi, 29 novembre 2012, di Haradinaj, nemmeno ci spreco un post. Del resto, l'avevamo facilmente previsto. Bentornati a casa vostra, ragazzi! Il lavoro è finito.

mercoledì 7 novembre 2012

Era una notte buia e tempestosa.

Era una notte buia e tempestosa.

Ero in cucina, lavavo piatti. Dalla siepe una luce forte mi stava entrando in casa. Chi poteva mai essere a quell’ora, con quel buio, con quella tempesta di pioggia e vento? Ho aperto la finestra e subito una voce mi è giunta forte e chiara…
Alessà, er cane tuo sta a cercà i cuccioli! Co’ sta pioggia non li trova più! Se sta a infilà in mezzo alla rete, se fa male.!”…
Il cane mio? I cuccioli? Ma quali cuccioli… Lepa mica era incinta!
Esco fuori di corsa, metto gli stivali, circondato dai gatti che mi urlano…
Lassa perde, nun ciannà, è na trappola!”, ma io niente, non li ascolto. Corro e cerco, alla luce del faro della vicina e trovo… una buca grande, piena di fango e acqua, la pioggia che scende, a diluvio… la buca l’ha fatta Lepa, giorni e giorni fa, cercando il posto dove far nascere i propri cuccioli, che nemmeno sospettavo… ora capisco il punto che fissava, che voleva raggiungere, abbaiando, tutta la notte se necessario, notti fa… l’avevo legata, perché era scappata e si era ferita, l’avevo legata per proteggerla ma lei niente, doveva andare, quel punto che indicava doveva raggiungerlo… e io a darle della cretina, quando il cretino ero io! Quel punto era quella buca, dove aveva fatto nascere i suoi cuccioli!
La vicina illumina, io cerco di liberare la buca dalla pietra che è franata sopra, zuppo di fango e acqua finalmente la tolgo, Lepa mi sta vicino… come a indicare, a consigliare, apprensiva e preoccupata e poi… ecco, affondo la mia mano e dal fango tiro fuori… un batuffolo nero, sporco, bagnato, lo metto di lato e ne cerco altri… e ne trovo un altro, identico, batuffolo nero e sporco, bagnato… mi scivolano ancora nella buca, li riporto su, Lepa cerca di prenderli… sento guaiti, forse ce ne sono altri, ma la mano non trova nulla. La pioggia si fa intensa, devo portarli al riparo, apro la cantina e Lepa si infila sotto una damigiana, quel posto le piace, la capisco, piace anche a me, ma adesso sarà suo… libero lo spazio, gli metto carta di giornale e stracci a terra, asciugo i cuccioli. E le faccio da mangiare… Sono tutto bagnato, sporco di fango, i gatti a ribadire…
Te l’avevamo detto, era una trappola! E adesso? Tutti ‘sti cani…”.
La notte passò tranquilla. Tra un cambio di giornali e stracci, tra un cibo preparato con più amore, ho dormito anche io. Ma il giorno dopo…
il guaito che avevo lasciato, costretto dalla pioggia e dall’emergenza per i cuccioli trovati e da mettere al riparo, ebbe un volto… è quello di questa foto.
Lepa era tornata a prendere l’ultimo cucciolo. E l’aveva portato in cantina. Un posto ottimo, per festeggiare una nascita.

giovedì 25 ottobre 2012

Pietre di giustizia...

“Vorrei diventare come una delle pietre che incontro in questi viaggi, testimoni di luoghi dimenticati da Dio, ma non da uomini e donne che resistono e che a quel Dio si rivolgono, quotidianamente, con immutata fede, per chiedere giustizia.”

  1. Velika Hoča
Arrivo in Kosovo e Metohija, a Velika Hoča (si legge Velica Occia) la sera dell’11 ottobre, dopo aver visitato la casa di Miloš Šarkovic, ragazzo 19enne che verrà a studiare in Italia (ha già passato le prove di italiano e il test di ingresso per Fisioterapia all’università di Roma Tor Vergata).  La sua casa si trova a Vidanje, nei pressi di Klina, dove, tra l’edificio sede del comune costruito a immagine e somiglianza della Casa Bianca… tra una statua a madre Teresa di Calcutta... tra una chiesa cattolica nuova di zecca e l’ennesimo monumento agli eroi del “Kosovo indipendente”, cioè albanese monoetnico, assistiamo alla sintesi della reale natura di questa indipendenza forzata che costringe ragazzi come Miloš alla ghettizzazione.
Velika Hoča è tutta un fermento (è il caso di dirlo…). Domani, 12 ottobre, ci sarà il Mihoildan, festa del vino e del santo protettore, istituita solo di recente (prima edizione nel 2003). Da domani si potrà bere il nuovo vino, ma queste restano solo buone intenzioni, pura teoria contraddetta dalle brocche di vino che continuano a fare la spola fra le cantine private e le tavole, discretamente imbandite, delle case.
Velika Hoča, i vigneti
Velika Hoča rivendica un linguaggio e una storia, unici. Gli stessi abitanti si sentono differenti dal resto del Kosovo e Metohija e della Serbia. Gli albanesi della vicina Orahovac, parlano il dialetto locale, almeno questo è quello che mi raccontano. Dal mattino presto si iniziano a disporre i banchetti per l’assaggio del vino e della rakija, mentre altri prodotti tipici si possono trovare in altri banchetti organizzati in terra, sotto grandi alberi. I visitatori arrivano, tutti si salutano, anche se sconosciuti. Si compra tanto nelle cantine, soprattutto in quella di Srdjan, dove ho trovato alloggio per dormire. Nella casa vinicola del monastero di Dečani, la vineria di Dečani, padre Marko va avanti e indietro col trattorino, c’è tanto da fare, si prepara la tavola imbandita per gli ospiti che, dopo la funzione, nel pomeriggio, potranno mangiare e bere. Il tempo non assiste e così, dopo tre mesi di siccità, arrivano le piogge, che offrono un quadro grigio e dimesso della festa. Almeno così ci appare nella funzione religiosa del mattino, col vescovo Teodosije presente alla celebrazione. Incontro Nifont, monaco di Dečani, col quale parlo dei pozzi artesiani che stiamo realizzando per alcune famiglie serbe fra le più isolate. Mi aspettano a Dečani per andare a visitarne qualcuno. Meno dimessa è l’atmosfera nella kafana locale (l’osteria) dove si va avanti fino a tarda sera con canti, bicchieri di rosso e birra. La pioggia fa il suo ingresso trionfale anche all’interno della kafana, attraverso coperture in lamierino approssimative e tutte da rivedere.
Il kolo, ballo etnico serbo
Ma va bene così. Nel pomeriggio con Miloš e Božidar (Boža), abbiamo assistito allo spettacolo di musica e ballo folkloristico serbo. Il finale è stato riservato a un gruppo di ballo di Hoča, a ribadire l’unicità del posto. Ma la festa finisce e domani… domani, il nulla ritorna.
Mi aggiro per le 13 chiese di Velika Hoča, tre delle quali testimoniate dalla presenza delle sole pietre a terra disposte in forma di chiesa (Sveti Petar, Sveti Arhangel Mihailo, Sveta Prečistva), due testimoniate dal solo ricordo di qualche anziano (Sveta Petka e la chiesa senza nome a Dugi Rid) che indica approssimativamente il posto dove queste sorgevano. Le altre sono ancora in buono stato e accessibili. Il pope di Sveti Stefan, Milenko, col quale parlo del mio dottorato di ricerca sulle chiese della Metohija, mi da le chiavi della chiese che, una alla  volta, visito. Chiese dell’undicesimo secolo, alcune del dodicesimo, testimonianza di una cultura che viene da lontano e che si vorrebbe far sparire per sempre, sepolta dalla “damnazio memoriae” che in questi posti sta sostituendo alla verità storica relativa a un popolo, ben documentata e visibile, quella della propaganda più abietta, figlia del dollaro e dei suoi derivati.

