martedì 15 novembre 2011

Quando si dice, la fortuna!

Bene, Berlusconi se n’è andato e siamo tutti contenti. Ma sarà vero?
Sarà vero che se n’è proprio andato? E sarà vero che siamo tutti contenti?
Il popolo in piazza ha festeggiato, lasciandosi andare a quel senso di liberazione che l’ha pervaso alla notizia del dimissionario premier.

C’è chi non ha avuto proprio nulla da festeggiare. A parte i suoi fedelissimi, non hanno avuto nulla da festeggiare coloro i quali non arrivano alla fine del mese perché, come recita uno slogan efficace, alla fine dello stipendio manca sempre troppo mese!
Non hanno avuto modo di festeggiare i precari, gli studenti, i lavoratori dei servizi pubblici, della scuola, gli ospedalieri, gli sfruttati del privato, i pensionati… perché non una parola di speranza per il loro futuro o per un anche minimo cambiamento nella loro vita è giunta da chi è stato chiamato a sostituire Berlusconi.

Siamo contenti, è vero, non possiamo negarlo. Berlusconi è andato… e fra gli scontenti ci sono i fascisti o post fascisti, che sempre fascisti sono. Cartelli appesi sulle grate dell’università di Roma Tor Vergata che la vigilanza, in altri casi sempre molto attenta, si guarda bene dal rimuovere… Comandi dall’alto, affinità di pensiero o paura di pestaggi e ritorsioni da parte dei fascisti del nuovo millennio?
Del resto qui a Tor Vergata Casapound è di casa.
Cartelli appesi contro questa “offesa alla nazione”, che si è vista imporre un governo dalle banche del grande potere economico. Un potere che, però, proprio loro, i fascisti, storicamente hanno sempre spalleggiato e difeso. Scarsa memoria, opportunismo o riconoscenza verso Berlusconi, uno dei maggiori artefici del loro sdoganamento?

Ma anche a sinistra, la sinistra vera, in molti non sanno di cosa essere contenti. Il governo Monti, imposto dalla Banche e dal mondo della Finanza dell’Unione Europea, non promette nulla di buono.
Lacrime e sangue che, al solito, dovremo versare noi comuni lavoratori, in quanto nessuno oserà toccare i privilegi della casta. Dall’evasione fiscale, alle milionarie proprietà.

Questa sensazione di paese a sovranità limitata è molto più reale di quanto si possa credere. Tanto che andare alle elezioni, occasione per toglierci di mezzo tanti parlamentari analfabeti o eletti per servigi tutt’altro che nobili, è stata ritenuta una perdita di tempo. Una cosa inutile.
E, in effetti… da quanto tempo le elezioni non sono più utili?

Chi si scandalizza oggi nel vedere ridotto il nostro paese a servo di interessi superiori che vengono da oltre la Alpi e da oltre i nostri mari, dovrebbe rifletterci, sempre che sia in buona fede e porsi la domanda: da quanto tempo questa è, di fatto, la realtà?

Io dico che dovremmo gioire, invece e tanto!
Fare cortei, caroselli festosi, iniziative nelle strade.
Ma non con la motivazione di quelli scesi in piazza a Montecitorio, che si sentono liberati più da un feticcio insopportabile e ingombrante, odioso nella sua protervia quanto ridicolo nella sua goffaggine e che non sospettano neppure da cosa si dovranno liberare domani e dopodomani.

Dovremmo gioire perché il cambiamento è avvenuto senza le bombe della Nato. Ma ci pensate se avessero scelto di liberarci e restituirci “democrazia” alla stessa maniera dell’Iraq di Saddam? O dell’Afghanistan dei Talebani? O della Jugoslavia di Milošević? O della Libia di Gheddafi?

Da quanto tempo siamo un paese a sovranità limitata?
In politica estera innanzitutto, con la scusa di esportare “democrazia”. La stessa “democrazia” che oggi vuole più solide garanzie da offrire al Grande Capitale Internazionale. Lacrime e sangue.

Ma si, c’è proprio da gioire. Berlusconi se n’è andato senza neppure bisogno delle bombe, intere o a frammentazione, dell’uranio impoverito o gas nervini. Sono bastati spread e titoli di borsa.
State tranquilli, avrà di che consolarsi. Ha molte nipotine, Silvio, anche straniere. Ma che fortuna, per noi, vivere aldiquà dell’Adriatico!

venerdì 21 ottobre 2011

Una delle Cartoline dal Kosovo e Metohija...

Cari amici,
Il mio nome è Sonja Vuković. Vivo a Osojane, comune di Istok, a Kosovo e Metohija. Lavoro in una scuola elementare come pedagogo. Mi piace lavorare con bambini, mi rallegrano, fanno ridere e mi fanno essere felice. Da anni porto alunni alle varie gite ma questo soggiorno a Roma per me è stato davvero una cosa speciale.
Da tanto tempo desideravo vedere Roma ed ecco, il mio è un esempio che i sogni possono diventare la realtà. Bisogna soltanto desiderare le cose giuste e Dio ci penserà a farle diventare la realtà nel momento giusto per noi. Roma è una città bellissima, è così meravigliosa che non ci sono le parole con cui potrei descrivere la sua bellezza. Camminare per le strade di Roma è un cammino sulle vie di eternità.
Quello che è più importante in assoluto è che ho conosciuto delle persone fantastiche, e in questo senso particolarmente Samantha ed Alessandro, le persone piene di calore, sincerità e amore. Grazie di aver riconosciuto l'ingiustizia che è stata compiuta verso il nostro paese. Grazie per amare i Serbi e la Serbia. Dopo tante sconfitte che abbiamo vissuto come popolo, dopo tanto dolore per non riuscire a dimostrare al mondo che non siamo cattivi ne colpevoli, il vostro amore ed il vostro combattere per il popolo Serbo, sono di grande conforto per noi.
Il villaggio Osojane in cui vivo è il primo villaggio a Kosovo e Metohija in cui le persone sfollate sono cominciate a tornare. Siamo scappati nel 1999 proprio quando a Kosovo e Metohija è stata ufficialmente proclamata la situazione di pace. Abbiamo vissuto come profughi per due anni, dopo i bombardamenti del mio paese, e questi erano i giorni più difficili. Siamo tornati il 13 agosto 2001. Tutto era distrutto, bruciato, rovinato. Davanti ai resti della mia casa ho trovato il mio slittino, il mio unico ricordo dell'infanzia che si è salvato.
Per un anno abbiamo aspettato che ci ricostruissero le case e nel frattempo abbiamo vissuto nelle tende e nei container. Ci scortavano e proteggevano i soldati italiani e per cinque anni potevamo muoverci solo con la scorta militare. L'inizio è stato difficile, ma tutto si sopporta più facilmente se si è nella propria casa, e sulla propria terra.
La scuola a Osojane è stata riaperta e ha cominciato a lavorare nel 2002 con solo 6 alunni. Un anno dopo il vecchio edificio è stato rinnovato e quest'anno ci sono 40 alunni. Non ci sono molte persone giovani a Osojane. Dopo il ritorno molti hanno deciso di andare via di nuovo perché non potevano sopportare la pressione psicologica e l'isolamento. In questo momento a Osojane sento soprattutto la mancanza dei miei amici, che sono sparsi per il mondo. Nonostante tutte le difficoltà siamo felici di vivere sotto il pezzo del cielo che è nostro, che non abbiamo rubato né tolto a nessuno. Quando guardo la mia terra sono molto orgogliosa perché è mia e io le appartengo. Ecco perché non vedo il mio futuro al di fuori della Serbia e fuori dal Kosovo e Metohija.
Mi piacerebbe tornare di nuovo a Roma, dove ci sono anche delle possibilità per specializzazione, però dopo tornerei di nuovo nel mio paese. Quando avrete letto questa lettera sarò migliaia di km lontano da voi. Ma la lontananza non permetterà che io dimentichi tutte le persone care e i giorni passati a Roma che hanno assomigliato molto al mio sogno.
Grazie a tutti che hanno aiutato l'organizzazione del nostro viaggio. Noi forse non siamo in grado di esprimere i nostri sentimenti e le emozioni però credete che i nostri cuori a Roma sono stati pieni di gioia. Stiamo tornando alla nostra solita vita di sempre e nei momenti difficili mi ricorderò di Roma, delle persone care e di quel mare infinito, con il castello sullo sfondo.

mercoledì 7 settembre 2011

Cartoline dal Kosovo e Metohija

Gorica, Sonja, Gordana, Marina, Milica, Jelica, Albijana, Roxanda, la "mascotte" Violeta... e poi Stefan, Stojan, Milos, Danilo, Stefan, Srdjan. 12 ragazzi in età preuniversitaria più 3 accompagnatrici maggiorenni, provenienti dai villaggi serbi del Kosovo e Metohija, martoriata terra serba dove Un Ponte per, in accordo coi monaci del monastero di Decani, oggi protetto dai militari italiani della Kfor, ha avviato sostegni a distanza per famiglie che o non sono mai andate via, nonostante i soprusi subiti o sono tornate a vivere in quella che da sempre è la loro terra. Il Kosovo e la Metohija, appunto, la terra dei monasteri.
Fra mille difficoltà, queste famiglie vivono in una sorta di piccole riserve indiane, appena tollerate quando non osteggiate nel nuovo Kosovo indipendente, riconosciuto a tempo di record dall'Italia e dai paesi Nato, non riconosciuto da molti altri, fra i quali Cina, Russia, India, Brasile. La comunità internazionale non sembra preoccuparsi di questo apartheid, quasi che le sorti di questa gente non rientri nelle agende dei solerti Ministeri degli Esteri che in passato, al contrario, hanno fatto di tutto per bombardare quel che rimaneva della Jugoslavia, con particolare accanimento contro la Serbia, con la scusa, ben propagandata, di combattere le "pulizie etniche".
Questi ragazzi siamo riusciti, con uno sforzo economico enorme per una piccola associazione come Un Ponte per..., a farli arrivare in Italia, a offrire loro una sistemazione più che dignitosa, a farli frequentare un corso di italiano presso le strutture della Facoltà di Lettere dell'università di Roma "Tor Vergata", a regalare loro momenti di gioia, di gioco ma pure culturali davvero di buon livello.
Vedere tanta parte del nostro impegno aggirarsi per i monumenti di Roma, fare foto come normali turisti, conoscendo però la loro situazione di vita, ci ha in parte commosso ma pure regalato forza e consapevolezza di poter continuare nella strada intrapresa. Coscienti che, insieme anche ai tanti sottoscrittori che ci hanno aiutato e che continuano a farlo, si possano stabilire solidi ponti di solidarietà anche coi dimenticati. Che noi, continueremo a non dimenticare.

