mercoledì 24 dicembre 2008

Tempo di auguri...

Tempo di auguri, tempo di buoni propositi, tempo di letterine.
La letterina che vi invio, arriva da Kraljevo, in Serbia, dove con molte famiglie di sfollati e profughi della guerra "umanitaria" del 1999, alla quale attivamente partecipammo come paese Italia, passeremo il capodanno.
Ci saranno cibo e bevande, allegria e musica, le trombe e le grancasse di una orchestra Rom e lo spumante (italiano...). Mancherà qualche mamma, che manderà solo i propri figli, che hanno diritto a festeggiare.
Si, qualche mamma mancherà, perchè da quel solo apparentemente lontano 1999 non ha più il suo uomo accanto. Rapito, fatto sparire, ammazzato e sepolto in una fossa comune, di quelle che non sono state "scoperte" dalle missioni internazionali firmate Nato-Usa. L'Italia avrebbe poi partecipato alla guerra, in difesa degli assassini di quell'uomo, uno fra tanti.
Mancherà anche qualcuno che, in questi anni, si è ammalato, chissà, forse a causa dell'uranio impoverito, chi potrà mai dirlo? Certo, non le commissioni istituite dal nostro paese, che hanno detto che tutto è a posto, quasi che nulla sia successo.
E invece, qualcuno di quegli ammalati, tanti, troppi, sempre di più, mancherà alla festa. Ma andremo avanti lo stesso e comunque, per non dimenticare e non far dimenticare. Proprio come insegna la musica di quelle orchestre per matrimoni e funerali. Vita e morte, gioia e dolore, sorrisi e lacrime.
Tempo di auguri, tempo di buoni propositi, tempo di letterine. Ma anche di memoria, da tenere sempre sveglia. Auguri a tutti voi.

mercoledì 17 dicembre 2008

My name is Luka...

My name is Luka... cantava anni fa Suzanne Vega, in una vecchia canzone.
Sono all’aeroporto, arrivi internazionali, con un cartello in mano, dove c’è scritto proprio “Luka”. Quando uscirà mi vedrà, ne sono certo.
Passa un po’ di tempo ma, alla fine, eccolo lì. Lo vedo, lo riconosco, non può essere che lui, anche se lui del cartello proprio non si accorge. Gli vado incontro...
Sdravo, Luka, dobro dosli!”, ciao Luka, benvenuto e lui mi sorride con i suoi occhi vispi e luminosi. Anche se... Anche se Luka è qui per farsi operare proprio a un occhio, il sinistro. Neuroblastoma, è la diagnosi che non lascia scampo.
Ma Luka di queste cose ne sa davvero poco. Ha tre anni, Luka e la sua giovane mamma, Jelena, lo stringe a se mentre li accompagno a Siena, all’ospedale pediatrico dove esiste un reparto specializzato per la cura e gli interventi all’occhio per quel tipo di male.
Nello specchietto retrovisore passano tante immagini, come icone religiose, un’unica religione... la madre col bambino.
Sono icone dissacrate dalla malattia e dalla guerra che le provoca, guerra che ha distrutto e contaminato il suolo della Jugoslavia, tutta.
Jelena e Luka vengono da Kragujevac, la Torino della Jugoslavia, la chiamavano... 100 km a sud di Belgrado, in Serbia, dove, dopo i bombardamenti del 1999, i medici consigliavano le donne a non fare figli per almeno tre anni. Consiglio che non è stato sufficiente e che si è rivelato inutile perché, anche facendoli dopo, questi figli si ammalano. E sono tanti, troppi, sempre di più.
A Siena vengono ben accolti. C’è un uomo che funge da interprete, viene dal Kosovo, è un goranci, etnia di discendenza turca. E’ buono e disponibile, si vede. Dice che parla e capisce tutte le lingue della ex Jugoslavia, che è dovuto fuggire anche lui, che il Kosovo è ridotto a terra di conquista per invasori stranieri e per il malaffare. E che, fra serbi e albanesi, loro, i goranci, stanno nel mezzo. E non è un bello stare...
Ma i goranci, ora, si trovano anche in Serbia!” gli dico. E lui dice che si, questo è vero e non hanno problemi a starci mentre, in Kosovo, è divenuta impossibile qualsiasi forma di convivenza.
Una cosa, però, resta a unire tutti, come una sorta di cappio al collo... la malattia.
Tutti, ormai, hanno in famiglia qualcuno che in questi anni si è ammalato di tumore o di malattie del sangue. Come in un gioco perfido del destino tutti, albanesi o serbi, goranci o rom, accomunati dallo stesso problema... le malattie insorte dopo l’inquinamento dovuto alle bombe!
Ma Luka, intanto, gioca nel mini parco del reparto pediatrico e non sembra preoccuparsi molto di quello che gli sta intorno e che gli deve apparire nuovo e insolito. La mamma, meno inconsapevole, se lo guarda premurosa.
Mi insegnano che l’occhio malato si riconosce dalla luce più intensa che sembra emanare. L’occhio più luminoso, quello, verrà asportato. Estirpato, perché quella luce, così intensa e luminosa, inganna. E uccide.
Un po’ come la luce dei bombardamenti. Inganna. E uccide. Ma quella, di luce, nessuno riesce mai ad asportarla, né ad estirparla.
Entrano nel reparto degenze, indossano le cuffie e le protezioni per scarpe e vestiti. Si sistemeranno. La degenza sarà lunga. Ma la storia la conosco...
Abbraccio Jelena, le faccio gli auguri “Puno Srece, Jèlena!”, “Hvala!” mi risponde.
E saluto Luka, che mi batte il cinque. Che i tuoi occhi possano continuare a sorridere, piccolo Luka. Tutti e due, insieme a Te.
Me ne torno a casa con la mia vecchia auto, sussurrandomi a mente “My name is Luka...”. Domani avrò le prove per le progressioni verticali. Stasera, forse, studierò.