Velika Hoča, il monastero di Sveti Jovan
Ci sarà tempo per studiare meglio queste chiese e questi luoghi, unici in tutta la Metohija, vero e proprio cuore dell’Ortodossia Serba. Anche perché piove forte sulla festa. Mi presteranno un ombrello che andrà perso. Commetterò l’errore strategico di andare, l’ultima sera, a casa della famiglia di Božidar, che me lo aveva prestato il giorno prima, per salutare e ridare indietro il mio ombrello al posto del loro. Ne sarei uscito solo a notte fonda, con le gambe leggermente instabili a causa del vino e del cibo offertomi in abbondanza. Ma la discussione con Bojan, cognato di Boža, con Zdravko, padre di Boža e con gli altri presenti, si è fatta via via sempre più interessante, forse anche grazie al buon vino, certo, per capire che non tutto di questa festa piace agli abitanti del posto. Molti la ritengono una forzatura di cui Velika Hoča non aveva bisogno. E mi raccontano di altre feste, più sentite e più antiche, che bisognerà scoprire e conoscere.
 
  1. Patriarcato di Peć e monastero di Dečani
Mi devo incontrare coi monaci di Dečani, in particolare con Isaja, per il progetto che ci vede impegnati nello scavo idi pozzi artesiani per l’approvvigionamento dell’acqua, che vede coinvolte alcune famiglie molto isolate di villaggi serbi. Per incontrare i monaci devo però arrivare al patriarcato di Peć dove oggi, domenica 14 ottobre, c’è la slava del patriarcato, con la presenza anche del patriarca Irinej. Stanno tutti là…
Per le strade percorse da Velika Hoča fino a Peć, si incontrano spesso monumenti a eroi albanesi della liberazione, anche se sembrano un po’ troppi. O sono troppi gli eroi, o sono troppi i monumenti… Accanto a cimiteri albanesi segnalati enfaticamente, sorgono cimiteri ortodossi segnalati dall’abbandono e dal dileggio. Bandiere a stelle e strisce mi accompagnano nel viaggio, così come le moschee in costruzione, che segnano fortemente il territorio. Per trovare il patriarcato, dove sono stato molte volte ma sempre accompagnato da altri, chiedo a una ragazza albanese che, però, non parlando inglese mi fa segno di aspettare. Chiamerà un taxi, che pagherò io e mi farà strada. Ma va bene così.
Al patriarcato incontro molte persone conosciute in questi anni. Sembra di stare al proprio paese, ritrovo Miodrag Dašić, uno degli intervistati nel film L’Urlo del Kosovo. Sta bene, i suoi figli crescono, quasi non li riconosco… Il patriarca Irinej è a pochi metri, ci sono Andrej, coi ragazzi della sua scuola di Teologia di Prizren, Petar, Isaja, Sava, tutti monaci di Dečani. Mi saluta Danijel, monaco del monastero di Zočište.

Il patriarcato di Peć: il patriarca Irinej
Andando via, da lontano riconosco il funzionario dell’Unmik che avevo incontrato a Velika Hoča, nell’ufficio sopra al teatro dove si erano esibiti i gruppi di ballo etnico. E’ un biondino, tedesco, ben vestito, sta con la sua donna. Sfilano via sul loro fuoristrada, sorridenti. Discuteva con Bojan del fatto che anche per i serbi c’è sicuramente un ufficio legale dove potersi rivolgere. C’è negli accordi e loro devono solo cercarlo, trovarlo e utilizzarlo! Come un marziano appena sceso sulla terra, sosteneva le sue tesi con una tale sicumera che avrei voluto quasi… quasi… quasi non si rendesse conto di come vivono i serbi in questi posti, sfoggiava le sue teorie che tanto riscaldano i cuori e gli animi, ma anche i deretani, di chi è seduto a Bruxelles e non si degna di muovere neppure un dito per i diritti di queste persone, ghettizzate e dimenticate.
La sera a Dečani, nella quiete del monastero che più amo, parlo con Isaja e Petar della faccenda pozzi. Se ne possono fare anche altri, i fondi ci sono, la priorità anche. In alcuni casi sono davvero necessari e le persone ne sono soddisfatte e felici. Isaja mi mostra filmini e foto delle trivellazioni e la cosa più curiosa è che a trovare i siti giusti, è stato un uomo dotato di una specie di sesto senso. Quando i peli delle sue braccia si rizzano, ecco che lì, a suo avviso, c’è acqua! E riesce a individuare il posto giusto con una percentuale del 99 per cento! Il sistema non sarà di alto livello tecnologico, ma della sua efficacia non si discute…
Prima dello scavo dei pozzi, individuazione del sito
Il giorno dopo Isaja è impegnato con problemi di vita quotidiana dei villaggi (si devono ridistribuire alcuni macchinari agricoli a nuove famiglie) ma mi indica la strada per andare a visitare alcuni pozzi insieme a qualcuno del villaggio di Osojane. Ovviamente, mi perderò.
 
  1. Osojane e i pozzi
Per arrivare a Osojane, sbaglio varie volte strada e finisco in mezzo a campi e case isolate dove gli albanesi si chiedono cosa ci faccia questa auto italiana in mezzo a boschi sperduti del Kosovo. E me lo chiedo anche io, perché davvero non riesco a trovarla, Osojane, anche se ci sono stato tante volte. Ma un conto è guidare un conto guardare il paesaggio… Il cellulare è isolato (ho numero serbo e non c’è linea per i serbi). Finalmente, col cellulare italiano riesco ad avere un minimo di segnale e parlo con Sonja, che mi consiglia di chiedere a un benzinaio sulla strada principale che lei conosce. E infatti, l’uomo mi da le indicazioni giuste (parla anche un po’ di italiano). Finalmente, passando per strade sterrate, arrivo a destinazione. Ma Sonja ha contrattempi a scuola e allora vado per pozzi con Radovan, autista del pulmino in dotazione al villaggio di Koš, che mi ha portato molte volte in giro per il Kosovo e la Metohija.
villaggio di Berkovo, vicino Osojane: lo scavo di un pozzo
Visito i pozzi realizzati nelle famiglie di Radoman Jeremić e di Zvonko Lazić (dove vive Anastasija, bambina sostenuta col progetto sostegni a distanza). Le famiglie si dicono contentissime del lavoro, solo c’è da istallare la pompa per portare l’acqua all’interno della casa. Sono cose che vanno fatte assolutamente, così come lo scavo per interrare i tubi per proteggerli dal freddo e dal gelo dell’inverno. Registro un paio di filmati brevi, Isaja mi ha già dato molte foto e vado. Devo raggiungere Draganac e vorrei arrivare prima di sera. Ma mi attardo a parlare con Sonja, a casa sua, a Osojane, davanti a una birra e ai tanti peperoni da lavorare con la madre per farne ajvar. Vlasto, il padre, mi offre Rakija ma devo guidare e non posso bere, così me ne regala una bottiglia. Stanno scaricando legna e Sonja racconta quanto sia sempre più difficile ottenere legna dai boschi perché preda degli albanesi che tagliano tutto senza criterio, non permettendo agli alberi di riformare legna per gli anni a venire. Parliamo anche della situazione generale, del tentativo continuo di intromissione nella loro vita quotidiana da parte di chi viene da fuori con l’intento apparentemente amichevole ma, in realtà, con la protervia tutta occidentale del neocolonizzatore! Resto invece favorevolmente impressionato dalla considerazione che si ha del nostro operare, sempre in piena sintonia e condivisione, dove l’amicizia e la solidarietà restano punti fermi e indiscutibili. Vado via con un po’ di tristezza e rassegnazione nel cuore, perchè non è così per tutti.