martedì 2 agosto 2011

Memoria e Retorica

Il ministro Brunetta continua coi suoi decreti e le sue circolari a incasinare sempre di più la pubblica amministrazione che, invece di unirsi e metterlo in un angolo, come meriterebbe per le sue follie, lo prende sul serio e si adegua. Si burocratizza sempre più la burocrazia! Non se ne uscirà più, e si rafforzerà il concetto di lavoratori pubblici scansafatiche e profittatori. Mentre i ministri se ne vanno baldanzosi, prepotenti e sempre più ricchi.
Sono i tempi che corrono. Tempi che stanno pianificando il disastro annunciato al quale dovranno prendere parte, loro malgrado, i nostri figli. Tagli senza criterio su tutto ciò che è pubblico, da sbeffeggiare e annullare, dove la fa da padrone Nostro Signore Debito, esaltando l’efficienza e l’agilità, tutte robe moderne, del Privato Profitto.
E lasciamo stare i miliardi di euro regalati al mercato della guerra, con le sue missioni umanitarie sparse per il mondo, con le armi e gli armamenti vari, aerei, elicotteri, navi da acquistare, vendere, scambiare. Che si uccidano migliaia di persone non interessa molto, anche perché, spesso, la cosa nemmeno viene raccontata.
Si è costretti talvolta a parlare, raccogliendoci tutti uniti fraternamente (ma solo un minuto, che è pure troppo…) di qualche soldatino sbadato che salta in aria. Chissà perché, poi, tutta questa irriconoscenza, visto che parte per esportare democrazia, oltre che per pagarsi il mutuo della casa, aperto ai tassi da usura delle democratiche e sempre pulite banche mondiali.
Tutto questo, verrà mai ricordato da qualcuno? Quando i nostri figli pagheranno gli ingenti danni che stanno costruendo per loro, qualcuno ricorderà mai gli inutili Don Chishotte che cercavano di raccontare un’altra verità?
Perché la memoria è la base di tutto, senza memoria non si va da nessuna parte. E si tende a farne a meno. Solo che quando ne fa a meno chi è in evidente malafede ce ne facciamo una ragione. Ma quando a farne a meno sono gli insospettabili, la cosa si fa dura.
Ed ecco che, allora, per entrare nel tema fondante di questo blog, leggo nell'articolo di Tommaso Di Francesco di venerdì 29 Luglio su “il manifesto”, dell'ennesima crisi al confine fra Kosovo e Serbia. Ma, leggendo, ho dovuto segnalare un errore, che voglio ancora credere una svista (anche se la segnalazione è stata ignorata…), dato che a commetterlo è uno dei giornalisti da sempre fra i più attenti della questione jugoslava e balcanica.
Nel presentare queste nuove tensioni al confine fra Serbia e Kosovo, si parla delle sparizioni dei serbi dal giugno del 1999, opera dell’Uck, cosiddetto esercito di liberazione del Kosovo, in realtà formazione terroristica e delinquenziale (vedere: Uck, l’armata nell’ombra, di Sandro Provvisionato).
C’è da ribadire ancora una volta, ma credevo non ce ne fosse bisogno mai più, che i serbi scomparivano si, vittime dei sequestri delle bande dell'Uck, ma già dal giugno del 1998, a bombe Nato lontane! E anche prima, di quella data.
Ogni data è fondamentale, perché consente di riportare tutto dentro la giusta ottica. Non di ritorsione si è trattato, come un lettore distratto e male informato potrebbe capire leggendo di sparizioni e sequestri avvenuti dal giugno del 99, alla fine dei bombardamenti Nato e al rientro degli albanesi dal confine con l’Albania (mèta delle governative operazioni Arcobaleno, chi le ricorda più? Ah, la memoria, questa sconosciuta…) ma di autentica aggressione! Un’aggressione condotta all'interno di uno stato sovrano, contro liberi cittadini che avevano la colpa di essere serbi e abitare una regione che gli albanesi ritengono di loro proprietà, occultando le millenarie presenze delle altre etnie che si cerca di far scomparire dalla memoria storica, insieme ai tanti monasteri e chiese ortodossi. E questo, senza dimenticare i tanti scomparsi e uccisi non serbi, addirittura albanesi, colpevoli solo di essere considerati collaborazionisti semplicemente perché, magari, coltivavano la terra insieme al "nemico" serbo o lo frequentavano per un caffè da prendere insieme.
Nel mio ultimo viaggio in Kosovo e Metohija (dove sta divenendo pericoloso anche solo pronunciarlo questo nome: Metohija, la terra dei monasteri…), in un clima revisionista che vorrebbe cancellate dalla memoria collettiva le radici storiche, culturali e religiose di un intero popolo; dove si introducono nelle scuole programmi adottati dall'Albania che inculcano nelle nuove generazioni fin dalle elementari il concetto di monoetnicità della regione, nel mio ultimo viaggio ho incontrato persone nei villaggi serbi della Metohija che vivono al limite della dignità umana. Famiglie che hanno bisogno di tutto, alle quali le autorità albanesi tagliano l'acqua, monopolizzando fiumi e sorgenti e impedendo, di fatto, la coltivazione minima anche di un orto.
Vorrei chiedere, anche se so bene che la domanda può apparire retorica in quanto difficilmente mi verrà data risposta: come possono tollerare i fautori delle guerre umanitarie, sempre più in voga e sempre più finanziate da tutti i governi che si susseguono, siano essi di destra o di sinistra, questa palese e sfrontata negazione dei diritti umani in Kosovo, quel Kosovo ora "libero e indipendente" dove il premier Thaci è accusato ormai da tutti di traffico di organi umani espiantati in modo violento e infame agli scomparsi degli anni precedenti le bombe della Nato?
Davvero la loro coscienza, che s’indigna davanti ai "pazzi sanguinari" di turno che “ammazzano il loro stesso popolo” e che sono sempre e comunque da bombardare, ma in maniera accettabile e condivisa, con le bombe più intelligenti che esistano, come quelle all'uranio, capaci di avvelenare un popolo per generazioni e generazioni future... davvero la loro coscienza è così intermittente? Davvero il loro difendere i diritti umani è atto così poco equidistante, quando l’equidistanza da sempre è il loro verbo assoluto? Davvero devo pensare siano così in malafede?
Non posso crederlo, né accettarlo. E, spero, anche voi che leggete.

Nel frattempo, si accennava alle nuove tensioni che stanno avvenendo, nel silenzio generale, fra Kosovo e Serbia.
Il governo serbo getta acqua sul fuoco, con politiche improntate al massimo dialogo, ma nel rispetto delle risoluzioni Onu (fa tenerezza questa ostinazione della Serbia ufficiale a credere nelle sirene della “Democrazia” importata a suon di bombe. C’è da credere a questo senso delle istituzioni? O è solo fumo da gettare negli occhi dei serbi, che dovranno in un futuro molto prossimo, ci scommetto, accettare molto di peggio??).
Le autorità albanesi di Pristina, al contrario, soffiano sullo stesso fuoco, forti, come sempre, dell’appoggio dei propri protettori europei e, in particolare, di quelli a stelle e strisce che da un lato si compiacciono per le politiche neoliberiste e per gli arresti eccellenti da consegnare al tribunale dell’Aja, tutta opera dell’attuale governo serbo, ma dall’altro nulla fanno, ad esempio, per accelerare l’incriminazione e l’arresto di quello che da sempre è il loro più grande alleato della regione: quell’Agim Thaci, ex criminale, ora elegante premier in giacca e cravatta del neoNato narcostato, già molto amico della Albright ai tempi degli accordi farsa di Rambouillet.
Ma, certo, la base Usa di Bond Steel, nel sud del Kosovo, la più grande d’Europa, deve essere ben salvaguardata nel territorio! E chi, meglio di astuti e incalliti criminali che, nel frattempo, accrescono i propri loschi affari mafiosi e malavitosi, può farlo? Un’altra domanda retorica, alla quale nessuno risponderà.
Intanto, nel nord del Kosovo, a maggioranza serba, il blocco alle frontiere sta determinando una situazione difficile a causa dell’impedimento al passaggio delle merci, avallato dall’intervento della Kfor che non essendo in grado di pretendere da Pristina lo sblocco delle dogane, fa finta di vigilare per evitare altre violenze ma, di fatto, militarizzando quei confini, rendendoli sempre più difficili da attraversare. Quando l’equidistanza diventa farsa!
In tutto questo, registriamo l’assordante silenzio della comunità internazionale, tutta intenta a continuare le proprie guerre, distruggendo popoli e territori, come in un risiko gigantesco.
Ora, dopo la Libia, che resiste, soffre e muore, toccherà alla Siria. E dopo? Domanda retorica.

mercoledì 27 luglio 2011

Mi arrendo...