venerdì 12 dicembre 2008

Jelena

Jelena se ne stava in disparte. Discreta, come chi non vuole disturbare.
Eravamo in quella scuola alberghiera per la formazione di tanti ragazzi, la più grande e rinomata, così ci disse il suo direttore, del sud della Serbia.
Le avevo dato appuntamento lì per consegnarle la rata del sostegno a distanza perché lei alloggiava proprio a cinque minuti da quella scuola, a Vrnjacka Banja, rinomato centro termale.
Stavamo passando velocemente col direttore che faceva strada, proprio come un vero manager sa fare. Ma le andai incontro ugualmente per salutarla, lasciando il piccolo gruppetto alla sua corsa. Jelena mi sorrise, e mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe aspettato che avessimo finito il nostro giro.
Quando, finalmente, terminammo la visita alla scuola, Jelena ricevette la sua quota del sostegno a distanza. Ci invitò a casa per un caffè, ma andavamo di fretta...
"La prossima volta, Jelena, che ora andiamo di corsa!".
Ci disse che Dragana, la sua unica figlia che avevamo ospitato in Italia l'estate passata, era a scuola e che il computer che le avevamo regalato la volta scorsa lo usava sempre, spesso con le sue amiche, e che si divertivano molto.
Dragana era una ragazzina davvero amabile. Adesso, però, era preoccupata di mantenere la linea, non voleva diventare troppo "rotonda". E così, stava attenta al mangiare...
"Però, a capodanno, la dieta la lasceremo stare tutti! Abbiamo organizzato una festa, tanto per stare tutti insieme e passare una bella serata in amicizia, in attesa del nuovo anno. Verrete? Ci farebbe davvero tanto piacere, avervi fra noi..."
Ma sul volto di Jelena scese, improvviso, un velo di tristezza e di malinconia.
"Dragana verrà, se possibile, e verrà se anche la sua amica, Milijana, verrà. Ma io, io... no. Quando ci sono le feste, io preferisco stare a casa. Grazie, grazie lo stesso".
Aveva perso il marito, Jelena, nel '98. Nel Kosovo, dal quale poi fuggì con la sua Dragana.
Ucciso, come tanti altri Serbi. Fatto sparire, nel nulla, cancellato da tutto, meno che dal suo cuore. Il suo nome era Pera Adzancic.
La successiva guerra del '99, sarebbe stata fatta a difesa dei suoi assassini. Erano passati 10 anni, ormai. Ma Jelena era ancora innamorata di quell'uomo, del suo ricordo. Ci salutammo.
L'avremmo pure accompagnata con la nostra macchina, ma lei preferì tornarsene a piedi, nonostante la neve, nella piccola stanza di quell'ex albergo per operai delle manutenzioni elettriche, messo a disposizione per gli sfollati di guerra.
Sola, con il suo velo di malinconia a ripararle il viso. Dal freddo, insopportabile, della solitudine.

giovedì 11 dicembre 2008

Quiz... solidali! Prove generali di sinistra...