nei pressi del villaggio di Osojane, scuola e case serbe bruciate
Mi fermo a filmare una scuola che è stata data alle fiamme e mai più ricostruita. Intorno, ci sono case bruciate e depredate. Non solo chiese e monasteri, dunque, danno fastidio ai nuovi padroni di questa terra, ma pure case e scuole, quindi famiglie e bambini. E cultura. E me ne accorgo bene, ce ne fosse ancora bisogno, scendendo con la mia macchina per questa stradina sterrata. Mi fermo e riprendo… la grande piscina coi giochi, sembra di stare a Disneyland!!! Una cattedrale nel deserto con a fianco una vera cattedrale! La nuova chiesa cattolica di Zlokučane. Enorme, sproporzionata, che strano… in un villaggio di albanesi evidentemente cattolici, questo tipo di costruzione non ha nulla da temere. Ma allora non è questione di religione! E la sede della Caritas che vedo dalla strada, mi conferma la cosa. Viaggiando per questa terra, mi resta dentro come una sensazione… che da queste parti sia iniziata una nuova crociata. Ma non contro l’Islam.

Zlokučane, la piscina e la chiesa cattolica
Del resto, non sarebbe la prima volta. La storia parla chiaro (la II guerra mondiale e le tante stragi subite dai serbi, ad opera dell’invasore nazi-fascista), Jasenovac insegna (il campo di concentramento dove preti cattolici diedero il loro contributo allo sterminio di circa un milione di persone, in maggioranza serbi ortodossi). La memoria non si cancella con una bomboletta spray, come fanno sulle strade per cancellare le indicazioni in serbo, volute da quei funzionari che giurano di operare per la reale multietnicità di questa terra, ma poi girano le spalle e se ne vanno, come il tedesco-marziano di prima! Hotel di lusso, monumenti “agli eroi del Kosovo liberato” e pompe di benzina ovunque… moschee e chiese cattoliche crescono… ma le strade vanno in pezzi e diventano pericolose per chi non ha Jeep e fuoristrada su cui sfrecciare.

  1. Monastero di Draganac
Dopo essere passato davanti al monastero di Gračanica, aver sfiorato il lago Gračaničko, arrivo a Draganac, nel buio di strade e tornanti, sbagliando, ad un incrocio, la direzione. Ma qui la toponomastica dei luoghi non confonde molto, anche se le scritte in serbo sono cancellate. I nomi derivano tutti dalla lingua serba, la versione albanese è solo una mera traduzione letterale (che spesso, in albanese, non significa nulla).

nei pressi di Gračanica, il lago Gračaničko
Vengo aiutato a ritrovare la strada da un vecchietto albanese al quale offro un passaggio. Scettico sulla strada da me scelta per andare al monastero, si fa lasciare vicino Novo Brdo, il paese del sindaco che crede di stare “nel Kansas City!” (vedi report di agosto…). Ma la strada la ricordo bene, adesso. Passo vicino la chiesa di Sveta Bogorodica, a Bostane. Finalmente arrivo al monastero, non c’è Ilarion, ancora in giro. Arriverà dopo una mezz’ora. Mentre prendo le mie cose, mi lampeggia con la sua auto, appena avuta in dono dalla Kfor. Parliamo un po’ ma è molto stanco, andiamo a preparare la stanza nell’edificio della foresteria, ancora in ristrutturazione. Ilarion mi da tutto nuovo, cuscino, coperta, lenzuola. Ci sono molte zanzare, sono creature di Dio ma io le ammazzo tutte prima di dormire!
Il giorno dopo mi sveglio presto, in tempo per la funzione delle sei, cui assisto. Penso che questo farà piacere a Ilarion che, però, scenderà solo alle nove. Non sta bene, gli fa male un piede per una distorsione del giorno prima. Così assisto in silenzio alla funzione, circondato da vendicative zanzare scampate allo sterminio notturno. Solo una breve pausa quando esco per prendere dalla mia auto il vestiario portato dall’Italia. Ilarion deve andare alla scuola, è in ritardo. Andiamo con la mia auto perché, mentre lui terrà lezione, io andrò da Valentina Ristić, una delle accompagnatrici del gruppo ospitato al mare ad Anzio, nel settembre scorso. Le indicazioni al solito, mi portano altrove finché Valentina non mi chiama per telefono e mi dice di fermarmi perché, da lontano, mi ha visto.
villaggio di Jasenovik, vecchie case serbe
Arriva ansimante e, finalmente, andiamo. Valentina contraccambia la visita di Roma con la visita dei suoi luoghi. Siamo nel villaggio di Jasenovik, nel comprensorio di Gnjilane. Mi mostra le vecchie case, mi racconta delle persone che le abitavano prima della guerra. Poi i suoi ricordi, attraverso alberi, boschi, ruscelli. Ecco la vallata dove i serbi avevano trovato da vivere durante l’occupazione turca, nel medioevo. Non c’è più nulla ma lì esistevano e sopravvivevano i serbi, lontani dal pericolo. Lì, nessuno li ha mai trovati. Ci sono stradine e ruscelli dove Valentina non passa, perché le ricordano momenti allegri dell’infanzia, per sempre scomparsi. Andiamo dalla sua nonna, ultranovantenne, che vuole offrirmi da mangiare, ma dobbiamo andare via subito… “Come è pensabile non poter offrire nulla a un ospite?”. E così mi regala le sue noci, che dimenticherò nella borsetta di Valentina.

villaggio di Jasenovik, foto ricordo con Valentina e la nonna
Arriva Dušan, anche lui in Italia a settembre, fratello di Valentina. Ci accompagna per il bosco e per le vecchie case, dove Valentina mi mostra la macchina, antica, per macinare la farina di mais, il giogo dei buoi per il carro, il vecchio carro e il pozzo dell’acqua, scavato a mano, antichissimo anche lui. Poi, Dušan sale su un albero, arrampicandosi con agilità, solo per cogliere una mela per Valentina. Andiamo a mangiare a casa sua, dove c’è il padre. Poi, insieme andiamo a scuola da Ilarion, dove incontro la mamma di Valentina. Sono entrambe insegnanti. Parliamo della situazione e mi chiedono se è possibile fare qualcosa per due ragazzini di 11 anni, dal villaggio di Carevce, che hanno problemi a raggiungere la scuola (Sveti Sava) perché spesso sono oggetto di rimostranze pericolose da parte degli albanesi dei villaggi vicini, che devono attraversare per andare a scuola. Ci vorrebbe un auto. Forse potremmo fare qualcosa col progetto pozzi, ma ne devo parlare in associazione. Con Ilarion stiamo per andare a visitare un pozzo in costruzione anche in questa zona, dove Svetlana, della cucina Popolare, svolge la sua attività. Ma piove e i lavori non possono essere avviati oggi. Tornerò presto. Ilarion mi mostra una scuola dove non ci sono riscaldamenti, se non con sette vecchie e pericolose stufe a legna per sette aule. Ce ne sono altre di scuole così, ma prendiamo questa come esempio. Se ne potrebbe fare un bel progetto da farsi finanziare, a scuola vanno 17 bambini più insegnanti e con 6-7 mila euro forse si riesce a completare un bell’impianto, con tanto di isolamento termico di tutta la scuola. Si dovrà cercare anche fra altre associazioni che potrebbero essere interessate alla ristrutturazione.