Mi arrendo.
Ho sempre sostenuto che la Serbia, i Serbi, avessero subito le più grandi ingiustizie in questo secolo e, soprattutto, in quello passato. Ma pure nei secoli precedenti, prestando il fianco, lo so, al vittimismo che da sempre è presentato come caratteristica di questo popolo complicato.

Ho sempre cercato la parola a difesa dei serbi, per ciò che è accaduto nella Jugoslavia degli anni novanta. Ho sempre cercato di dimostrare come i suoi rappresentanti, politici, militari, popolari, avessero grosse attenuanti rispetto a ciò per il quale venivano accusati. Oggi no, basta, mi arrendo. Non spenderò più parole per difendere Milosević, Mladić, il motto Samo Sloga Srbine Spasava (Solo l’Unione Salverà i Serbi!), il festival di Guča, i monasteri del Kosovo e della Metohija, Jelena, Sladjana, Saša e tutto il resto.
No, basta, ve la do vinta.
Ho mia figlia in ospedale, sono davvero in una posizione debole, per cui non cercherò nessun tipo di contrattacco. Ho perso. Gli eventi, del resto, lo dicono. Ho perso, la Serbia ha perso.
La Serbia, che ha arrestato i suoi generali, quelli che il tribunale dell’Aja voleva arrestare, ha perso. Glieli ha consegnati, impacchettati e spediti a domicilio, senza ricevuta di ritorno.
Ho perso, lo so, ho perso come la Serbia con i suoi governanti proni a chiedere di entrare nel grande circo dell’Unione europea, senza garanzie su ciò che sarà il futuro della Serbia stessa e del suo popolo, terreno fertile preda dei vari Marchionne, dei comandanti Nato, del Fondo Monetario Internazionale, delle Banche.
Ripeto, mia figlia è in ospedale e io ho altro per la testa. Altro che la Serbia e le sue sorti! Ho perso.
Però, però, però…
Proprio a voi che avete da sempre accusato questo paese delle peggiori nefandezze.. che avete sempre sostenuto che i mali dei Balcani passassero tutti da Belgrado, la Belgrado dal nazionalismo esacerbato, preda di quel senso di vittimismo che ha portato alla violenza degli ultimi venti anni… proprio a voi che avete portato in giro per il mondo l’immagine della Serbia come terra di coltura del nuovo nazismo, delle pulizie etniche, che siete riusciti a convincere tutto il mondo che proprio da quella terra partiva il male assoluto… a voi, che avete eletto a vostri privilegiati interlocutori gentaglia che vendeva organi umani in cambio di soldi per finanziare il malaffare e lo squallido potere, scambiato per afflato libertario (che scempio delle parole!)… A voi che avete avallato tutto questo, si, proprio a voi, oggi io chiedo…
Come potete tollerare, nel nome del rispetto dei diritti umani, che persone come Zvezdan Arsić, abitante di una casetta in un villaggio serbo, nei pressi di Dečani, dove esiste e resiste un monastero millenario sotto tutela dell’Unesco, oggi patrimonio dell’umanità ma a rischio distruzione… che persone come Zvezdan Arsić, al quale hanno tagliato la fornitura di acqua e non può più annaffiare il proprio orto, che sta rinsecchendo, così come i fiori nei vasi che ci mostra, sconsolato e tenero, senza altre fonti di sostentamento… come potete tollerare che persone così non possano avere un minimo di giustizia?
Tutto intorno alla sua casetta appare povero, abbandonato, rassegnato. Padre Petar, del monastero di Dečani, dove perplessi soldati italiani fanno la guardia, controllando passaporti di amici visitatori, dove assistono alle funzioni religiose di una religione discreta, che non viene a cercarti a casa, una religione che aspetta che sia tu a compiere il primo passo di avvicinamento a Dio, religione che, con un sms, si ferma e prega, per le sorti di una ragazzina lontana che nemmeno conosce… Padre Petar mi mostra, fra il desolato e l’ironico amaro, quelle che erano le case dei serbi, distrutte. Aggiungendo, rassegnato…
“Le case dei serbi nel Kosovo e Metohija (attento padre Petar! Metohija è parola che non si può più pronunciare nel Kosovo “moderno, democratico e liberato!”)… queste case le riconosci perché sono quelle distrutte, che si incontrano nel paesaggio, o sono quelle nuove ricostruite coi ricchi fondi della comunità internazionale, ma con materiali poveri, con mezzi poveri, lentamente e distrattamente e che, una volte ultimate, sono piccole, piccole, piccole…”.
E’ vero. Qualcosa stanno ricostruendo a questi serbi ostinati che non vanno via o che sono tornati. Ma sono architetture minimali. Due stanze, un cesso, un tetto. E basta. Può bastare, deve!, bastare.
Costruite vicino alle vecchie case, andate in rovina, saccheggiate e depredate dagli sciacalli. Case una volta grandi, per famiglie numerose ora costrette a vivere in loculi minimali.
“Quello che eravamo, quello che siamo diventati!”.

Ma alla Serbia occidentalizzata e che vuole l’Europa, tutto questo appare davvero lontano.
Io non ero e non sono d’accordo con voi, ma è un parere ormai davvero poco importante.
Ma voi che avete difeso, a vostro modo di vedere e di dire, i “sacri diritti umani”… che pensate di stare a sostenerli ancora, ieri come oggi, attraverso altre guerre, in Libia come altrove… che siete convinti e ritenete doverose queste guerre che chiamate con nomi sprezzanti del ridicolo, che fate finta di ignorare le enormi quantità di denaro che le stesse guerre richiedono, salvo andare in piazza con scolorite bandiere, nere bianche rosse e verdi, per i tagli alla sanità o alla scuola pubblica… voi che vi commuovete con lacrime da coccodrillo, quando torna un militare morto avvolto da bandiere tricolori, pregne dell’ipocrisia di ministri riformati, simbolo di un Italia senza più memoria, che non ricorda la sua Storia e la sua fierezza… sempre pronti a fare finta di fermare lo spettacolo con minuti di raccoglimento che non contemplate quando a morire sono migliaia di civili inermi e sconosciuti e senza colpa, vittime dei vostri assurdi “effetti collaterali”, sempre pienamente giustificati e sempre, puntualmente, ignorati dai vostri telegiornali… per voi, convinti assertori di tutto ciò, non sono forse “Umani” i diritti di queste persone? E perché, allora, ve ne state in silenzio?
Perché restate in silenzio davanti ai tanti serbi scomparsi, ai quali hanno forzatamente espiantato organi, immessi nel mercato clandestino a finanziare movimenti di liberazione che fanno sfoggio, nel Kosovo “moderno, democratico e liberato”, di bandiere USA da balconi e tetti, quasi fossero le loro? Perché voi, si proprio voi, oggi, non dite nulla?”
Io smetto di scrivere su questi argomenti. Lo giuro, smetto. Tanto più, che mai avrete letto di ciò che vado sostenendo da anni. Ignorato, ignorante, mi rimetto alla vostra conoscenza dei fatti. La giudico oggettiva, buona, assoluta. Ma vi chiedo, da sconfitto… come fate a tollerare tutto quello che, oggi, è la realtà?
Attendo risposta.

martedì 12 luglio 2011

Però, mia figlia deve guarire.

Eccomi in viaggio, in questa Serbia che arresta i propri generali per consegnarli in manette a chi l’ha umiliata, vilipesa, derisa, tradita, ferita, squarciata, offesa con bombardamenti, demonizzazioni, embarghi economici feroci, isolamenti.
Ma vuole l’Europa, questa Serbia, come fosse un dovere, quasi fosse colpa sua se questa Europa è una fregatura.
Entro nel pullman di linea che mi porterà a Kraljevo, da Belgrado. Oggi è caldo, ma il cielo di Belgrado è di un azzurro splendido, brillante, da paesaggio nordico.
Partiamo, il pullman non ha condizionatore e c’è un caldo afoso e inesorabile.
Ma il taciturno autista, non appena fuori dalla stazione, apre la porta anteriore.
Io sto seduto sul primo sedile, proprio vicino alla porta e la cosa mi fa piacere. Viaggiamo così, in barba a ogni regola, Del resto, fa troppo caldo, qualcosa bisogna pure inventarsi.
Agli incroci delle strade vendono cocomeri. E’ stagione. L’autista si accende una sigaretta e getta cenere dal suo finestrino che, puntualmente, rientra da quello dopo. Al casello chiude la portiera. C’è la polizia.
Superato il casello dell’autostrada, però, è di nuovo fresco, è di nuovo aria, è di nuovo ventilazione naturale.
Viaggio in solitudine.
Mi sento bene, la mia testa diviene improvvisamente sgombra, libera, pulita. Un po’ come questo cielo oggi, libero da grigie nubi, pieno di se. Mi riempio dell’essenziale, che oggi è il vuoto.
L’autista ha smesso di fumare ma sposta le cose sul cruscotto che stavano per volare via, guidando con una mano sola, in discesa, sull’autostrada. Nessuno sembra preoccuparsi. Lui sa quello che fa.
Si, sto davvero bene. Il viaggio mi rasserena.
Penso alla prima volta, subito dopo i bombardamenti “umanitari”, quando venivo a scoprire un mondo che non conoscevo. L’autista del pullman fuma molto e, adesso, sputa pure dal finestrino.
Non si fa!, quello dietro è aperto. Ma la cenere è più leggera, la porta il vento. Lo sputo no. Lo sputo pesa. Porta catrame, nicotina, inquinamento, disprezzo. Per una vita che non è più vita.
Salgono passeggeri dove non ci sono fermate, questo è davvero autobus per povera gente. Costa poco, rispetto agli altri. Salgono lavoratori che tornano a casa dopo il lavoro, pure loro avranno da sputare il loro sangue, il loro catrame, il peso di una vita che si fa sempre più dura.
Chiedo al bigliettaio se mi possono far scendere non alla fermata ufficiale ma vicino al mio hotel, che è di strada. Naturalmente non fanno problemi, si può fare. Saluto, mangio qualcosa da solo, vado a dormire, sereno e leggero. Domani sarà Kosovo. Domani sarà pure Metohija, la terra dei monasteri. E’ il nome giusto per quella terra.
A Dečani il sole filtra dalle finestre della chiesa. E’ bello. Ma io accendo un cero, di quelli grandi. Mia figlia non sta bene, me lo hanno detto al telefono. Niente di che, ma dentro sento qualcosa che non va. Allora accendo il cero, chiamo il suo nome. Dentro la chiesa, stavolta, anche io pregherò.