IL 10 dicembre scorso, all'università di Tor Vergata, dalle 9 di mattina si sono svolte le prove scritte per le progressioni verticali dalla categoria C alla categoria D, per tutto il personale non docente che ne aveva fatto motivata richiesta.
Circa 400 persone hanno affollato un'aula della facoltà di Economia, come si fosse trattato di un incontro sulla situazione economica del paese o del mondo intero. Insomma, una platea importante...
E invece, come direbbe il ministro Brunetta, era una platea di fannulloni incalliti.
Che, accattoni!, stavano lì solo per giocarsi la possibilità di poter incrementare il proprio salario, la propria carriera, la propria pensione... e si perché così, un domani, uno se ne va in pensione con una categoria economica superiore!
C'erano tutti, tanti si sono rivisti lì dopo anni, altri si erano proprio dati appuntamento.
"Mi raccomando, stiamo vicini, che così ci diamo una mano!"
Tra chi pensava di essere una colonna dell'università, tra chi colonna ci si è ritrovato suo malgrado, tra chi non ci pensa nemmeno a essere colonna, sono state consegnate le buste con le prove da eseguire. 30 quiz ai quali rispondere in 30 minuti.
Quiz su "Chi firma mandati di pagamento nei dipartimenti?", oppure su "A chi spetta l'iscrizione a un master di I livello?" oppure su "Chi approva il bilancio preventivo di Ateneo?"... tutti hanno avuto le loro risposte. Molte sbagliate, molte giuste.
Il mio 24/30 è stato deludente, lo confesso. Ma avevo studiato davvero poco, mentre c'era gente che aveva studiato tanto e che il suo 30/30 se lo è portato, giustamente, a casa. Ma la cosa più straordinaria è avvenuta alla fine.
Chi aveva finito il compito, non se ne andava, nonostante gli inviti della commissione... e circondava chi non aveva ancora finito il suo, di compito. Si, rimaneva attorno a chi non aveva ancora imbustato tutti i fogli con le risposte e i propri dati con le buste etichettate. No, stavano ancora tutti lì e davano consigli, aiuti, risposte. Magari non tutte giuste, anzi!... qualcuna proprio sbagliata ma, insomma!, erano consigli sinceri, venivano dal cuore, verso chi stava andando nel panico. Era solidarietà.
Perchè a un collega, in quel momento tuo simile, non puoi rifiutarti di dare una mano e non importa se, poi, prenderà più di te. No, devi!, aiutarlo. E così, capiterà che il tuo aiuto farà avanzare quel tuo collega proprio di un punto avanti a te. Ma che importa? E' così che deve essere, alla faccia di chi sporca queste persone, tutti noi, con l'insulto. Gratuito, insolente, avvilente.
Perchè c'è una solidarietà così forte in questo paese e nel mondo in generale... una solidarietà che, purtroppo, si esprime solo nei casi di estrema necessità... una solidarietà che accomuna quasi tutti... non tutti, certo, ma quasi!, tutti... quasi... una voglia di sentirsi parte di un unico grande gruppo, di una grande forza, inconsapevole ma maggioritaria, apparentemente divisa ma, invece, eccezionalmente unita, che meriterebbe ben altri rappresentanti, ben altri scenari, ben altri risultati.
E che meriterebbe pure che quel "quasi" fosse per sempre, una volta per tutte, cancellato.

mercoledì 3 dicembre 2008

Notizie da Kraljevo...

Cagnolini... al forno
C’è un cane che tutte le mattine viene chiuso dentro un forno.
No, tranquilli, il forno è spento! Sta fuori, in un angolo del portico di ingresso di casa. La nuova, casa, dove la famiglia Ribac, finalmente, è andata a vivere dopo quasi un decennio di soggiorno in un centro collettivo per profughi e sfollati.
Si tratta di un cucciolo di cane, un trovatello. Jelena Ribac, tutte le mattine, lo chiude nel forno prima di andare a scuola. Perché lui, il cagnolino, le è talmente affezionato che le correrebbe dietro fino a scuola. E non si può.
Così, Jelena dice alla nonna, Radmila, di tenerlo chiuso fin quando lei non scompare all’orizzonte. Poi, la nonna potrà riaprire, lasciando il cagnolino in quella insolita cuccia, ad aspettare. Di vederla tornare, per poterle di nuovo correre incontro, felice.
A Kraljevo, ci sono una ragazzina e un cagnolino, felici di essersi conosciuti.