scuola del villaggio di Gornj Makreš, Gnjilane: la stufa a legna
E poi, Ilarion mi parla ancora del ragazzo in cerca di aiuto per acquistare una decina di pecore da allevare. Lui ha promesso che farà qualcosa, ma non è facile trovare quei mille, millecinquecento euro per inanziare la cosa. Nella scuola, inoltre, c’è il papà di Dragana, ospitata in Italia, che chiede di poter venire per un lavoro qualunque, anche solo per tre mesi. Non gli do molte speranze, chiederò, ma so che è difficile.
Nel pomeriggio parto per Kraljevo, dopo aver festeggiato Ilarion e i suoi 38 anni. Ci sono ospiti, uno dei quali mi mostra in un vecchio video Ilarion attore di cinema! Ma i tempi sono andati e anche io devo andare. Ma appena qualche chilometro dal monastero, fra tornanti e pioggia insistente, la mia auto inizia ad avere problemi. Rumore preoccupante, perdita di potenza, vado pianissimo. A Priština, provo a mettere un litro di olio, cercando di non parlare serbo (qualche parola mi viene spontanea, a volte…). Ma niente. Non è l’olio il problema. Arrivo a Mitrovica molto tardi. Mitrovica che sta al buio, l’energia elettrica se ne è andata all’improvviso. Parcheggio e trovo una stanza in un piccolo hotel. Mi riposo.
  1. Kraljevo
L’indomani uno scaltro meccanico mi permetterà almeno di raggiungere Kraljevo dove al “Club du France Service” mi ripareranno l’auto, che aveva la turbina rotta. Alla frontiera, scene di quotidiana follia, tra fili spinati ed elicotteri militari che volano sulla testa delle persone. Una frontiera divisa in tre, con la prima parte presidiata dai civili della “Barricate”, la seconda parte presidiata dall’Eulex, con funzionari Usa e militari del Marocco sulla loro Jeep… e la terza parte presidiata dall’esercito serbo. Una frontiera che tiene divisa la Serbia dai serbi di Kosovska Mitrovica nord. Se non è follia questa…

La frontiera fra Serbia e Kosovo e Metohija
Ma mentre riparano la mia auto, c’è la presentazione in “anteprima assoluta mondiale!!!”, del video-film Vento di Mare (Vetar s’ mora). È il film sull’ospitalità a Celle Ligure, a luglio scorso, del gruppo di ragazzini provenienti da Kraljevo, organizzata con la Croce Rossa Serba di Kraljevo. La proiezione avviene proprio in sede CR, alla presenza di tutti i ragazzi (manca solo Aleksandar che non ha avuto il permesso dalla scuola), dei loro genitori, parenti, qualche amico e dello staff della Croce Rossa al completo. Tutti si divertono e ridono, qualcuno si pente di qualche propria performance ma l’atmosfera è allegra, divertita e c’è molta condivisione. Alla fine ci si abbraccia e ci si saluta, come buoni amici.
Kraljevo, sede della Croce Rossa Serba: proiezione del film "Vento di mare"
Resto a parlare dei sostegni, manderemo presto l’ultima rata (anche se dobbiamo prima mandare le rate per le 20 famiglie in Kosovo e Metohija). Chiedo notizie di Tamara, la ragazzina malata di tumore alla testa, per la quale tutta la città si è mobilitata e per la quale anche noi abbiamo contribuito, con mille euro. Non può volare fino a Mosca, almeno per ora. Sta seguendo un ciclo di terapie a Belgrado, sotto il controllo dei medici russi.

Vado a trovare Rade, autista del pullman Kondor, da anni nostro collaboratore e “autista ufficiale” di molte nostre iniziative. Mi aiuta a ritirare l’auto dal meccanico, Dejan, molto amico di Ilarion e dei monaci che conosco. Resto a dormire dalla famiglia Milanović. Marko sarà a novembre in Italia per i controlli di turno. Ha preparato la sua prima grappa da solo e me ne regala due litri, orgoglioso.
Il viaggio di ritorno avviene senza problemi. Miloš è rimasto qualche giorno in più a Vidanje, dai suoi. Tornerà a Roma per l’inizio delle lezioni a Tor Vergata. Ceca, invece, torna con me, risparmiando i soldi del biglietto aereo.  Sta per iniziare la sua avventura da studentessa di Infermieristica Pediatrica presso l’università di Roma Tor Vergata. Non è più tempo di ospitalità e di vacanze organizzate. E’ arrivato il tempo di studiare per il proprio futuro. In bocca al lupo. E che crepi…

venerdì 7 settembre 2012

Oceani di speranza

Viaggio di rientro per i tre ragazzi ospitati a casa mia, Beba, Saša, Andjela. In meno di 15 ore, dall’Umbria a Kraljevo, per circa 1400 chilometri con la macchina. A fine agosto ne avrei percorsi più di 8 mila. Nel bagagliaio, oltre valigie e regali vari, 2 televisori vecchi ma funzionanti per la famiglia di Novka Milanović, a Kraljevo. Ci saranno problemi, risolvibili, di sintonizzazione dei canali.
Il 27 agosto mattina, dopo aver sentito per telefono padre Ilarion del monastero di Draganac, parto per il Kosovo e Metohija, con l’obiettivo di:
incontrare alcune della famiglie che manderanno i figli il 3 settembre in Italia, al mare ad Anzio, in una vacanza organizzata da Un Ponte per…; visitare il monastero di Draganac dove svolge la sua opera padre Ilarion, col quale è iniziata una valida collaborazione e che si sta occupando proprio dei ragazzi che verranno in Italia e di molte famiglie da noi sostenute o sostenibili in futuro…; verificare, con il monastero di Dečani, lo stato dei lavori per la costruzione di pozzi artesiani in alcune zone abitate dai serbi in Kosovo e Metohija…;  visitare la zona di Velika Hoča.
Mi accompagna Vesna, amica serba  già una volta con me in Metohija per i sostegni, disponibile ad aiutarmi anche in questo tour.
La prima volta che sono stato a Draganac pensavo sarebbe stato impossibile tornarci. Adesso ho imparato e, anche se le strade restano impervie, il luogo lontano e isolato, ce la posso fare da solo. Quando si viaggia soli e con i propri mezzi è più semplice, dopo, ricordare la strada.
  
Abbiamo appuntamento con Ilarion a Gračanica, splendido monastero, perla dell’architettura medievale e patrimonio dell’Unesco. Il monastero è davvero troppo vicino alla strada e il rumore del quotidiano andirivieni ne mina fortemente l’atmosfera. Nel pomeriggio avverrà una cerimonia che vedrà una novizia prendere i voti come suor Melania. A celebrarla il vescovo Teodosije, che resterà al monastero per la festa della Dormizione di Maria del giorno dopo, 28 agosto (corrisponde all’Assunzione cattolica del 15 agosto).
Ilarion si farà attendere, noi assisteremo a tutta la funzione, prima di incontrarlo. Ma un contrattempo ci costringerà a tornare a Mitrovica, per ritornare poi a Gračanica a notte inoltrata.
Il giorno dopo si va a Draganac dove pure si celebra la Dormizione di Maria. Molti serbi vengono in visita e assistono alla funzione del mattino. Finito tutto, con Ilarion visitiamo una famiglia, quella di Maja Stanojković che sostituirà un’altra ragazzina che non ha ottenuto il passaporto.
C’è da dire che le cose sono molto confuse riguardo i passaporti e, spesso, si creano situazioni in cui è davvero difficile per le famiglie di queste zone ottenerlo. Per le spese, per i viaggi e per le troppo complicate, a volte, pratiche burocratiche da espletare.
Siamo a Šilovo, piccolo villaggio della zona di Gnjilane. Aspettiamo Maja e sua mamma presso la casa di Ivan, detto “Talijan”, perché da piccolo acchiappava le rane (gli italiani erano considerati dei mangia rane!). Ha aperto questo locale dove si mangia e si beve. Prenderemo delle pizze che la moglie prepara nel suo forno, “vera pizza italiana” ci dice (smentita, ovviamente, dal risultato!).