Con padre Petar visito alcune famiglie che verranno sostenute a distanza. Ho bisogno dei loro dati. E il solito rituale si svolge. Si arriva, si stringono mani, si chiedono nomi. Le storie, sembrano sempre le stesse.
Ma le persone no, quelle cambiano ogni volta. Prima di conoscere questa nuove famiglie abbiamo consegnato i sostegni a distanza a nove famiglie che avevamo conosciuto a novembre scorso. Alcuni dei loro figli verranno in Italia a Settembre, in una iniziativa di conoscenza e scambio. Petar scatta foto a me e ai bambini. Sono foto belle, vive, piene di amore. Stiamo facendo cose importanti, anche se piccole e minime. Ma di più non riusciamo e questo, in ogni caso, sembra davvero molto, vista la considerazione che c’è per quel che si fa.
A Raušić passiamo vicino alle case distrutte dei serbi. E’ il passato che va a braccetto col presente, fatto di cimiteri ortodossi invasi da sterpaglie, con le lapidi distrutte, in frantumi.
A Djurakovac c’è la chiesa ortodossa anche lei invasa dalle sterpaglie mentre, poco distante, una nuova moschea lucida e bianca e brillante, fa sfoggio di se.
Visitiamo la famiglia di Zvezdan Arsić, una di quelle che andremo a sostenere dalla prossima volta.
Mi colpisce l’aspetto di quest’uomo, malato e gracile, che fa della terra la sua unica fonte di sostentamento.
Solo che, ci dice, da cinque giorni hanno tagliato l’acqua e non può annaffiare il suo orto. Che sta rinsecchendo, così come i fiori nei vasi che Zvezdan ci mostra, sconsolato e tenero. Tutto intorno mi sembra povero, abbandonato, rassegnato. Padre Petar mi mostra, anche se ormai le conosco bene, quelle che erano le case dei serbi: distrutte. Ma mi dice, anche… “Le case dei serbi le riconosci bene perché o sono quelle distrutte che si incontrano nel paesaggio, o sono quelle piccole, piccole…”.
E’ vero. Qualcosa gli hanno ricostruito a questi serbi ostinati che non vanno via o che sono tornati. Ma sono davvero architetture minimali. Due stanze, un cesso, un tetto. E basta. Spesso, costruite vicino alle vecchie case, andate in rovina, saccheggiate e depredate. Quello che eravamo, quello che siamo diventati.
Ma alla Serbia che vuole l’Europa, tutto questo appare davvero lontano.
La notte a Dečani è incantevole, anche se triste e preoccupata. Mia figlia non migliora, la cosa sembra più seria di quello che appariva all’inizio. Dormo col cellulare acceso, in attesa di qualche messaggio rassicurante. Che non arriva.

“Io, io… le metterò da parte le mie idee.
Non starò a ripeterle ancora, come ho fatto in questi dodici anni. No, basta. Mi arrendo. Mi dichiaro sconfitto. Non le rinnegherò, ma nemmeno starò qui ancora a difenderle, come fossi un Don Chishotte dei tempi moderni.
Ve la do vinta, tutto quel che avete sempre affermato e sostenuto, anche con bugie secondo me, sulla Jugoslavia, sulla Serbia, sul Kosovo e Metohija, ve lo riconosco buono. Non mi sentirete più. Mai più. Però…
Però proprio voi, che avete sostenuto che in Kosovo era in atto una pulizia etnica… che andava fermato il dittatore pazzo sanguinario, Milosević… che andavano arrestati i suoi complici, come Mladić… voi che avete affermato ovunque e sempre e con forza che la Serbia andava fermata, perché il suo nazionalismo esasperato stava producendo tragedie, calpestando diritti umani, violando leggi e regole internazionali… voi.. voi… come potete tollerare tutto questo, adesso, in silenzio?
Voi che avete abbracciato, facendo vostre, le motivazioni di interventi considerati umanitari, cosa fate oggi? Dove è la vostra umanità, davanti a persone come Zvezdan?
Io non ero e non sono d’accordo con voi, ma il mio è un parere poco importante. Ma voi che avete difeso, a vostro modo di vedere e di dire, diritti umani, e che pensate di sostenerli ancora, ieri come oggi, non sono forse umani i diritti anche di queste persone? E perché, allora, ve ne state in silenzio?

Perché restate in silenzio davanti ai tanti serbi scomparsi, ai quali hanno forzatamente espiantato organi, immessi nel mercato clandestino per finanziare movimenti di liberazione che fanno sfoggio, nel Kosovo “moderno e liberato”, di bandiere USA da balconi e tetti, quasi fossero le loro? Perché voi, si proprio voi, oggi, non dite nulla?”

A Dečani si incontrano i vescovi di Žiča, monastero vicino Kraljevo, un tempo sede del patriarcato e di Raška e Prizren, quindi della Metohija. Sono Hrisoston e Teodosije.
Nell’omelia Hrisoston esalta il ruolo, fondamentale per i serbi che resistono, dei monaci di Dečani.
Petar deve servire messa, “ho il servizio”, ci dice.
Alla fine saluteremo lui e Isaja, mentre Andrej lo salutiamo per telefono. Speriamo di rivederci presto.
Alla frontiera fra Serbia e Kosovo un poliziotto fa l’occhiolino in modo evidente e spudorato a Vesna, la ragazza della Croce Rossa che ci ha accompagnato, facendo anche da interprete.
Così vanno le cose, così sembrano proprio andare.
Mentre lasciamo Kosovska Mitrovica, sulla strada del ritorno inizia a piovere. Speriamo la pioggia arrivi da Zvezdan, e da quelle famiglie che non hanno acqua per il proprio orto. E speriamo pure che quel cero acceso, mantenga la sua luce a lungo. Mia figlia deve guarire.

sabato 18 giugno 2011

"Pinelli vive!"

C’è una scritta, da tanti anni, sul muro che costeggia la via Casilina a Roma, dopo l’incrocio con viale Palmiro Togliatti: “Pinelli vive”.
Giuseppe Pinelli, anarchico milanese, già staffetta partigiana, volò giù da una finestra della questura di Milano, il 15 dicembre del 1969, dove era stato portato per un interrogatorio in seguito all’arresto avvenuto dopo la strage di piazza Fontana, a Milano, del 12 dicembre del 1969. La pista anarchica fu quella seguita dalle indagini. Come spesso accadde, e come spesso tuttora accade, la pista anarchica è quella che viene data per più probabile. Salvo, poi, essere smentita dagli eventi. Ma nessuno se ne ricorderà. E delle matrici fasciste, comuni a tutte le stragi di stato, se ne parlerà quando sarà tardi.
Pinelli, si disse, volò giù da una finestra per un malore. Un po’ come quando si muore perché un proiettile sparato da un poliziotto di stato viene deviato da una rete metallica, o da un sasso gettato in aria da un manifestante. O quando si muore perché ritenuti “pericolosi”, a 18 anni, tornando a casa propria. Toraci soffocati, spaccati dalla furia ceca delle cosiddette forze dell’ordine. Oppure ancora, quando si muore in carcere, sotto la tutela delle forze di stato: polizia, carabinieri, secondini, vigilanza, medici militari… no, son tutti malori.
Sono stato al Ponte della Ghisolfa, un mese fa, a presentare il mio libro L’Urlo del Kosovo. Quel luogo è intriso di storia, quel luogo fu fondato da Giuseppe Pinelli, quel luogo parla ancora di quei tempi. Forse, un po’ datato, forse un po’ “rimastone”, come si dice a Roma. Ma sprizza storia e bandiere rosse da ogni poro!
“Pinelli vive”, dice la scritta sul muro di via Casilina, a Roma… i fascisti sono riusciti solo a cancellare un po’ di falce e martello, ma quella scritta campeggia ancora, orgogliosa e tenace, su quel muro, come fosse un libro di storia.
Proprio oggi, i compagni del Ponte della Ghisolfa, mi hanno chiamato. E mi hanno detto che parte dei soldi ricavati da loro iniziative, sottoscrizioni, incontri, dibattiti, quindi soldi puliti, soldi puri… verranno versati per sostenere alcune famiglie dei villaggi serbi del Kosovo e Metohija, gente che non ne vuole sapere di abbandonare quella che da sempre è la propria terra, quella che da sempre è la propria storia. Gente che resiste, gente che lotta, gente che non si lascia comprare.
Undici famiglie verranno sostenute per tre anni. Undici famiglie conosceranno la solidarietà, l’amicizia, la condivisione… del lutto, della tragedia, ma pure della resistenza.
Sono passato anche stasera, per quella via, la via Casilina, a Roma, dopo l’incrocio con viale Palmiro Togliatti. Ho rivisto quella scritta, l’ho salutata con un pugno chiuso. Davvero, ancora oggi, “Pinelli vive”!

lunedì 6 giugno 2011

Un fiocco viola a scuola!