Scacco al quadro
Stavolta l’arrocco è stato efficace.
Muovo le torri tutte verso quel punto preciso. Il re avversario è davvero in difficoltà. Ecco, quella mossa è l’unica che gli rimaneva. Muovo ancora l’alfiere, la torre tiene in scacco il re... ma ecco! Scacco matto! Ho vinto!
Mi alzo e corro nella stanza, gioisco come uno scemo, ma è stata una gran vittoria, la seconda consecutiva a casa Vukovic!
Ho battuto Beba al gioco degli scacchi, dopo aver sconfitto anche Suncica. Sono contento di avervi battute, perché vostra madre, perfida, voleva vedermi sconfitto anche stavolta. Vi dava consigli e muoveva per voi, all’inizio, ma poi aveva altro da fare e così vi ho battute. L’altra volta Jordanka, la mamma, mi aveva ridicolizzato, vincendomi facilmente.
Sono contento. E felice, perché... non si piange più, a casa Vukovic!
Adesso si gioca, si ride, si scherza, ci si prende in giro. Anche se quel quadro, il quadro con quella bambina e le sue lacrime, sta ancora là, appeso.
La prossima volta, me lo voglio giocare a scacchi.
E se vinco, giuro che me lo porto via. Staccato, per sempre, da quella parete.

Furgoni
In questo ristorante dove ci hanno invitati dopo l’incontro col sindaco, ci sono troppe giacche e cravatte, intorno a me.
Troppi personaggi di rampanti memorie, visti e rivisti, salite e tonfi, noie mortali, stesse ambizioni, stessi polsini, stesse agende, stessa supponenza.
Ti offrono ciò che vuoi, tanto non pagano loro. Parole al vento, si inseguono incontro al nulla. Poi, finalmente, l’ora in cui te ne puoi andare. Ed esci.
E proprio fuori, all’uscita, ritrovi il senso del tuo stare lì.
Un furgone parcheggiato... quel!, furgone, guidato per ore e ore, non passavano mai, per migliaia di chilometri, quando tutto era ancora appena accaduto, la Jugoslavia c’era ancora e tutto aveva ancora il sapore della rabbia e dell’ingiustizia, al posto dell’attuale rassegnazione.
Un furgone, ancora in vita per chissà quali scopi, che ormai tutto s’è trasformato. Anche la scritta di lato, che sembra non ricordarci più. Ma lui no, lui, il furgone, sicuro che ricorda ancora. Sta lì, ti guarda, ti fa l'occhiolino. E’ un abbraccio a distanza, discreto, complice, furtivo, fra chi se la intende.
Ciao furgone. Ci incontreremo ancora, da qualche parte, che il viaggio da fare è ancora molto, molto lungo.

Ci salverà il soldato che non la vorrà...?
C’è la neve nel parco di Kraljevo, quello che raggiungi attraversando la ferrovia, prima del campo Rom.
Forse, c’era pure quel giorno di Ottobre del 1941, quando i nazisti sterminarono più di seimila persone, uomini, donne, bambini e anziani.
Blocchi di pietra come tronchi di albero recisi, a ricordo di quelle feroci rappresaglie e di quelle vite spezzate.
Formano recinti come a dire... “Noi ci facciamo ancora compagnia, col calore dei nostri corpi che solo in apparenza si sono raffreddati. Non saremo mai soli, finché gli sguardi dei passanti sapranno ancora fermarsi per noi...”.
Ci sono anche blocchi di pietra che riportano, scolpite, date successive al 1941. Sono gli scampati, i miracolati sopravvissuti fra le cataste macellate dell’invasore. Li hanno commemorati anche loro, se lo meritavano.
Ma, di lato, un po’ in disparte, c’è un altro tronco reciso in pietra. Riporta scolpita la stessa data. Sta lì a memoria di un soldato che si rifiutò di eseguire l’ordine. Fu ammazzato, come traditore.
Forse, avrebbe meritato di starci pure lui, in quei recinti. O, forse, meriterebbe che altri seguissero il suo esempio. E che si formassero recinti nuovi, ma di alberi veri e vivi, piantati da chi obietta, rifiuta, disprezza. La guerra e i suoi ordini da eseguire.
C’è la neve, nel parco di Kraljevo. Forse, come quel giorno di Ottobre del 1941. Ma il calore che sento crescere dentro, quello, questa neve non saprà mai freddarlo. E ce ne sarà sempre, finché lo sguardo del passante saprà ancora fermarsi qui.

