mercoledì 23 dicembre 2009

Appello per la protezione delle minoranze serbe e dei monasteri ortodossi in Kosovo e Metohija

L’annunciata drastica riduzione del contingente Kfor (compresa la prevista diminuzione del contingente italiano da duemila unità a cinquecento), attuata in risposta alle richieste Usa di un maggiore impegno nella guerra in Afghanistan, rischia di alimentare ulteriormente il dramma che da oltre un decennio vivono le popolazioni di Kosovo e Metohija, che in questo modo si vedrebbero abbandonate al proprio destino.

Preoccupati della sorte dei villaggi serbi che da più di dieci anni vivono sotto protezione, isolati, ghettizzati, minacciati dalle frange estremiste e violente del terrorismo ex Uck oggi al potere… preoccupati per la sorte dei monasteri ortodossi, patrimonio culturale dell’umanità intera, la cui distruzione è stata tentata e realizzata con la perdita definitiva di circa 150 monasteri della regione… con la reale possibilità che un popolo intero, che da secoli abita il Kosovo e Metohija scompaia definitivamente dalla propria terra, ci appelliamo:

a personalità della politica, della cultura, dell’arte e a tutte quelle associazioni del pacifismo militante, che da anni si sono impegnate per ristabilire la verità storica di quanto accaduto nella ex Jugoslavia e in Kosovo e Metohija, in totale contrasto con quanti hanno di fatto cooperato al distacco definitivo del Kosovo dalla Serbia e della comunità serba dal Kosovo, affinché:

- di fronte alla situazione venutasi a creare in questi anni nel Kosovo e Metohija, di fatto controllato e governato da clan malavitosi retti da ex criminali di guerra che hanno impedito lo sviluppo di ogni possibilità di dialogo fra le parti in causa, l’Italia faccia un passo indietro e si pronunci contro la proclamazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, in questi giorni in discussione presso la Corte di Giustizia internazionale;

- si denunci con forza che in questo momento storico, senza che si siano realizzate le condizioni minime e sufficienti a preparare il terreno per un ritiro totale delle truppe, la drastica diminuzione del contingente italiano in Kosovo e Metohija, posto a garanzia della minoranza serba e dei monasteri Ortodossi, abbandonerà a se stesse tutte le realtà “resistenti” nella regione, fatte di villaggi abitati da serbi e poche altre etnie (compresi quegli albanesi non collusi con mafia e terrorismo), da monasteri e cimiteri ortodossi, patrimonio culturale e artistico dell’umanità;

- si lavori affinché tutte le parti in gioco nel Kosovo, comprese le confessioni religiose, tornino a recitare il proprio fondamentale ruolo nel rispetto dei diritti di tutti;

- si arrivi alla istituzione di una commissione internazionale che verifichi la situazione delle proprietà abbandonate dalla popolazione serba in fuga, per poi procedere alla restituzione del patrimonio ai profughi, perché questi possano rientrarne in possesso, smascherando chi se ne è illegalmente impossessato.

Tutto questo perché si possa restituire il territorio del Kosovo e Metohija a tutti coloro che, da sempre, in quel territorio hanno convissuto.

A nostro avviso, il ruolo dell’Italia potrà tornare determinante, come lo fu per la sciagurata scelta dell’intervento armato. E, per una volta, potremo essere d’accordo.

(per le adesioni: http://www.unponteper.it/sostienici/petizione.php )

primi firmatari dell'appello: associazione Un Ponte per…; Lidia Campagnano; Marco Santopadre (direttore Radio Città Aperta); Riccardo Pilato (Zastava Brescia); Matteo Calamandrei; Bruno Maran (Padova); Ivan Pavicevac (redattore radiotrasmissione "Voce Jugoslava"); Milca Ostojic (corrispondente stampa serba); Chiara e Alessandra Di Giorgio; Stefano Giuseppe Magni; Stefano Bacchetta (insegnante elementare); prof. Giorgio Barone-Adesi (Facoltà Giurisprudenza università Catanzaro); Cristina Garreffa (architetto); Paola Salvi (Un Ponte per...)...

mercoledì 16 dicembre 2009

L'Urlo del Kosovo

Non racconterò, stavolta, di missioni, di iniziative, di progetti o progettini, come i professionisti della cooperazione sanno chiamare quelli che in questi anni abbiamo realizzato fra i dimenticati della Serbia. E non farò relazioni. Stavolta no.
Del resto, che c'è da raccontare?
Abbiamo incontrato dignità e disperazione, negli occhi di persone che non sanno più come andare avanti, rabbia e impotenza, negli occhi di chi si batte contro ingiustizie e malattie, vigliacche come le bombe che cadevano dalle nuvole, invisibili quanto gli assassini che le hanno sganciate. Vite che vanno comunque avanti, anche senza un perchè.
E non sembrano esserci più perchè a cui rispondere, oggi. In Kosovo, in Serbia, ovunque.