Radnacciàsu, adesso ho imparato...
http://www.youtube.com/watch?v=rtKDRLr5PVQ

venerdì 27 maggio 2011

Urràh, Serbia libera! Arrestato pure Mladic!

E così, ora potete venire tutti in Serbia! Stiamo organizzando un viaggio in questo paese, ad agosto (chiamate Un Ponte per... 06-44702906 per avere maggiori dettagli). Un paese, la Serbia, che sta per entrare in Europa, finalmente! O quasi, o forse... E si, perchè non è proprio certo, anche se da oggi è un paese più sicuro, visto che tutti i cosiddetti "criminali di guerra", "pulitori etnici", "fanatici nazionalsiti" teorici della Grande Serbia, colpevoli della sanguinosa mattanza in Jugoslavia degli anni '90, sono al cimitero, in cella al tribunale dell'Aja, o stanno per andarci. Anche Ratko Mladic, generale di quello che fu l'esercito della Repubblica Federale di Jugoslavia, verrà processato, una farsa facilmente prevedibile, al tribunale dell'Aja. Conditio sine qua non, imposta alla Serbia... consegnateci Mladic e, forse, entrerete in Europa. Forse era uno dei parametri di Maastricht, ma mi è sfuggito!
Perché all'Aja? Perché non possono essere i cittadini serbi a processarselo, una volta stabilita l’accusa? Quanta legittimità ancora stiamo riconoscendo a questo pseudo - tribunale, istituito ad hoc contro la Jugoslavia che, mentre ha visto "morire improvvisamente" nelle sue celle il presidente Milosevic (ops, ho detto presidente, dovrei forse adeguarmi ai vari Sofri & c. e definirlo Hitlerosevic, oppure boia dei Balcani o chissà come)... mentre ha fatto di tutto per alimentare la demonizzazione dell'intero popolo serbo, sorvolando sui nazionalismi di Itzebegovic o di Tudjman o degli estremisti albanesi kosovari, ha lasciato liberi criminali come Naser Oric, capo delle milizie musulmane di stanza proprio a Srebrenica, pulitore etnico doc dei villaggi serbi della zona (salvo darsela a gambe quando si è trattato di affrontare non donne, anziani, bambini, come abituato a fare, ma un esercito regolare guidato proprio da Ratko Mladic) o Ramush Haradinaj, massacratore dei serbi e degli albanesi jugoslavisti in Kosovo e Metohija già nel 97 e nel 98. Anni completamente ignorati nelle analisi di ciò che è accaduto in Kosovo, con le bombe umanitarie della Nato così umane da finire per proteggere assassini incalliti (uno su tutti: Agim Tachi, il fidatissimo amico della Albright, accusato di traffico di organi espiantati ai desaparecidos serbi) che ora guidano il governo e la polizia del Kosovo "indipendente". Tutti reduci dell'Uck, che andranno a "proteggere" le minoranze serbe al posto dei soldati della Kfor.
Come, lo abbiamo visto nel marzo del 2004, con 150 fra chiese e monasteri ortodossi distrutti e ancora migliaia di serbi cacciati, in prevalenza anziani, sotto lo sguardo "vigile ma in quel caso distratto" della forza internazionale presente sul territorio.
Perché Mladic è “giustamente", come scrivono molti, consegnato all'Aja? Che diritto ha questa istituzione a giudicare ciò che è accaduto in Jugoslavia? E dove sono, sul banco degli imputati, i tanti personaggi, politici e militari Usa e Ue, le cui mani grondano sangue, alcuni anche italiani? Gente in giacca e cravatta, dal parlare forbito e abitualmente ospitata nei salotti televisi, ma che ha massacrato migliaia e migliaia di persone con scelte irresponsabili di politica estera!
Bush, Clinton, Albright, D’Alema, Bonino, Schroeder, Blair, Sarkozy e chi più ne ha, ne metta… quando li vedremo rispondere delle loro responsabilità e dei loro crimini davanti a un tribunale davvero di Giustizia? Oggi assistiamo alle lacrime di coccodrillo della Carla Del Ponte, intervistata anche da Tommaso Di Francesco su il manifesto, ex procuratore capo che ha speso le prime parole in difesa dei serbi massacrati solo dopo aver lasciato l'incarico. Facile, dopo.
Oggi, bontà sua, riconosce la possibilità che si indaghi per i crimini subiti dai serbi. I serbi, per avere riconosciuto questo diritto, devono però abiurare, fare mea culpa. Non hanno diritti uguali agli altri, hanno diritti solo dopo (e forse) aver garantito qualcosa in cambio. Ormai, stanno vendendo anche la loro anima. Non avranno nulla in cambio, ci scommetto fin da ora.
Quale fiducia in questa pseudo giustizia possono riporre i serbi, che subito ci si affretta a definire "ultranazionalisti" se solo oseranno protestare per l'ennesimo schiaffo alla loro dignità? Una dignità che l'attuale premier, il filo-occidentale Tadic, svende ogni giorno di più. Dai trattati con il Kosovo ormai etnicamente ripulito dai serbi (e, ripeterò fino alla noia, non solo: quanti albanesi e rom e di altre etnie sono stati cacciati perché non graditi alle mafie che oggi regnano indisturbate, a guardia di un territorio dominato dalla più grande base americana nel mondo?), fino agli accordi con i grandi Prenditori (no, non è un refuso... ), gente come Marchionne, affamatori di professione di qualunque popolo e di qualsiasi diritto. Come può essere sconfitto quel senso di vittimismo col quale sempre si denigrano i serbi se i serbi, la loro storia, la loro cultura, le loro radici, il loro orgoglio, il loro essere europei da sempre viene calpestato, ogni volta e allo stesso modo?
Verrebbe da dire... state fuori da questa Europa, da questa comunità internazionale. Ogni volta che si sono occupati di voi, è stato un disastro!

mercoledì 11 maggio 2011

Radnacciàsu!

Tanja continua a ridere della mia pronuncia.
“Radnacciàsu”, che in serbo vuol dire compito in classe, non le piace e quella doppia C proprio non riesco a pronunciarla come lei vorrebbe.

Ha sette anni, Tanja, e ride insieme alla sua amichetta, Anastasija, anche lei di sette anni. Siamo nella scuola Vuk Stefanović Karadžić di Trmbas, villaggio di Kragujevac, in Serbia. La scuola è situata in un campo abitato da famiglie profughe dal Kosovo, vittime dei bombardamenti Nato del ‘99.
Prima delle bombe “umanitarie”, quel villaggio era la sede estiva di tanti alunni delle scuole elementari. Ora, è un piccolo vulcano dove tanta rabbia si accumula, giorno dopo giorno, nell’indifferenza di chi ha causato tutto questo. Quando arriviamo, qualcuno ci guarda diffidente, qualcuno ci chiede soldi, altri ci vogliono solo mostrare le loro povere cose.

Stanno così da 12 anni, il loro presente è fatto di lotte quotidiane per la sopravvivenza.
Stanno così da 12 anni e non sembrano avere un futuro.
Ma il futuro lo leggi negli occhi di giovani madri, come Velika, poco più che ventenne e già madre di due bambini.
Stanno così da 12 anni, e non sembrano avere passato. Ma il passato lo leggi negli occhi di anziane madri, come Dobrìla, che ci mostra la foto del suo giovane figlio mai dimenticato, ammazzato in Kosovo. I suoi assassini sono stati premiati dalle bombe della Nato e, quindi, da quelle dell’Italia, complice e rea confessa, per nulla pentita.

Oggi, a Kragujevac, c’è la visita del presidente della Serbia, Boris Tadić. Difficilmente passerà da queste parti. Così come difficilmente, da queste parti, conosceranno mai il maglioncino casual di Marchionne e le sue ricette di risanamento. Non avevano tanto bisogno di risanarsi, ai tempi della Jugoslavia, Kragujevac la chiamavano la “Torino dei Balcani”, con la sua fabbrica di automobili Zastava, oggi preda dei classici e consolidati ricatti del capitalismo occidentale: investimenti pubblici, profitti privati.
La nostra amica Rajka Veljović, dell’ufficio adozioni della Zastava, sindacato Samostalni, oggi licenziata da tutto ed espulsa, di fatto, dalla fabbrica, ci accompagna facendo da garante per noi nei confronti degli abitanti del villaggio. Il suo volto è triste, stanco, rassegnato. Sono anni che viene qui ma in tanti anni la situazione del villaggio è solo peggiorata.

E la tristezza diventa rabbia, per tutti questi anni di sfacelo e di drammi, per un paese che viveva la sua storia con assoluta dignità e fierezza.
Dignità e fierezza che ritroviamo in quel suo raccontarci della tomba di Tito, a Belgrado, che dal 2002 ha visto aumentare in modo esponenziale le visite. C’è chi la chiama “nostalgia”. Ma, forse, è solo ricordo indelebile di tempi migliori, ormai andati. Rabbia e ricordo, tristezza e disperazione.
Qui a Trmbas, alla gente di questo villaggio, anche Milošević e il suo “regime” garantiva un salario, un’istruzione, cure, cibo, casa e dignità. Ma dalle nostre parti tutti lo consideravano un “regime”, una “dittatura” e si sa, di questi tempi si fanno guerre contro le “dittature”, nel nome di “libertà e diritti umani” e anche fra i "pacifisti", ormai, spesso si applaude agli interventi “umanitari”. Dalla Jugoslavia alla Libia, dall’Iraq alla Palestina, passando per l’Afghanistan o per l’Africa. Salvo sorvolare sui risultati finali di queste guerre, che producono tragedie enormi e incontrollate, ma nel silenzio più totale, dove concetti come “libertà e diritti umani” scompaiono dalle agende politiche e dai mass-media.
Anche le persone di questo villaggio, senza saperlo, sono oggi libere e padrone di sé stesse. Non si rendono conto di quanto sia bello essere padroni di sé stessi. E’ la democrazia. Nessuno più che ti impone cose, ma le scegli tu. Anche se sei ridotto allo sbando e non sai dove sbattere la testa, sarà uno sbando… libero!