Spiriti santi
Quanta neve che ancora resiste, nel parco di Kraljevo.
Il freddo pungente la preserva dal sole, trasformandola in ghiaccio.
Più in là, grida e vociare di bambini che giocano nel fango e in mezzo a neve ormai sporca. Qualcuno ne fa palle, ma è ghiaccio e fa male quando colpisce. Perciò, qualcuno pure piange.
Sono i bambini del campo Rom. Sembrano non curarsi del freddo, ma le loro mani sanno di ghiaccio. E il mocciolo del naso gela.
Non suonano le trombe, questi Rom Serbi. Non hanno fra le mani grancasse e tromboni. Armeggiano fra vecchie auto e ferraglie arrugginite, cartone e rifiuti vari. La neve, quando cade, fa sembrare tutto bello e incantato. Ma dura poco. Qualcuno riconosce il nostro accento, molti di loro sono passati per l’Italia e allora ci salutano e dicono.. “Amico! Guarda...” mostrandoci la desolazione intorno. Un ragazzo mi fa.. “Eh! Come stai?” – “Bene, grazie! E tu?” – Bene! Ciao...”. Ciao, che noi proseguiamo. Andiamo a far visita a una famiglia che non è Rom ma vive lo stesso qui, in una specie di casupola fatiscente, quattro bambini, due caprette, una nonna, un padre e una madre . Manca lo spirito santo... Ci arrangiamo con la rakija, che ci viene offerta insieme al caffè e alla bibita, in grande amicizia e ospitalità, perché li abbiamo degnati della nostra visita. Saremo noi, invece, con l’idea e l’immagine del mondo che ci portiamo appiccicata addosso, abbastanza degni di questa rakija?

martedì 25 novembre 2008

La Grande Medusa

C'è un soprannome che mi è caro.
Me lo ha dato una ragazzina dai capelli biondi e gli occhi verdi, che la prima volta in Italia metteva i braccioli per fare il bagno al mare, con l'acqua alta mezzo metro. E che paura aveva delle meduse, specialmente quelle grandi! Ora è orgogliosa di farmi vedere come si tuffa senza chiudersi il naso con le dita. Il suo nome è Beba, il suo sorriso ha dato il titolo a un libro...

Domani si parte. C'è una missione da compiere.
Prima un incontro a Belgrado con l'ufficio della cooperazione, poi il pullman fino a Kraljevo dove, la sera, ci aspetta la cena da Novka. Chissà se l'artista della vita è andato avanti coi suoi lavori di falegnameria... o se si è impigrito un po', dopo i 18 anni!!!
Giovedì ci saranno le consegne delle rate dei sostegni a distanza per 53 famiglie in totale. E' sempre un'emozione, mai abitudinario nè retorico, incontrare tante famiglie, sapere se stanno meglio, come va con la scuola, con il lavoro, con la salute o se ci sono novità. Insomma, ci si saluta, proprio come fra amici...
E poi i lavori di ricamo da ordinare, da scegliere, da riportare. Visiteremo alcune donne che già in passato hanno mandato loro lavori da noi per farli conoscere, promuovere. E quanti li hanno apprezzati, vero Cesare?
E poi Rosa Lazic, chissà se ha finalmente una casa, che sono 10 anni che non ne conosce una degna di questo nome... chissà se avrà voglia di continuare a raccontarmi la sua storia.
E poi gli incontri con la municipalità di Kraljevo per il progetto legato al tursimo, gli incontri con il direttore di una scuola, con i ragazzi di una locale associazione giovanile e col proprietario di una sala per preparare l'organizzazione della serata di fine anno.
E si, perchè c'è una fantastica scommessa da vincere! Qualcuno ricorda? Il capodanno con tutti loro... e stavolta, ci saranno le trombe di Guca a suonare!
La scommessa la stiamo vincendo. Qualcuno vuole salire sul carro dei vincitori? C'è ancora posto ma... sbrigatevi!

lunedì 24 novembre 2008

Odio...