Ma la pizza si lascia mangiare, Ilarion la prende per gli altri 3 monaci del monastero e per gli amici Carabinieri che, nel pomeriggio, verranno a consegnargli banchi e sedie per la scuola. Ilarion inizierà presto lezioni di religione presso le scuole dei villaggi per due volte la settimana, per 10 ore al giorno. Ma, intanto, oltre a svolgere la sua funzione, cerca di attivarsi per dare una grossa mano alla comunità. Questo mi piace di questo giovane monaco e questo ci accomuna, perché credo sia anche nello spirito di Un Ponte per…, se qualcosa ho capito in questi anni, proprio l’abbinamento “bene immateriale (preghiera, funzioni, contro-informazione)-bene materiale (le attività concrete a sostegno degli esclusi)”.


Dopo aver inviato dal computer di Ilarion la lista aggiornata dei ragazzi (c’è stata una sostituzione), mentre eravamo nel magazzino a scegliere lenzuola che mi sarei portato dietro per i ragazzi da ospitare ad Anzio, Ilarion se ne esce con un improvviso: “Arrivano i Carabinieri!”, che mi fa sobbalzare, apprensione subito sedata dal suo più rassicurante: “Portano banchi e sedie per la scuola…”. L’episodio, raccontato agli stessi Carabinieri, avrebbe suscitato in loro un certo divertimento…
E così, eccomi a dare una mano, con Ilarion occupato in altro, scaricando banchi e sedie e facendo gli onori di casa fra i Carabinieri Kfor del gruppo MSU di Priština (Multinational Specialized Unit, Unità Specializzata Multinazionale), che gradiranno cibo, vino e rakija, con Vesna che fungerà da graditissima cameriera.

Partiti i carabinieri, raggiungiamo Bostane, piccolo villaggio dove c’è la chiesa anch’essa medievale di Sveta Bogorodica. C’è la festa e fa effetto sentire musica serba ad alto volume, tanti ragazzini e ragazzi serbi dei villaggi restare a festeggiare in un posto così piccolo, circondato da albanesi. Ma qui il conflitto è arrivato poco o, comunque, se ne è andato presto. Troppo isolati questi villaggi per suscitare interessi nella malavita che detiene il potere reale di questo neoNato-narcostato! Ma ci tengono, le istituzioni locali (e ce ne accorgeremo presto), a far sapere che ora è tutto diverso, che non c’è più Jugoslavia, che non c’è più Serbia, che esiste solo la “Kosova” (anche se ci sarebbe da discutere sulla semantica di tante parole che vanno a sostituire le originali serbe. Parole e nomi senza una reale e accertata derivazione storica che, in realtà, trovano la loro origine nella terminologia serbo-croata. Per fare un esempio, il villaggio Petrovka, da sveti Petar, san Pietro, viene mutato in Petrove, giustificandone la derivazione dalla parola: pietra!).
A Bostane incontriamo Ivana e due sue amiche che verranno in Italia. Ivana vive ancora nella vecchia casa fatiscente a Gornje Kušce. Molte delle case di questi ragazzi andrebbero risistemate per meglio affrontare l’inverno. Stufe con un minimo di radiatori nelle stanze, sistemazione dei tetti, eliminazione di infiltrazioni… ma un altro inverno li attende. Speriamo non sia terribile come quello dello scorso anno.
Prima di arrivare a Bostane, con Ilarion siamo andati a visitare la chiesa di Ranilug, a Kosovska Kamenica. Qui Ilarion sta sperimentando con dei ragazzi la posa in opera di un intonaco speciale che riproduce l’effetto del marmo, all’interno della chiesa. Tre prove sono state eseguite sul muro all’interno, ne scelgono una. La chiesa deve essere completamente intonacata all’interno, mentre fuori marmo tipo travertino ricorre con file di mattoncini rossi. Un vecchio, dal terreno vicino, ci chiede acqua perché non ne ha. Ne prendiamo una bottiglia da una vicina fontana privata. La beve, contento.
Torniamo a Gračanica, c’è tanta gente nella strada. Le persone passeggiano, mangiano, bevono nei bar aperti fino a tardi, la festa è molto sentita. Nel monastero incontro suor Irina. Ci mostra le stanze dove dormire. Ma le funzioni e le visite continuano fino a notte fonda, anche se disturbate dalla musica esterna che arriva ad alto volume. Sembra che le autorità albanesi finanzino giovani serbi per organizzare feste in determinate date, come ad esempio quella di oggi. C’è una sfilata da qualche parte, si eleggerà miss Gračanica e si canta, si beve, si balla. E allora, la ricorrenza religiosa viene in qualche modo profanata.
Il giorno dopo, alle 4 e 30, una monaca chiama alla funzione battendo ritmicamente il Klepalo (Toaca). Questa pratica viene dal periodo di dominazione turca quando le campane era vietato suonarle perché infastidivano gli invasori. Ma le campane risuoneranno più tardi, dalle 5 in poi. Ho appuntamento con un certo Siniša che cura le pratiche di richiesta visti per i ragazzi. Alle 10 arriva, ma dobbiamo aspettare comunicazioni per andare in ambasciata. Tardando ad arrivare, decido di andare comunque. Siniša torna e mi lascia tutte le pratiche compresi i passaporti del gruppo. Incontro padre Andrej, del monastero di Dečani, che è in giro a raccogliere anche lui banchi e sedie dai carabinieri di Priština. Mi fissa un appuntamento con padre Isaja per andare a vedere come procede il lavoro di scavo dei pozzi. Ma mi sarà impossibile andare. Perché una volta a Priština, chiedendo di essere ricevuti perché Francesco dell’ass. Amici di Decani ha fissato un appuntamento, ci dicono che non c’è nessun appuntamento e che, se vogliamo parlare con loro, dobbiamo aspettare le 15!
Alle 15 siamo ricevuti dal signor Petani, dell’ufficio visti che, nel vedere quel che è stato prodotto, dice che sarà impossibile ottenere i visti. Siamo al 29 agosto, mercoledì, i ragazzi hanno il biglietto per lunedì 3 settembre. Che fare? Cerco di scusarmi per il disguido, forse qualcuno non si è occupato della cosa nel modo migliore, dico, cercando di ammorbidire il responsabile dell’ufficio, molto freddo e distaccato. Dovremo compilare i formulari, produrre gli atti di assenso, i certificati di nascita, 2 foto per ciascuno dei richiedenti, l’assicurazione per tutto il gruppo. Ma il tutto per domani, giovedì 30 agosto, entro le 15! Altrimenti niente vacanza per i ragazzi e soldi dei biglietti aerei buttati! Non ci voglio neppure pensare…
Noi siamo a conoscenza delle procedure ma pensavamo che si fosse preparato tutto, al monastero, con l’aiuto di chi aveva garantito a Ilarion la collaborazione. Ma è tardi per fare elenco di responsabilità e fraintendimenti, dobbiamo accelerare i tempi, abbiamo solo una sera, una notte, una mattina.
 