Tanja ci consegna il compito in classe svolto.

“Radnacciàsu”, adesso ho imparato, anche se a me sembra di pronunciarlo come prima. Lo consegnano anche gli altri bambini che abbiamo coinvolto in questo nostro gioco. Hanno scritto nome e cognome, luogo e data di nascita. Sono nati a Kragujevac, in Serbia. Hanno dai sette ai dieci anni. Si chiamano Tanja, Anastasija, Sladjana, Stefan, Marina, Filip. Le loro famiglie sono state cacciate dal Kosovo e Metohija, la loro terra. Dodici anni fa. E questo villaggio, nel cuore dell’Europa, aspetta che l’Europa si accorga della sua esistenza. Ma, forse, sarà meglio di no. Già una volta, l’Europa, si è ricordata di loro. Crediamo possa bastare.

p.s. Per il loro compito, abbiamo dato a questi bambini voto 5, il massimo nella scuola serba. Hanno bisogno di credere fortemente in loro stessi.

venerdì 22 aprile 2011

Ma quali navi? (articolo su il manifesto del 22 aprile...)

Vogliamo le navi umanitarie!
Ma che significa? Ma che razza di articolo è, che presa di posizione è?
In prima pagina, su un quotidiano come il manifesto, dalla parte del torto, avete sempre sostenuto!
A chi le chiedete queste navi "umanitarie"? Chi le manda, in Libia? La Russa? D'Alema? Veltroni? Berlusconi? Frattini?
Cos'è questo sogno vestito da anime belle, che davvero sarebbe ora di dismettere, una volta per tutte?
Continuate a dire: la Libia era già un inferno prima dei bombardamenti...
E del milione di lavoratori dell'Africa nera che avevano trovato da Gheddafi, si proprio dal "tiranno novello Hitler", "massacratore del proprio popolo" (che aveva liberato dopo una rivoluzione, dalle catene e dalle grinfie dei poteri economici, subdoli e biforcuti, delle potenze coloniali...), un barlume di speranza per il proprio futuro, che cosa ne è stato? Le navi sono anche per loro?
O gli offriamo posti di lavoro? Lo chiediamo a Berlusconi, di dargli quei posti che avevano prima dei bombardamenti e che ora non hanno più? Dove è finito il vostro stare contro, sempre e comunque, quotidiano comunista il manifesto?
Per dire che state contro le bombe di questo strapotere economico assassino, avete sempre bisogno di demonizzare prima qualcuno, sia esso Gheddafi o Saddam, i Talebani o Milosevic... tanto che alla fine della lettura ci si chiede: ma allora, meglio le bombe!
Cosa è questa paura di schierarsi, anche su posizioni scomode e poco producenti, cos'è questo restare a metà fra l'ambiguo e l'equidistante? Fra qualche anno, poi, leggeremo nei vostri trafiletti un'altra verità. Come è successo per la Jugoslavia di Milosevic, altro "tiranno" per la cui cattura e per il cui processo ci si è tanto commossi a sinistra, un'infamia che ancora grida giustizia.
Il movimento pacifista dovrebbe riunirsi con parole chiare, dure, poco accattivanti, altro che fantomatiche navi da sognatori retorici e romantici: a centinaia di migliaia muoiono al mondo e i novelli Hitler siamo noi e stiamo dalla parte sbagliata!
E poi, anche per evitare spettacoli come il massacro, materiale e mediatico, di persone straordinarie come Vittorio Arrigoni, accolto da poche centinaia di persone, compagni e amici, quando ne avrebbe meritate milioni!
Dov'era Napolitano, sempre pronto a baciare bandiere sulle bare di mercenari speculatori delle tragedie altrui? Incatenato alla poltrona da Israele? Pertini sarebbe stato con noi, senza se e senza ma...
Le parole di Fidel Castro, un altro in lista per il ruolo di novello Hitler, altro "massacratore del proprio popolo" (decisamente tesi più redditizia, nel panorama mediatico disinformativo odierno), siano spunto di riflessione:

Si potrà essere o no d'accordo con Gheddafi. Il mondo è stato invaso da ogni tipo di notizia, specialmente con l'impiego dei mezzi di informazione di massa. Si dovrà aspettare il tempo necessario per conoscere in modo rigoroso quanto ci sia di verità o di menzogna, o il groviglio dei fatti di ogni tipo che, in mezzo al caos, si sono prodotti in Libia. Ciò che per me è assolutamente evidente è che il governo degli Stati Uniti non è assolutamente preoccupato per la pace in Libia, e non esiterà a dare alla NATO l'ordine di invadere questo ricco paese (...).
Una persona onesta sarà sempre contro qualsiasi ingiustizia venga commessa con qualsiasi popolo del mondo, e la peggiore, in questo momento, sarebbe quella di stare in silenzio davanti al crimine che la NATO si prepara a commettere contro il popolo libico.
La dirigenza di questa organizzazione bellicista ha fretta di compierlo. E' doveroso denunciarlo!

Sinceramente, è sempre più difficile leggervi. Ma so che stanno aumentando le tirature.
Continuate così, allora...

sabato 16 aprile 2011

Sciacquatevi la bocca!

Prima di parlare di Vittorio Arrigoni, in tanti dovrebbero sciacquarsi la bocca. Ma con acido muriatico!
Forse, anche molti di quelli che popolano il variegato mondo cosiddetto pacifista, perchè Vittorio era, è!... un pacifista di quelli agguerriti, che solo con la presenza sul campo, con l'esposizione del proprio corpo in prima linea riescono a sentirsi parte, per dirla con lui, di una Utopia. Una Utopia bisogna avere il coraggio di inseguirla giorno dopo giorno, farla diventare parte irrinunciabile della propria esistenza, sacrificando, spesso, altri aspetti più comodi e gratificanti. E questo in molti, in troppi, proprio non se la sentono di farlo.
Vittorio è morto per tutto questo, e anche per molto altro. Ma molti, fra quelli che oggi ne tracciano la figura, umiliando un silenzio che meglio li rappresenterebbe, cercano subdolamente, facendo il gioco, sporco, delle ingiustizie che Vittorio cercava di combattere, di renderne inutile la figura stessa. Parlando di questo Uomo come l'ennesima "anima bella" o "utile idiota" o, addirittura, come alcuni nazisionisti hanno fatto, storpiando il suo nome da Arrigoni in "Arricchioni", omofobi razzisti immemori della loro genìa. Rendendo "semplice, romantica, tenera" la figura di un Uomo che ha combattuto "inutilmente" per il suo ideale. Parlando di un ideale che descrivono effimero e irrealizzabile, nel nome del pragmatismo. Ritorcendogli contro, come causa del suo assassinio, proprio quella parte, i palestinesi e la Palestina, che lui aveva nel cuore. Tralasciando, ovviamente, i potenti mezzi di cui i nazisionisti dispongono nel voler far scomparire figure e voci scomode al loro dominio tragico... tralasciando che gli unici a guadagnarci dal suo assassinio sono proprio questi feroci nazisti moderni, che fanno rivoltare nelle tombe i loro antenati martitirizzati da identica, solo apparente follia.
Perchè non di follia si tratta, ma di brutale materialismo. Energia, acqua, accesso al mare... tutte cose che poco hanno a che fare con parole come Utopia, Giustizia, Legalità.
Gli stessi che, parlando della morte di Vittorio, fanno balenare agli occhi degli ignari l'immagine di Hamas che non tiene in sicurezza il proprio territorio, sono gli stessi che pretendono di contrastare le ennesime bombe (dettaglio insignificante: all'uranio impoverito!) della Nato contro la Libia, presentando il volto sanguinario e dispotico di Gheddafi (annovero, purtroppo, fra questi, anche il manifesto di oggi, che sul suo settimanale Alias, quello del sabato, presenta un giovane rapper che odia Gheddafi ed esalta la "Gioventù libica" che lo vuole morto, cantando di martiri in numero molto maggiore che altrove, ma che poco ci canta dell'oltre un milione di lavoratori che in Libia hanno trovato una speranza di vita per se stessi e per le proprie famiglie di quell'Africa nera che in pochi sembrano davvero considerare. Che fine faranno quei lavoratori e quelle speranze? Poco importa. Un po' come con la Tunisia... si è liberata dal dittatore, si è democratizzata, ma ora tanti di quelli che hanno combattuto la vogliono lasciare. Bel modo di costruire le moderne democrazie! Meglio un pacchetto all inclusive, a quanto pare! Lotto, per poi andarmene altrove. Che razza di partigiani ci sono, in questo millennio?
Oggi, è arrivata la notizia che il tribunale dell'Aja ha condannato il generale croato Gotovina a 24 anni di reclusione per crimini contro i serbi (ma non erano i serbi i soli criminai pulitori etnici dei Balcani?) e che, udite udite, Franjo Tudjman, vero negazionista dell'olocausto e capo della Croazia ultranazionalista secessionista che Pannella benedì insieme alla sua cricca nel 92... che Giovanni Paolo II omaggiò con la beatificazione di Alozije Stepinac, alto prelato "benemerito" che negli anni della II guerra mondiale assistette ignaro alla carneficina in atto nel campo di sterminio di Jasenovac dove un milione di persone, fra cui migliaia di bambini e donne, furono sterminati dalla follia degli ustascia croati e dei cattolici oltranzisti... quel Franjo Tudjman è stato definito criminale di guerra!
C'è un piccolo particolare... Tudjman non è passato, da vivo, per quel tribunale, come ad esempio Slobodan Milosevic che in quelle celle c'è morto (o forse, diciamo così, hanno lasciato morire...). Tudjman è morto a casa sua, con tutti gli onori. Ora, a giochi fatti, forse per addolcire la pillola che un governo serbo spudoratamente filo occidentale (tanto da ospitare generali della Nato per creare "positive collaborazioni") sta facendo ingoiare a tutto il popolo serbo, si riconosce che l'"Operazione Tempesta" dell'agosto del 95, quando furono deportati con una vera e propria pulizia etnica tutti i serbi delle Krajne e della Slavonia, e ne morirono a migliaia sotto le bombe Nato con l'applauso dei democratici nostrani come Sofri o francesi europeisti come Henry Levy (che richiamano tanto gli applausi dei moderni democratici per i raid Nato contro la Libia, paese sovrano che non ha attaccato nessuno)... quella operazione, si riconosce opera di Tudjman e, si sentenzia, fu un massacro contro civili. Bene, giustizia sarà fatta. Vedrete, pian piano se ne farà anche nel Kosovo monoetnico dove l'attuale premier, riconosciuto anche dall'intero panorama istituzionale italiano, è inquisito per traffico di organi umani espiantati ai desaparecidos serbi. Peccato che la Jugoslavia non esista più per vederla realizzata, tutta questa giustizia!
Caro Vittorio, quanta amarezza!
Si, dovrebbero sciacquarsi la bocca in molti, prima di parlare di te, di quello che facevi, di quello che si cerca di far sapere e conoscere, nel fragore assordante della propaganda. Ma sarà difficile che lo facciano. Subito pronti ad avventarsi con il loro umanitarismo da quattro soldi, ti faranno martire per poi sbandierare la tua inutilità. Che è anche la nostra, perchè il mondo lo decidono al di sopra delle nostre teste. E ci prendono pure in giro quando, dopo anni e anni di scempio, ci danno persino ragione. Anche a te la storia darà ragione. Ma sarà troppo tardi.