Odio le sconfitte, perché lasciano rammarico...
odio le parole, quando non sono definitive, ma lasciano interpretazioni...
Odio, amici perduti lungo incomprensibili orizzonti...
Odio gli arroganti, i violenti, i supponenti, i furbi, quelli che gettano immondizie dal loro spazio privato, insozzando il pubblico spazio, per poi invocare “pulizia! E “ ordine!”...
Guardatelo il vostro ordine, e la vostra pulizia, ipocriti!
Odio le vittorie, che non fanno crescere ma, al contrario, fanno male.
Odio, non aver letto nei tuoi occhi e nei tuoi sguardi, il lampo del tradimento.
Odio, essermi sbagliato.
Odio la tv, quando osanna i potenti, fingendoli piccoli e stupidi, fingendosi contro, eleggendoli a “umani”...
Odio, odio tutto ciò!
Vorrei veder rispettare le regole, ma quelle stesse regole, chi le ha scritte?
Ti odio,
perché in questo marciume avrei voluto vederti qui,
con me, prendere un calice di vino rosso fra le dita e berlo... in Amicizia.
Odio, l'amicizia,
perché sa tradire più di ogni altra cosa al mondo.
Più di un Amore, più di un cane, più della tua squadra di calcio...
e ti lascia solo.

venerdì 14 novembre 2008

21 Luglio, 2001... Genova.

A Genova c'ero.
Ho visto la violenza assurda, istintiva e pianificata, ho visto ragazzi cantare, ballare, sulle ali di un sogno... un altro mondo è possibile! Li ho poi visti avviliti, impauriti, umiliati dalla mattanza. Distribuivo volantini, parlavo di Iraq, dove nessun altro mondo hanno reso più possibile. Ma i robocop avanzavano, facevano paura, la gente scappava, bruciano gli occhi, la pelle, i sogni. E c'era un ragazzo che, come me, amava Manu Chao, ed era al suo concerto la sera prima di morire. Oggi, ancora una volta, la coscienza di questo paese ribadisce di non conoscere vergogna. Nè giustizia. Non ce ne era bisogno, lo sapevamo già.

mercoledì 12 novembre 2008

Mercoledì 19 Novembre, alle ore 17,30 presso l'ambasciata di Serbia in Italia, in via dei Monti Parioli, n. 20, Roma (zona p.le Belle Arti - v.le Bruno Buozzi) siete invitati alla presentazione del libro:
"Un sorriso per ogni lacrima", voli a bassa quota in un dopoguerra jugoslavo, di Alessandro Di Meo (edito da ExOrma).
Farà gli onori di casa l'ambasciatrice, gentilissima d.ssa Sanda Raskovic - Ivic.
Durante l'incontro, al quale sono state invitate varie personalità, oltre alla presentazione del libro e delle attività che l'associazione "Un Ponte per..." porta avanti da quasi un decennio nella ex Jugoslavia, in solidarietà con le vittime della guerra della Nato del 1999, verrà proiettato il dvd: "... not kill refugees!" mentre l'attrice Carla Cassola, gentilmente resasi disponibile, leggerà alcuni brani tratti dal libro.
Vi aspettiamo numerosi, per dare senso e forza a quelle voci che vogliono continuare a testimoniare la disgrazia e la situazione di vita attuale di tanta gente, profuga o sfollata di guerra, della quale nessuno sembra interessarsi più e il cui destino non compare, ancora una volta, fra le priorità delle diplomazie internazionali.

venerdì 31 ottobre 2008

Non farti cadere le braccia!

Quando ti dicono che la famiglia viene prima di tutto... e in una famiglia, se tuo figlio ha bisogno di libri per la scuola, tu fai sacrifici e glieli compri... e se tuo figlio sta male tu ti riempi di debiti pur di comprare le medicine giuste e curarlo...
quando ti dicono che la famiglia viene prima di tutto ma, poi, lucrano sulla scuola, lucrano sulla sanità, ne fanno fonte di guadagno e profitto per privati senza scrupoli, che non hanno nessun dio al di fuori del denaro, beh... attento!, ti stanno fregando.

Quando ti raccontano che vogliono combattere gli sprechi, ma te lo racconta gente che ha l'autista che lo va a prendere sotto casa, la mattina... con la servitù che gli pulisce bagni e stanze, che gli va a fare la spesa, attento! ti stanno fregando ancora.

Quando ti dicono che stanno con gli studenti ma, poi, in parlamento, non votano contro l'acquisto di nuovi elicotteri da guerra ma, soltanto, vorrebbero che i soldi per acquistarli vadano a pesare su altri capitoli di spesa, beh... ecco, ti hanno fregato già!