Il perché di una guerra, che ha regalato storia, arte, cultura, vite umane a mafie e narcotrafficanti, oggi al potere nel Kosovo. E ha consentito l’orribile traffico di organi, espiantati ai tanti serbi fatti sparire nel nulla dal terrorismo Uck, mesi, anni prima della guerra “umanitaria” e per i quali non ci sarà mai più giustizia.


E allora, racconterò del ritorno, fatto di stanchezza, solitudine, crisi e lacrime soffocate.
Per quella figura esile, minuta, furtiva come ombra, nel buio del monastero di Gračanica, che mi veniva incontro. Come anime di purgatorio, ci siamo rivisti, in quel buio, in quella solitudine…
Vi ste Irina sestra?” – “Siete suor Irina?
Da”, "Si", era lei e si è ricordata del nostro primo incontro, quattro anni fa, quando Irina mi raccontò delle sue visite periodiche e sotto scorta, ai pochi villaggi serbi scampati al pogrom del marzo 2004, villaggi nei quali svolgeva la sua professione di medico pediatra, curando e assistendo bambini.
Il volto non è più lo stesso, quello fresco e vivo di allora. Anche il mio non lo è più.
Zima” avanza sui volti, sulle pietre, sulle strade, regno inaffidabile di nervosi e ambigui passanti, che fanno tappa in un caffé. Gračanica di notte.
Inverno” avanza, imbianca destini e ti lascia dentro solo voglia di piangere.
Per tutti quei monasteri che, lontano da Gračanica, rischiano di sparire per sempre. Per tutte le suor Irina che rischiano di non avere futuro nel loro Kosovo e Metohija, da sempre la loro terra, la terra dei monasteri.
Quei soldati davanti l’ingresso del monastero presto se ne andranno. E se non lo faranno loro, lo faranno gli altri, schierati oggi a salvaguardia dei pochi serbi rimasti a vivere, isolati e ghettizzati, nei propri villaggi, mezzo distrutti accanto ai cimiteri dei propri cari.
Lanceremo un appello, fatto di parole, ponderate ed equilibrate, perché tanti possano sottoscriverlo e aderire a quel grido di disperazione e paura che, però, TUTTI!, dovremo urlare al mondo, unendoci a quell’albero, bruciato fin nelle radici ma che Boško ha portato in salvo, strappandolo al Kosovo e Metohija “liberato”, realizzandone scultura a simbolo di tutto il dolore e disperazione di un popolo umiliato, sventrato, avvelenato, defraudato.
Urlo lanciato per tutto quel patrimonio umano, culturale, artistico, a rischio sparizione, ma pure per quell’ombra, che non so togliermi dagli occhi e dalla mente… ombra che avanza, nel buio e nella solitudine di un monastero, uno dei tanti, bellissimo ma spento, isolato e buio, protetto da militari ignari e distanti, stonati e inaccettabili.
Quell’ombra, a simbolo di tutte le altre che il Kosovo inghiotte, ormai da anni, nell’indifferenza generale.
No, scusatemi, ma non mi riesce di vedere né di sentire altro, oggi, se non quel buio e quella solitudine… niente altro, se non quella voglia grande che ti soffoca la gola, impazzisce il cuore, allaga lo sguardo… paura di morire, insieme a tutto questo.

giovedì 3 dicembre 2009

Kosovo e Metohija, è scattato l’allarme!