Per cui inizia la spola fra Gračanica, con l’incantevole Gračaničko jezero ad accompagnarci, Draganac e Bostane, fino nella casa di Emir Ferković, prete ortodosso Rom, parroco della chiesa di Sveta Bogorodica, dove iniziano ad arrivare le famiglie subito avvisate da Ilarion per compilare formulari, produrre le foto (Ilarion ha convocato un ragazzo fotografo che fa foto a chi ne è sprovvisto), portare certificati ( per fortuna tutti li hanno, avendo appena preso il passaporto), firmare atti. Entrando, nel vedere le palačinke preparate da Nada, la figlia del parroco, che verrà in Italia, Ilarion se ne mangia un paio, apprezzando molto e facendo contenta Nada!
La sera, andiamo a casa delle famiglie che non sono state raggiunte telefonicamente o che non sono potute arrivare a Bostane. E così, si piomba in case dove la gente dorme, la si sveglia suonando il clacson della vecchia jeep che Ilarion ha avuto in dono dal comandante Kfor (la mia auto, dopo varie peripezie, l’ho dovuta lasciare perché davvero avrei spaccato tutto proseguendo per quelle strade dissestate e sterrate di campagna), si ottengono firme e si riparte. Andiamo a Makreš, da Aleksandra Trajković, da Andjela Aleksić, da Dragana Antić. Poi, ci dividiamo. Ilarion e il fotografo vanno in altri villaggi, io e Vesna andiamo con un serbo del posto a casa di due famiglie più facilmente (eufemismo!) raggiungibili. Siamo a Koretište dalla famiglia di un prete ortodosso, Kovacević  e dalla famiglia Stojković. Ci chiedono dell'iniziativa, dell'associazione, qualcuno pensa io sia titolare di una Travel Agency! Vesna riesce a superare il mio iniziale senso di scoramento, spiegando bene quale è il vero motivo del nostro essere lì, con loro.
Torniamo e aspetto Ilarion davanti una casa buia e isolata dove, al piano superiore, c’è una specie di bar dove prendo un succo. Un ragazzo si presenta, gli hanno detto che sono italiano. Vive a Schio, è serbo e torna ad agosto nel villaggio di Straža, qui vicino, da parenti e amici. E’ fantastico sentirlo parlare in veneto e poi in serbo, con gli amici. Si chiama Nemanja e mi chiede cose. Al solito, che ci fai qui e perché e com’è… gli racconto e lui pure mi dice del suo lavoro in una falegnameria del Veneto e del padre, tornato perché al contrario, sempre in Veneto, la sua falegnameria ha chiuso. E della situazione dei villaggi.
Arriva Ilarion, ha completato il giro ma bisogna sviluppare le foto. E’ mezzanotte, raggiungiamo lo studio dove lavora il ragazzo, Marko. Il padrone dello studio raccoglie le foto e le manda in stampa. Nel frattempo, saliamo nella bella casa di Marko, dove vive col fratello, Miloš e con i genitori. Ilaron si addormenta. Al risveglio, sono prontele foto… ma lui si mangia tutte le cioccolate messe sul tavolo da Marko. E ne chiede un'altra da portarsi. dietro “E’ finito il digiuno per la Dormizione di Maria!”, ci dice con aria allegra.
Arriviamo a Draganac a notte fonda. Ci si arrangia per dormire, la stanza migliore viene data a Vesna, la cavalleria non è solo roba per laici. Il giorno dopo, alle 7, ci si sveglia per ripartire. Ilarion mi invita nella chiesa per una breve visita e, dopo una breve colazione con Justine, monaco da poco tempo, dopo una vita molto movimentata…, Petar, un giovane monaco e Kiril, l’anziano predecessore di Ilarion, andiamo dal sindaco di Novo Brdo dove, ci dice Ilarion, ci firmeranno gli atti di assenso, scritti in italiano ma non timbrati e ritenuti inaccettabili dall’ufficio visti di Priština.
Entriamo in questo palazzetto di 3 piani, fra gente che guarda Ilarion di traverso e gente che lo saluta amichevolmente. Cerca di parlare albanese, Ilarion e la cosa, ovviamente, è apprezzata. Entriamo, dopo breve trafila, nella stanza del sindaco, un uomo ben vestito e apparentemente cortese, dove spicca un bandierone americano alle sue spalle, con stelle e strisce nei quadri alle pareti.
Sembra de sta n’er Kansas city!” direbbe Alberto Sordi. Invece siamo solo nel Kosovo orientale, in uno sperduto villaggio. E questo sindaco, che crede di appartenere alla 51.a stella degli USA non crede, però, alla parola di Ilarion, perché questo timbro non arriva. Ilarion compila una richiesta che poi non potrà stampare. Ne compilano una loro, con l’elenco dei ragazzini, la timbrano, la firmano, ci allegano le fotocopie degli assensi, salvo perderne tre originali che mai più saranno ritrovati! La solerte segretaria del sindaco li ha fotocopiati tutti ma ne ha perso tre originali. Così, usciamo da questo posto assurdo senza tre originali degli assensi, senza i timbri, con tre ore in meno da poter utilizzare! Abbiamo perso tempo, nonostante l’ottimismo, forse ingenuo o forse rassegnato, di Ilarion.
Ma qualcosa di positivo ci sta guidando. Ci sono gli assensi in serbo, forse andranno bene. Sono tutti, gli ultimi li prendiamo a Gračanica dove ripassiamo. Sono firmati, sono timbrati, sono ufficiali. E abbiamo tutto il resto. Andiamo in fretta a Priština, sono le 13. Ma i funzionari sono appena andati in pausa pranzo… Aspettiamo davanti l’ambasciata lo scorrere lento del tempo, non curandoci delle occhiatacce che ci mandano gli albanesi che passano per la stretta via davanti l’ambasciata. Io a volte rispondo con sguardo altrettanto torvo, mi viene spontaneo, a difesa della tonaca di Ilarion, ovviamente malvista. Ma nessuno farà commenti o provocherà (c'è comunque la polizia davanti l'ambasciata...) e così, verso le 14,30, finita questa lunga pausa pranzo, ecco che arriva il signor Petani che accoglie tutta la documentazione. Sembra tutto a posto, stavolta e ci dice che per domani alle 16 ci saranno i visti. Non per tutti, perché 3 passaporti sono serbi e non hanno bisogno di visto.  Ma ci dice pure che l’ambasciatore non è stato contento di tutta questa approssimazione. Umilmente mi scuso, do ragione all’ambasciatore e assicuro che le prossime volte saremo più corretti. Ma i ragazzi partiranno…
Sulla strada del ritorno non posso non fermarmi, dopo un semaforo, a riprendere con la videocamera la statua bronzea di Bill Clinton, il “padre della Patria kosovara-albanese”, all’ingresso della Bill Clinton boulevard! Davanti a spettacoli così, come davanti alla statua della libertà su un lussuoso hotel di Priština, non sai mai se ridere o piangere. Forse tutte e due le cose avrebbero senso, come sempre in Serbia. Sorrisi e lacrime, matrimoni e funerali. Questo sa più di funerale… e non sembra esserci più molta Serbia, qui.

Dormiamo ancora a Gračanica, dopo aver mangiato e bevuto qualcosa, rilassandoci dopo lo stress, presso una famiglia di amici di Ilarion. Il giorno dopo lo lasciamo e rientriamo a Kraljevo. Ilarion mi avrebbe chiamato alle 17 per dirmi che tutti i visti li aveva con se. Io ero stato poco prima a Gazimestan e, dall’alto della torre che ricorda la battaglia del 28 giugno del 1389, dove l’esercito del principe Lazar fu sconfitto dai turchi, un silenzio irreale, rotto dal vento e una vista magnifica mi riportavano a emozioni lontane. Davvero quell’esercito difendeva il suolo sacro dei monasteri, ma anche la nostra “beneamata, civile, democratica Europa”. Che oggi, sembra aver dimenticato che anche questi serbi umiliati e disprezzati, sono figli suoi.