mercoledì 6 aprile 2011

"Fora da 'i ball!"

Con la storia dei diritti umani (sacri, per carità), si stanno commettendo e, soprattutto, tollerando dei veri e propri genocidi!
Se Saddam, esempio che faccio spesso, fosse ancora al suo posto e nessuno fosse andato a bombardare l'Iraq, avremmo il rispetto di qualche diritto umano in meno (ma è pure tutto da dimostrare che oggi in Iraq i diritti umani siano rispettati...) ma certamente avremmo centinaia di migliaia di iracheni ancora VIVI!
Vittime delle guerre subite e delle conseguenze atroci (inquinamento ambientale, uranio impoverito, armi chimiche usate dalla Nato come a Falluja, lotte fratricide e guerra civile), ma anche del feroce embargo ultra decennale che ha annientato il paese.
Siamo noi i nazisti moderni, ma nessuno se ne è ancora accorto!
Ammantati da umanitari, chiamiamo queste nuove guerre coloniali con nomignoli simpatici e teneri, che acquietano le nostre coscienze, fregandocene altamente delle stragi di civili, di bambini, di donne, di anziani, come se quelle di normali uomini fossero meno tragiche...
Ma tanto, c'è il "dittatore" di turno da sbaragliare e debellare, e diritti civili da ripristinare!
Da Milosevic a Saddam, dai Talebani a Gheddafi, da Fidel a Chavez. Tutti novelli Hitler, termine di paragone che ancor più ci tranquillizza.
Salvo concedere la santa assoluzione a Bush-Clinton-D'alema-Solana-Sarkozi-Berlusconi-Kouchner e compagnia cantante (tutti in giacca e cravatta, ben figurano nella società moderna sacrificata all'immagine e all'apparire, sapendo parlare nei salotti bene).
E' ora di ritirare fuori parole d'ordine intorno alle quali ricostruire un vero movimento per un mondo alternativo, improntato sulla solidarietà, su un vivere non cancrenizzato dal profitto, sul rispetto reale e generalizzato dei diritti dell'uomo.
Io, intanto, inizierei dalle solo apparentemente stantie parole:
Fuori l'Italia dalla Nato, fuori la Nato dall'Italia!
(magari, stravolgendo il padano senatur, si potrebbe gridare, invece che agli immigrati, proprio alla Nato: fora da i ball!)

giovedì 24 marzo 2011

Oggi è il 24 marzo...

cari tutti,
nel 12.o anniversario dell'aggressione della Nato alla Jugoslavia (e in particolare alla Serbia), che iniziò proprio il 24 marzo del 1999 e che per 78 giorni massacrò un popolo e una nazione... con bombardamenti all'uranio impoverito... con le famigerate bombe a frammentazione dette "cluster bombs"... con le bombe alla grafite che lasciarono senza corrente, uccidendo tanti neonati, le incubatrici degli ospedali di Belgrado... con effetti dovuti all'inquinamento ambientale devastanti... con conseguenze sulla popolazione civile che ancora oggi vengono pagate dalle persone di qualunque etnia, ceto sociale o religione... con aumento incontrollato ed esponenziale di malattie del sangue e tumorali... con l'uso scientifico di una propaganda che demonizzò l'intero popolo serbo, propaganda che preparò ad arte il terreno alla guerra... con il frutto di quella "guerra" che oggi si chiama "Kosovo libero e indipendente", un narco-stato n el cuore dell'Europa al cui comando siede un criminale di guerra denunciato (finalmente e bontà loro) anche dai rapporti dei rappresentanti del Consiglio d'Europa...
vi voglio girare una notizia dell'ottobre scorso, così, tanto per non dimenticare.

Tutto, anche in concomitanza con un'altra aggressione armata, ancora una volta molto ben digerita, a quanto pare, sia a destra che a sinistra grazie all'idea romantica e molto rassicurante dell'intervento "umanitario". Umanità che, però, non risparmia uranio impoverito, morte e distruzione sulla Libia e fra il suo popolo, tutto. Che le bombe, quando cadono, non distinguono bene chi colpiscono.
Un messaggio, quindi, non a futura memoria ma, purtroppo e sempre più drammaticamente, a memoria del presente.
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Suicida il pilota della NATO che uccise la piccola Milica Rakic

Si è tolto la vita un mese fa il diretto responsabile della morte di Milica Rakic, la piccola di tre anni che abitava nei pressi dell'aeroporto di Belgrado e fu colpita da frammenti di bombe "umanitarie" della NATO il 17 aprile 1999 alle ore 21:45.
Il tenente colonnello Harold F. Myers era andato in pre-pensionamento da pochi mesi con una diagnosi di "stress da disordine post-traumatico" in seguito a quei bombardamenti, secondo le dichiarazioni di sua moglie Elisabeth.

La piccola Milica appare oggi trasfigurata, tra le icone dei santi della chiesa ortodossa, negli affreschi realizzati dal diacono Nikola Lubardic - si veda:
http://www.cnj.it/24MARZO99/criminale.htm#milicarakic
Allo stesso indirizzo rimandiamo per l'elenco completo dei bambini morti ammazzati nell'operazione "umanitaria" della NATO, mirata a strappare il Kosovo alla Serbia per accelerare lo sventramento della Jugoslavia secondo criteri "etnici".

lunedì 21 marzo 2011

Mario Monicelli

Gli italiani, gli intellettuali, gli artisti, sono poco coraggiosi? Sì, lo sono sempre stati. Sono stati vent’anni sotto un governo fascista, ridicolo, con un pagliaccio che stava lassù... Ci ha mandato l’Impero, le falangi romane lungo Via dell’Impero; ha fatto le guerre coloniali, ci ha mandato in guerra... il grande imprenditore ha detto: «Lasciatemi governare, votatemi, perché io mi sono fatto da solo, sono un lavoratore, sono diventato miliardario, vi farò diventare tutti milionari». Ormai nessuno si dimette, tutti pronti a chinare il capo pur di mantenere il posto, di guadagnare. Pronti a sopraffarci, a intrallazzare. Non c’è nessuna dignità. E’ la generazione che è corrotta, malata, che va spazzata via. La speranza è una trappola inventata dai padroni, quelli che ti dicono "State buoni, zitti, pregate, che avrete il vostro riscatto, la vostra ricompensa nell’aldilà... sì, siete dei precari, ma fra 2-3 mesi vi assumiamo ancora, vi daremo un posto". Come finisce questo film? Non lo so, spero che finisca con quello che in Italia non c’è mai stato: una bella botta, una bella rivoluzione. C’è stata in Inghilterra, in Francia, in Russia, in Germania, dappertutto meno che in Italia. Ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto... che è schiavo di tutti. Se vuole riscattarsi, il riscatto non è una cosa semplice. E’ doloroso, esige dei sacrifici. Se no, vada alla malora – che è dove sta andando, ormai da tre generazioni.
(Mario Monicelli)

venerdì 18 marzo 2011

Servi della Nato!