L’allarme è scattato.
La Nato, padrona della politica estera di molti paesi, fra i quali il nostro, l’Italia, sia essa di Berlusconi, di Fini, di Prodi o di D’Alema, chiama a raccolta. Servono più militari in Afghanistan e, nonostante il disperato appello a Obama di Michael Moore, vedrete che li manderanno. Solo che l’Italia li prenderà soprattutto dal Kosovo, ormai in completa svendita, che sta per essere abbandonato anche da Belgrado, ancora una volta imbrogliata da un piatto di lenticchie, come la prossima liberalizzazione dei visti, tenuta sotto scacco dalla paura di guastare i rapporti con la comunità europea.
Sarà inutile, dunque, il prossimo viaggio a Roma e a Bruxelles di padre Sava, vescovo delegato della chiesa ortodossa serba e di padre Teodosije, vescovo di Dečani, per chiedere che le forze Kfor a tutela dei loro monasteri non smobilitino?
Senza una presa di posizione forte e chiara soprattutto di quelle realtà associative della società civile non colluse con la spartizione dei fondi, di provenienza USA e Germania, riversati nell’area con intento evidente di favorire quell’associazionismo la cui attività di fatto avalla la indipendenza unilaterale, puntualmente proclamata… senza una presa di posizione di queste realtà che da anni si sono impegnate per ristabilire la verità storica di quanto accaduto nella ex Jugoslavia e in Kosovo e Metohija, forse si, sarà inutile.
Perché tutti i monasteri e, di conseguenza, i villaggi serbi che ancora resistono in Kosovo e Metohija, il Kosovo e Metohija in mano ai criminali di guerra, narcotrafficanti, capi clan mafiosi dell’ex Uck, saranno abbandonati al loro destino.
Forse, non i più famosi, come Dečani o Gračanica o come il patriarcato di Peć, che potranno rappresentare un business, in futuro, anche per gli albanesi, che proveranno a trasformarli in loro patrimonio culturale, cosa che, di fatto, l’Albania ha già provato a rivendicare. Ma per quelli più piccoli, miracolosamente scampati ai vari pogrom anti serbi, dal giugno del 1999 fino a oggi, passando per il 17 marzo 2004, c’è il serio rischio della distruzione e cancellazione più completa, anche dalla memoria.
E non servirà la presenza Eulex a difenderli, insieme alle ultime famiglie di serbi rimasti nelle enclavi. Erigendo e controllando dogane, con la scusa dei traffici malavitosi verso la Serbia, ha reso inutile la stessa richiesta presentata dal governo di Belgrado alla Corte di giustizia internazionale sulla legittimità dell’indipendenza proclamata unilateralmente in Kosovo nel febbraio 2008. Il verdetto pare già scritto ma, in ogni caso, la richiesta si ridurrà a puro esercizio di demagogia. Impensabile, infatti, si possa tornare indietro restituendo realmente il Kosovo alla Serbia. E quelle famiglie rischiano di venire spazzate via e per sempre. Un popolo, verrà definitivamente cancellato dalla propria terra.
Ma che popolo siamo diventati, noi italiani, che non riusciamo a indignarci più, se non davanti a una fiction televisiva o a un reality show?
All’inizio, preda delle menzogne di governanti a tempo, messi al loro posto da manovre in perfetto stile Cia, Cossiga insegna!, basta andare a rivedere le sue manovre di bassa politica per permettere di insediare un governo di “sinistra”, quello di D’Alema nel 1998, per non andare a elezioni anticipate, governo poi protagonista nella guerra alla Jugoslavia, sia nel concedere e usare per la propria aviazione le basi per gli attacchi aerei, come Aviano, dove centinaia di persone si affollavano per gustarsi lo spettacolo della guerra in diretta… sia tenendo a casa milioni di persone che non scesero in piazza contro il “loro governo”, complice dell’infame aggressione a un paese sovrano, che non ci aveva attaccato, e che si fece beffe della Costituzione…
Dopo, tutti concordi nell’inviare truppe in missione di pace, truppe che ben presto si resero conto del raggiro, dell’imbroglio, prendendo pian piano le parti dell’unica parte realmente colpita, i serbi!, la cui espulsione ha origine già ad inizio secolo, quando erano il 40% della popolazione di Kosovo e Metohija, ma che basterebbe riconsiderare, alla luce dei fatti accaduti, a partire dal 1981!...
Ora, dopo averli illusi della possibilità di resistere nella loro terra e in quella dei loro padri grazie alla nostra presenza militare, ammirata e apprezzata in questo decennio proprio da quei serbi che furono descritti come nemici, ora… abbandonandoli al loro destino, lasciandoli nel vuoto più assoluto, dove rischieranno di scomparire.
Tutto perché il padrone americano ha fatto un fischio. E’ iniziata la gara a chi dimostrerà, ancora una volta, di essere il più affidabile. Dini o La Russa, poco cambia.
In questo quadro viene da chiedere, provocatoriamente… possiamo affermare che ci resta difficile dissentire dai risultati del referendum svizzero su “moschee e minareti”?
Se la comunità internazionale, infatti, si dovesse comportare sempre come nel Kosovo e Metohija…
avallando la mutilazione di un paese, la Serbia, di una delle sue parti più importanti, culla della propria civiltà…
avallando espulsione e pulizia etnica dei serbi, ma pure delle altre etnie minori, degli oppositori politici e non, anche albanesi (chi conosce la storia di Ibraj Musa, ex partigiano morto da pochi giorni, profugo in patria, difensore della Jugoslavia e amico di tutti i suoi popoli, ma nemico dell’Uck, che gli ha quasi sterminato la famiglia?)…
avallando distruzioni di chiese e cimiteri ortodossi, patrimonio culturale dell’umanità intera, dopo che i serbi hanno tollerato, accettato, condiviso, convissuto da sempre nel Kosovo e Metohija con altre etnie e religioni, consentendo, quindi, la “costruzione di nuovi minareti e nuove moschee”, beh… ci sarebbe poco da stare tranquilli!
Allora, vista la presenza di una forte comunità kosovara albanese nel loro territorio, viene da chiedere, sempre provocatoriamente… ma non avranno ragione gli svizzeri?