Il primo settembre, un nuovo ritorno in Italia. Alle 5,30 di mattina si parte. Arriveremo per le 20. Con me, altri tre ragazzi serbi, anche loro nati in Kosovo e Metohija. Ceca e Sonja ospitate per anni presso le nostre case, d’estate e Miloš, in vacanza in Italia solo lo scorso anno, con il primo gruppo dai villaggi della Metohija. Vengono in Italia per studiare all'università di Roma "Tor Vergata". Altre piccole gocce, nell’oceano della speranza.

giovedì 12 luglio 2012

L’anello di Kaccia

Ci sono anelli che hanno fatto la fortuna di registi dagli effetti speciali sempre troppo accesi. Anelli che hanno scatenato guerre, distruzioni, generato violenze. Ma ci sono anelli che nessuno conoscerà, né troverà. Mai.  Perché sono stati persi, su una spiaggia.

L’anello di Kaccia, in serbo diminutivo di Katarina, è stato perso su una spiaggetta libera, merce rara ormai, sul litorale della Liguria, a Celle Ligure, fra Genova e Ventimiglia.
Kaccia è in vacanza, appena dieci giorni, ospite di una iniziativa di solidarietà promossa da una piccola associazione romana, Un Ponte per. Kaccia viene dalla Serbia, precisamente da Kraljevo, insieme ad altri tredici suoi coetanei, storie di dopoguerra, uranio impoverito, dimenticanze. E di colpe mai pagate, mai ammesse, mai scusate, come si usa nella nostra società che si vuole così giusta e democratica da imporre agli altri la propria giustezza e democrazia.
Kaccia è in vacanza per una decina di giorni appena. Ha perso la mamma, Kaccia, qualche mese fa. Quell’anello glielo aveva regalato proprio lei. Oggi anche il suo papà è malato. E anche il suo fratello grande, trent’anni, è malato. Kaccia è il faro della famiglia, tutti si rivolgono a lei.
Ma sorride, mentre gioca a biliardino con mia figlia. O mentre gioca a pallavolo, Kaccia ha una battuta davvero efficace. Sorride, ha segnato un punto, sta vincendo, prova a dimenticare dolore e solitudine. Si è disegnata sulle unghie il simbolo della pace. Prova a far finta che la vita è bella.
Abbiamo cercato il suo anello, senza trovarlo, fra i sassi della spiaggia. Quei sassi che il mare ha consumato, ormai da troppo tempo. Insieme alla mia voglia di gridare al mondo... che Kaccia vorrebbe solo vivere la sua vita.

domenica 24 giugno 2012

video "Tempo di digiuno"

Ecco il mio nuovo video, "Tempo di digiuno".
La difficile vita di alcune famiglie di serbi nei villaggi intorno Gnjilane, in Kosovo e Metohija. L'impegno di monaci come padre Ilarion e di associazioni come Un Ponte per... a creare veri e propri ponti di solidarietà, nell'indifferenza generale che avvolge tutto quello che è conseguenza della tragica guerra "umanitaria" del 1999, che la Nato scatenò contro la ex Jugoslavia e la Serbia.

http://www.youtube.com/watch?v=xkz7lzF08vg

lunedì 21 maggio 2012

21 maggio 2012, monologo per attore vero.

E certo, piove. Non poteva essere altrimenti. Non poteva che piovere, in un giorno così. Non poteva esserci sole, oggi. Il sole, non poteva accettare di uscire senza che tu potessi vederlo.
Io... io non verrò a questo ultimo appuntamento. La tua piazza voglio ricordarla diversa. No, non verrò. Non posso vederti così, non voglio, non sarebbe giusto. Non posso vederti in quella scatola di legno... La tua voce ce l'ho impressa, nella mente. La sento pronunciare il mio nome, la sento che mi chiama, "Ale!". Ce l'ho impressa nella mente, la ascolto, con quel cuore di cui mi insegnasti a riconoscere i battiti. Adesso, ascolterò le nostre canzoni, so già che le ascolterò. Ho bisogno di ascoltarle. Riporteranno indietro i giorni, fino ad arrivare ai nostri, giorni.
Ascoltavamo le onde del mare, nel silenzio dei nostri respiri. Passioni svanite nello scorrere lento, del tempo. Che cancella i ricordi. Mai, avrei pensato di ridurti a ricordo. E non lo farò, nemmeno stavolta. La tua voce la ascolto, nitida, nel mio cuore. Tu continua a parlarmi. Io ci sarò.


(Oddio, è uscito il sole. E certo, il sole non poteva starsene chiuso dietro le nuvole di pioggia, in un giorno così. Doveva esserci il sole, oggi. Doveva salutarti. Dovevi rivederlo, ancora.
Io... io, però, non verrò a questo ultimo appuntamento.)

martedì 20 marzo 2012

Tempo di digiuno

Padre Ilarion è un monaco ortodosso, che vive nel monastero di Draganac, zona di Gnjlane, Kosovo ovest. Proviene dal monastero di Visoki Dečani, il più importante per la chiesa ortodossa serba. Nel pogrom antiserbo del marzo del 2004, più di 150 fra monasteri e chiese ortodosse, oltre a molte case e cimiteri, furono distrutti o incendiati dalla furia indipendentista kosovaro-albanese, che avrebbe avuto soddisfazione 4 anni dopo, il 17 febbraio 2008, quando il Kosovo si autoproclamò indipendente, subito riconosciuto dai paesi aderenti alla Nato.
A Draganac c’è tanto da fare. Nel monastero, un vero e proprio cantiere in ristrutturazione continua, c’è tanto da realizzare e sistemare. Dai locali della chiesa ai locali per i monaci, da quelli per gli ospiti alle strutture per gli animali. Qui, proprio in questo monastero, c'è una sorgente d'acqua che si crede sia benedetta. E così, il venerdì dopo la Pasqua si celebra la Vergine Maria e questa sua fonte miracolosa. Vengono in migliaia a prendere l'acqua, moltissimi gli albanesi che, come in altri monasteri, cercano la grazia di Dio, anche se ortodosso...

Ma padre Ilarion si sta occupando anche e, soprattutto, di altro. Ad esempio, delle tante famiglie serbe della zona, che vivono in condizioni assurde.
Isolate dall’intolleranza del fanatismo indipendentista "made in Usa", dall’oblio di mezzi di informazione per nulla interessati alle loro vite, isolate dalla natura che, da queste parti, a volte le rende irraggiungibili. Come nei mesi scorsi, gennaio e febbraio, quando oltre due metri di neve hanno reso la loro situazione ancora più drammatica. Per la mancanza di cibo, di acqua e per la difficoltà a portare loro un minimo di sostegno e aiuto.
Queste famiglie ricevono un pasto al giorno dalla Cucina Popolare, una piccola organizzazione guidata da Svetlana, una donna serba che in questi anni è riuscita a garantire pasti e sostegno per circa 800 famiglie. Ma ricevono aiuti anche dal monastero e, quindi, da padre Ilarion, che divide donazioni, sceglie i beneficiari, gliele porta direttamente.
La cosa che più sconvolge ma che, pure e incredibilmente, riconcilia con la vita, è vedere come queste famiglie siano piene di bambini!
Vedere come la vita scorra anche in questi posti dimenitcati, dove per arrivarci ti ci vorrebbe una jeep delle ricche ONG umanitarie che sfrecciano per le strade umanitariamente distrutte da bombe altrettanto umanitarie! E tu non ce le hai, quelle jeep e per fortuna. Perché rappresenti una associazione così piccola che in questi posti ci puoi arrivare solo accompagnato dal furgone di Radovan, del villaggio di Koš, vicino Osojane, in piena Metohija. Ci arrivi con le sue manovre, a volte improbabili, ma pure con la tua ostinazione. E pure con la tua rabbia. Si, serve anche quella.
Perché poi ti chiedi come mai nessuno racconta di questa gente, della loro vita. Ti chiedi del perché il vivere in queste condizioni non diventi grido di dolore da far sentire al mondo! Ti chiedi perché il Kosovo e la Metohija siano stati ridotti così, senza che nessuno abbia mosso un dito.
Per distruggerlo e creare questa finta e insopportabile pseudo-libertà e pseudo-indipendenza, è stato ridotto prima a un ammasso di macerie, ora lasciato a se stesso. Che si consumino le violenze contro i serbi nella Metohija, che si consumino nell’isolamento più totale gli stessi serbi del Kosovo! E si costruiscano ancora nel "Kosovo libero e indipendente" alberghi lussuosi, pompe di benzina, statue della Libertà (a Priština, sopra un hotel), statue dei Liberatori (Bill Clinton, sempre a Priština).
E si lascino marcire le carogne di tantissimi animali ammazzati dalle auto lungo le strade. Cani, gatti, volpi… si lascino così, che tanto il Kosovo e la Metohija sono ridotti a una discarica a cielo aperto, dove l’immondizia la trovi ovunque. Vicino le case, lungo le strade, sparsa nei campi.
Era forse questa, dunque, la libertà a cui si aspirava? Era questa la voglia di indipendenza? Era il poter sventolare le bandiere dell’Albania e degli Stati Uniti su tanti, troppi balconi? Era il ricevere soldi a fondo perduto per permettere che il territorio fosse ripulito da persone scomode? Nei pressi di Uroševac, a sud della regione, va sempre ricordato, sorge Bond Steel, la più grande base degli Usa in Europa. Una vera e propria città di cui poco si sa e poco si deve sapere. E chi può controllare un territorio da cui nulla deve trapelare, meglio di mafie, malavita e narcotraffico?