Tutti servi della Nato! da larussa a dalema, da berlusconi a veltroni, da gasparri a bersani! tutti proni e pronti a inviare muscoli italici, flaccidi come i vostri culi. Basta con l'equidistanza, con i né né. E' ora di gridare che se la Libia non ha attaccato nessuno, nessuno può arrogarsi il diritto di attaccarla. Per avere un altro scempio come l'Iraq, la Jugoslavia, l'Afghanistan, centinaia di migliaia di morti civili, e la creazione di nuovi narcostati (Kosovo docet!), buoni per i vostri sporchi interessi! Vigliacchi assassini! Sempre d'accordo quando c'è da bombardare, massacrare, umiliare. E poi venite a festeggiare con le vostre bandiere, nobili anniversari di gente morta per la libertà. Le vostre bandiere sono insanguinate, da del sangue altrui, che ci volete far credere di razza inferiore. Razzisti, infami assassini! Una giustizia, un giorno, giudicherà il vostro squallido fare la storia, col sangue degli innocenti, che propagandate di avere a cuore. Falsi, ipocriti, servi.

mercoledì 16 febbraio 2011

"Foibe a scuola"

Ho un mio indirizzario dove mando i miei scritti, in genere su Kosovo e Serbia. Stavolta ne ho mandato uno non mio, ma del quale sottoscrivo ogni parola, di Francesco Giliani, professore di una scuola del modenese.
Questo intervento, che vi invito a leggere:
(http://prctavagnacco.wordpress.com/2011/02/10/cosi-non-va-chi-ha-paura-a-discutere-liberamente-sulle-foibe/)
ha suscitato molte reazioni, alcune positive, qualcuna negativa. E c'è chi ha chiesto di essere proprio cancellato dalla lista.
Sono un po' invidioso.
Evidentemente, negli scritti che mando non sono abbastanza chiaro nel mio essere di parte. Non metto abbastanza in discussione il mito degli italiani brava gente, mito da rafforzare ancora di più oggi, con tanti militari impegnati in missioni che ancora ci vengono descritte come "di pace".
La realtà, al solito molto semplice, è che non vogliamo sentire nulla su ciò che gli italiani hanno commesso (e commettono) in giro per il mondo, nei vari tragici teatri di guerra. Vero, ci sono stati tanti episodi belli, gloriosi, di uomini valorosi, da raccontare intorno al fuoco, ma non cambiano il contesto nel quale sono accaduti.
Il revisionismo figlio di slogan urlati dai figli della propaganda a orologeria o dalla semplicità dell'ignoranza, che non vuole approfondimenti né messe in discussione, come con le foibe, sta facendo la stessa cosa con l'Etiopia invasa dal duce. Cominciano a comparire libri che parlano dell'eroismo di certi italiani in Africa, del loro essere stati abbandonati, ecc. ecc., saltando completamente la ricostruzione storica dei fatti e sottacendo chi fosse la vittima e chi l'aguzzino. Un po' come con libri tipo "Canale Mussolini". Si tende a sminuire, se non a nascondere, responsabilità con il ricorso all'epica e al romanticismo.

Che ci sia anche una letteratura a sostegno delle tesi revisioniste sulle foibe è facilmente comprensibile e, forse, anche giusto, ma che non si possa parlare (e a Roma, ad esempio, è proprio impossibile, almeno in pubblico) anche di un'altra versione dei fatti, documentata e dalle tesi dimostrabili, la dice lunga su cosa ci troviamo di fronte. Far passare quel drammatico periodo dell'immediato dopoguerra come un attacco degli "slavi", comunisti e partigiani, contro gli italiani in quanto tali è fuorviante, serve a nascondere ciò di cui il fascismo si è reso complice, quando non diretto, tragico protagonista.

giovedì 10 febbraio 2011

Villaggi turistici

Depliant con la pubblicità di villaggi turistici si preparano a invadere le nostre illusioni di riposo.
Ma esistono villaggi, dove il turismo proprio non passa, dove ti rechi solo se hai interessi particolari che, solitamente, non coincidono con quelli di moda nel nostro mondo. In questi villaggi non si va per rilassarsi o per turismo, di qualunque genere. Eppure, si riesce a sorridere.
Sono i villaggi serbi del Kosovo, quelli rimasti dopo la cacciata dei suoi abitanti, almeno la gran parte, nel giugno del 99, dopo i bombardamenti della Nato sulla Jugoslavia. Sono quelli rimasti deserti dopo l’ennesima pulizia etnica contro i serbi, nel marzo del 2004. Oggi, in molti di questi villaggi non vive più nemmeno un serbo. Memoria cancellata, azzerata, anche nelle parole della giovane Svetlana Rakić, che ricorda il suo ritorno in Kosovo, alla conoscenza delle proprie radici, quando non poté rivedere Kjevo, villaggio vicino Istok, perché troppo pericoloso per i serbi anche il solo passarci.
Ma ci sono villaggi come Opraške, Šaljnovica, Koš, Osojane, Brestovik, Goraždevac, Muševine, Sinaje, Belo Polje, dove molti serbi sono rimasti, nonostante tutto o sono tornati, sempre nonostante tutto. E dove stanno cercando di tornare (vedi: http://www.youtube.com/watch?v=9bZMukZpIgA&feature=related).
Queste famiglie vivono in prigioni a cielo aperto. A Koš, vicino Osojane, nel comprensorio di Peć, Radovan Popović guida il pulmino in dotazione al villaggio, donato dal governo norvegese ai monaci del monastero di Dečani e da questi consegnato al villaggio per gli usi comuni, come i bambini da portare a scuola, gli anziani o i malati da portare nei centri sanitari più vicini, la spesa quotidiana. Radovan ci racconta di vite solo apparentemente tranquille, con le tante ingiustizie con le quali convivere, loro malgrado, giorno dopo giorno. La mancanza di legalità non permette loro neppure un minimo di giustizia. Subiscono spesso furti notturni di bestiame o di attrezzature agricole. Ma non possono difendersi, perché ne avrebbero problemi ancora più grandi a conseguenza. La polizia del Kosovo, formata in gran parte da reduci dell’ex formazione terroristica dell’Uck, definita tale dagli Usa e dalla Nato nei primi anni della sua apparizione (ma poi sdoganata come formazione legittimata a combattere per il Kosovo “libero e indipendente”, i cui capi sono oggi al potere ma pure inquisiti per traffico di organi umani e altre attività che davvero poco hanno a che vedere con afflati libertari…), quella polizia non è davvero al di sopra delle parti, né sensibile alle richieste di legalità dei serbi. Capita così, come mi è successo di assistere durante la festa del 14 maggio a Goraždevac, di veder passare fra la pacifica folla di serbi che rendevano omaggio al santo Geremia, un auto con a bordo poliziotti col mitra spianato, dal fare provocatorio e sprezzante.
E continue sono le aggressioni di serbi rimaste impunite, tutte a scoraggiare il loro rientro nelle proprie terre.
Petko Miletić, del villaggio di Opraške, tornato in Kosovo dopo anni di vita da profugo con una moglie e due bambini piccoli, famiglia sostenuta dal progetto di sostegno a distanza avviato da Un Ponte per… in favore di famiglie serbe dei villaggi del Kosovo (vedi: http://www.unponteper.it/cosafacciamo/schedaprogetto.php?sid=16&thold=0) ci racconta della sua casa bruciata nel pogrom del marzo del 2004 e del sogno che fece anni dopo, quando una notte sognò la sua stalla che bruciava. Tornato, trovò la nuova casa costruita per la sua famiglia, con fondi che la comunità internazionale destina per il rientro dei profughi, proprio sul terreno dove prima sorgeva la stalla.
Intorno alla nuova casa, come in un paesaggio spettrale, altre costruzioni bruciate o depredate di tutto, testimoniano la pulizia etnica subita. Petko lavora la terra, aiutato da sua moglie. Tutti i loro sforzi servono a far crescere al meglio i propri due figli, Tamara, di sei anni e Lazar, di cinque. Petko, mi regala in amicizia una bottiglia di rakija fatta da lui. Ogni tanto, con gli amici ne bevo un sorso. Mi serve a ricordare che Petko e la sua famiglia esistono davvero. Così come esistono, al mondo, tanti desideri di vita quotidiana, da ricostruire in pace e serenità. Non voltiamo la faccia.

sabato 8 gennaio 2011

Apertura al buio

Il capodanno è passato.
Abbiamo trascorso la mezzanotte in Serbia, insieme a tanti amici di Kraljevo, molti dei quali con alle spalle storie drammatiche di fuga, distruzione, morte. Ma siamo stati insieme, in una atmosfera di pacata allegria, senza esagerare, che il momento è davvero difficile.
Le lenticchie sono avanzate, così come le pennette al salmone e gli spaghetti alla carbonara. Ma è avanzata anche tanta voglia di fare, e pochi soldi.
Così, quel poco che è rimasto, lo rimettiamo nel piatto, come in una mano di poker. Si apre al buio. Al buio, per cercare di dare un po' di luce ad alcune famiglie di serbi, che sono tornate a vivere nel Kosovo "libero e indipendente" del premier Hashim Tachi, indagato, finalmente, per traffico di organi espiantati ai "desaparecidos" serbi nel '97 e '98, molto tempo prima delle bombe della Nato, che sarebbero state sganciate a difesa dei "liberatori" del Kosovo come lui, che finanziavano in quel modo "l'eroica impresa" (sapete? quelle verità nascoste che tutti conoscono ma delle quali nessuno si occupa... ecco, ora qualcuno se ne sta occupando, con le sue leggi, i tribunali, ecc. ecc.).
Queste famiglie hanno bisogno del nostro misero sostegno perché, anche se pochi, i soldi servono per crescere figli. Hanno bisogno della nostra misera solidarietà, per non sentirsi completamente isolati al mondo. Hanno bisogno che qualcuno, con misere parole, parli di loro, perché la loro voce non resti inascoltata. ( http://www.youtube.com/watch?v=9bZMukZpIgA&feature=mfu_in_order&list=UL )

Sono 30 euro al mese. Un fumatore ne spende molti di più (riducendo il "budget mensile" per il fumo, ne guadagnerebbe anche in salute...), così come ne spende molti di più un appassionato di calcio o di cinema o di qualunque altra cosa. Non è retorica, ma il convivere civile, la giustizia, la solidarietà devono obbligatoriamente passare per una rinuncia. Anche piccola, ma deve essere reale. Altrimenti, è elemosina. E dell'elemosina e dei filantropi non sappiamo più che farcene, a questo mondo. Buon 2011 a tutti.