Quando ci si dimentica di un Presidente della Repubblica che andava dicendo... Svuotiamo gli arsenali di guerra, riempiamo i granai!... ma si da voce e visibilità, quando non addirittura credito, a uno che elargisce consigli su come picchiare e terrorizzare studenti e professori, siano giovani o meno giovani, facendo finta di non vedere l'ammissione di colpevolezza di un ex presidente, vergogna!, della nostra repubblichina, di essere stato mandante di omicidi... vogliono proprio fregarti la memoria... la memoria, così da poter ricominciare, laddove erano stati fermati, accompagnati fuori dalla storia!

Quando senti forte, dentro te, la sensazione che è arrivato, o tornato, il momento di menare le mani... ma senti pure che c'è altro di più importante da fare, come lavorare a costruire il futuro... lotta forte, resisti alla facile tentazione... picchiare il fascista!... e lavora! Lotta e studia, lotta e ragiona, veramente pensa che c'è altro da fare. Lascia gli stolti a esercitare la violenza, tu... tu... a differenza di loro, pratica davvero l'antifascismo di oggi... costruisci il tuo futuro!

E infine, quando tutte le mattine trovi il "tuo" giornale all'ingresso della metro, bello fresco di stampa, meravigliosamente gratuito, ben impaginato, intonso... mentre altri giornali, come "il manifesto" rischiano di chiudere e, prima o poi, chiuderanno davvero... forse, comincia a essere tardi per capire che, ormai, ti hanno fregato davvero. O, forse, è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e fare qualcosa per salvare questo giornale, senza il quale tutti noi saremmo molto meno liberi...

sabato 8 novembre, dalle ore 21 presso l'associazione Fusolab, via Giorgio Pitacco 29, zona Prenestina-Villa Gordiani, serata a favore del quotidiano "il manifesto" con storie, emozioni e racconti tratti dal libro "Un sorriso per ogni lacrima", voli a bassa quota in un dopoguerra jugosavo, di Alesssandro Di Meo (Un Ponte per...). Interverrà Tommaso Di Francesco (il manifesto).

martedì 14 ottobre 2008

Gaston Cup, buona (anche...) la seconda!

Si è svolta domenica, 12 Ottobre, la seconda edizione della prestigiosa "Gaston Cup", torneo di calci, calcetto e calcioni per bambini, ragazzi, donne e fannulloni.
La foto che ritrae la coppa per la prima squadra classificata, a guardarla bene, nasconde uno dei reali motivi per cui il torneo viene organizzato... bere!
La bottiglia seminascosta, infatti, contiene, anzi!... conteneva, grappa.
Non è possibile mostrare tutto quello che abbiamo potuto bere, oltre la grappa e mangiarci, oltre i gol, il blog non sarebbe stato sufficiente.
Ma mi è possibile mostrare, più in basso, la seconda foto ...

Ieri sera, tornato a casa, ho fatto una breve sosta sul campetto.
C'era la luna che stava sorgendo, da dietro quella siepe che per poco non mi inghiottiva, per recuperare quell'oggetto tanto ambito quanto, a volte, irraggiungibile... il pallone! E c'era Cristiano, mio figlio, che palleggiava, abile e solitario, proprio col pallone recuperato, quello bello, quello della finale!
Ho scattato questa foto, non è bellissima, al solito, io non sono un buon fotografo. Però...
Però, c'era silenzio.
Immerso dentro quel silenzio mi è parso di risentirvi e rivedervi tutti. E sono stato felice, più che se avessi vinto il torneo!
Ho voluto scattare questa foto per provare a trasmetterla... la malinconia della gioia.
Inutile dire che anche ieri, in quel silenzio, su quel campetto, testimone di tanta sana competizione e di tanto sano divertimento, a un tratto mi è parso di rivederlo... Si, proprio lui, il nostro amico Gastone.
Grazie di cuore a tutti, per tutto.
E anche, per quel qualcosa in più...

(vai al post di luglio 2008: "Nero compagno")

martedì 7 ottobre 2008

A come Aferesi...