Siamo in tempo di Quaresima e padre Ilarion mi illustra la pratica del digiuno, osservata per sette settimane prima della Pasqua, con esclusione del sabato e della domenica, tanto da arrivare a 35 giorni di digiuno. Un digiuno detto dell’acqua, cioè si mangiano solo cose bollite, niente carne e pesce, niente proteine animali né oli, niente vino. Si arriverà a 36,5 giorni, col sabato santo e metà della domenica di Pasqua. Così si arriva a un decimo dell’anno di digiuno, offerto al Cristo Redentore. I classici 40 giorni si superano durante l’anno, arrivando a digiunare per la festa della Madonna ad agosto.
Ma andando per questi villaggi, visitando queste famiglie, davvero non sembra necessario rispettare date e ricorrenze per ottenere digiuni. La loro condizione di estrema povertà li porta a mangiare spesso solo pane e farinacei, la carne è davvero cosa rara.
Parlare di Europa, di entrata nell’Unione Europea da queste parti fa sorridere. Così come parlare di sacrifici da compiere per superare la crisi. Così come fa sorridere incontrare all’aeroporto a Belgrado, al ritorno, operai specializzati della nuova Fiat che "esporta lavoro". Fa sorridere sentirli preoccupati del cibo mangiato in Serbia, in questo loro distaccamento forzato, prendere o lasciare, si lavora lontano dalla tua famiglia, dalla tua casa, perché c’è da istruire gli operai serbi per farli produrre tanto pagandoli poco, zero diritti. Ma non erano umani, quei diritti, erano solo roba di malattie, turni con orari decenti, tutela delle donne, figli da crescere, ferie, pause pranzo, cose così… Fa sorridere e anche tenerezza, che siano preoccupati per il cibo. Sanno che le bombe hanno fatto danni anche al ciclo vitale. Uranio impoverito, plutonio, radiazioni, inquinamento chimico e batteriologico, lo sanno, glielo hanno detto! Ma devono arrangiarsi. Sanno pure che la gente qui si ammala e tanto e sempre di più, a causa di tutto quello che c’è stato... Qualcuno ha dimenticato? Sono passati 13 anni da quel 24 marzo 1999, quando la Jugoslavia, ridotta ai minimi termini, fu definitivamente affossata da 78 giorni di bombardamenti della Nato, ai quali partecipò anche l’Italia… Ci dissero che si andava a proteggere civili e portare democrazia e rispetto di diritti umani… Si, è vero, fa proprio sorridere tutto questo.
Ma devono rischiare, questi lavoratori "signorsi", ché la lettera di licenziamento è pronta, sul tavolo, anche per loro che hanno accettato abbassando la testa. Sono quasi 1700 e stanno a Kragujevac, dove non c’è più posto per dormire, con intere famiglie di serbi, senza salario e senza lavoro, che si sono trasferite a casa di parenti o amici, pur di affittare agli italiani la propria anche a prezzi stracciati e riuscire a guadagnare qualcosa per sopravvivere.
Fa sorridere tutto ciò. Ma anche piangere.
Gli sguardi dei bambini di queste famiglie che visitiamo in questi villaggi nei dintorni di Gnjlane e di Novo Brdo, non sappiamo toglierceli dagli occhi. Alcuni sereni, nonostante tutto, altri impauriti da situazioni difficili anche nei rapporti dentro la famiglia stessa, altri persi nel vuoto di problemi psichici, chi mai se ne occuperà?
Si, quello sguardo ti resta appiccicato addosso. Professionisti dei diritti umani non vengono fino quaggiù. Preferiscono luoghi più adatti alla ribalta, dove c’è il dittatore da sconfiggere e ammazzare, fantomatici quanto opportunistici oppositori da foraggiare con armi, soldi e coi quali accordarsi per il futuro da sfruttare.
Ma qui no, non viene nessuno. Non ci sono dittatori, qui. La Serbia è paese democratico, ormai, si manganellano manifestanti come dalle nostre parti e si finisce in carcere se protesti troppo, anche se puzzi di fame. Questo, poi, dicono pure che sia Kosovo, altro governo, altra "democrazia", con a capo criminali indagati per traffico di organi umani, ma liberamente eletti dal popolo! E allora?
E allora… Allora questi bambini, semplicemente, non esistono!
Stupidi noi che li andiamo a cercare, che torniamo con nella mente e nel cuore tante idee per farli sorridere, almeno un po’, mica tanto, solo un po’… Smeješ se!, sorridi, bambina persa nel vuoto di un gioco che neppure riesci a sognare. Vuoi vederlo il mare? Lo sai cos’è? In televisione l’avrai anche visto. Non ti ci porta nessuno, proveremo a farlo noi.
Ci vorranno soldi, sarà difficile trovarli. Mica dobbiamo comprarci aerei da guerra! Per quelli si troverebbero facilmente, per il tuo sorriso no. Per il tuo sorriso, per vederlo sbocciare come fiore a primavera, bisogna scalare montagne, bisogna pregare ma non il tuo Dio, che pure ti guarda e ti benedice. No, bisogna pregare gli umani, quelli che non si fanno troppi scrupoli davanti a immagini come quelle della tua povera casa, perché sanno trovare alibi.
Ma noi, che siamo cocciuti e testardi come i cromosomi che ti porti dentro, alla fine, puoi giurarci, il mare te lo faremo conoscere. E toccare. E giocare. Insieme ai tuoi fratelli e alle tue sorelle, insieme ai tuoi amichetti, quelli del villaggio vicino, così vicino che nemmeno puoi giocarci insieme. E’ pericoloso e la sera c’è coprifuoco.
Passano follia e provocazione, tirano sassi alle finestre, vogliono spaventare il tuo sonno. A volte sparano. Alla fine ci riescono, ti spaventano.
Ma tu chiudi i tuoi occhi e prova a dormire lo stesso. Prova a sognarlo, quel mare visto in televisione. Vedrai, da vicino sarà pure più bello.