Il 2 Ottobre ho donato piastrine (e plasma...).
Sono contento, perchè l'ultima volta non era andata bene. Ma nuovi macchinari, davvero portentosi, rendono tutto molto più semplice.
Donare piastrine è importante, così come il sangue... ma per le piastrine, che durano solo pochi giorni, cinque al massimo, ci sono pochi donatori che possono donare due, tre volte l'anno in genere. Al centro trasfusionale "Cesare Del Monte" del Forlanini, sono molto gentili e disponibili. Ti fanno sentire a tuo agio, cercano di rilassarti, ti parlano. E si conoscono altri donatori. In questa occasione, parlando col mio dirimpettaio che donava plasma, abbiamo finito per parlare di politica e di razzismo.
"Io non sono razzista, però..." ha esordito lui.
Al solito, come accade spesso parlando di queste cose, tutta una idea, fascista e razzista, si manifesta solo successivamente, quasi che quell'esordio, " Io non sono razzista..." serva come password per certe tematiche... tutta una idea, racchiusa in quel "però...".
Però, però, però...
La mia pressione si è alzata all'istante, ne ha tratto giovamento la mia donazione. Inutile raccontare altro. Ci fosse stato Cesare, qualcosa avrebbe avuto da ridire anche lui su quel però, così come su tutti i però che stanno avvelenando da anni la nostra tanto bella società.
Pacatamente, civilmente ma in modo fermo, deciso, Cesare avrebbe avuto da ridire. Senza tentennamenti, soprattutto... senza se e senza ma!
Non conoscete Cesare? Non avete avuto la fortuna di conoscerlo? Io si.
Cesare Del Monte lavorava in questo centro trasfusionale, che ora gli hanno dedicato. Cesare Del Monte, ve lo presento io... una persona davvero speciale.
Un abbraccio, ovunque tu sia.

martedì 30 settembre 2008

Promesse, da mantenere...

Una promessa, andata a vuoto.
"Domani ci rivedremo!", bugia...
Ti arrabbi, resti delusa,
tanto fa la gelosia.
Ma la ragione è dalla tua,
ed io ritorno, arrabbiato con me.
Come lasciarti senza il saluto,
senza un bacio, l'ultimo,
prima dell'assenza?
No, la rabbia è con me.
Ennesima sconfitta del mio vivere,
un quotidiano che tutto rimanda,
che tutto riduce, che tutto azzera.
Poi, un'alchimia di parole, scritte di getto.
L'attesa, un giorno, due, troppi.
Ma ecco... la tua voce lungo un filo!
Tutto torna come prima, bambina mia,
mia ma di altri!, abbracci, di altri!, sorrisi,
andati perduti, nell'ingiustizia del tempo.
Provo a prenderne il posto, non è facile.
Ma io ci sono, voglio dirtelo, ci sono e ci sarò.
Un sorriso, ancora una volta, ci lega, da lontano.
Un sorriso, ancora una volta...
e i tuoi occhi, li immagino così.

mercoledì 24 settembre 2008

Fantastiche... scommesse!

Nel centro di accoglienza di Mataruška Banja, ex complesso alberghiero del centro termale, adibito a rifugio per profughi e sfollati delle varie guerre degli anni ’90, Rosa Lazić ci accoglie venendoci incontro nella piazzetta centrale con la fontana.
Ci fa entrare nel suo alloggio, un ex bagno di tre metri per quattro dove, ci dice, vive da poco tempo. Prima stava coi genitori nella stanza a fianco, stesse dimensioni. Ora questa si è liberata e lei ha potuto starci, per questo ultimo periodo. Ha dovuto coprire alla meglio le tubazioni, che non portano più acqua ma, comunque, tanta umidità. Ma le mattonelle alle pareti, quelle le ha lasciate.
- Non ce la facevo, troppo lavoro!
Quando entriamo, c’è anche la sua anziana mamma, 84 anni, seduta sul letto. Il padre, di qualche anno più giovane, non c'è. Rosa, lentamente e dolcemente, la accompagna fuori, nella sua stanza. Quando torna, ci racconta dell’operazione agli occhi subita dalla madre, pochi mesi fa, operazione dalla quale non si è più ripresa. Oggi, la mamma non vede più.
Piange Rosa, discreta e silenziosa, mentre ci prepara il caffè, che berremo insieme. Ci versa del succo d’arancia e ci offre anche un liquore alle visciole fatto da lei.
- Parli bene l’italiano, Rosa! Dove hai imparato?
- Sono stata cinque anni a Trieste. Bella, Trieste...
Trieste, in lingua serba, si dice Trst, senza vocali. Così, diventa un suono che evoca tristezza...
- Quando c’è stata la guerra, ho lasciato tutto e sono venuta qui perché i miei genitori erano fuggiti dal Kosovo, senza più niente. Ho pensato... “Adesso vado, gli do una mano a sistemarsi...”, erano anziani e anche molto provati dalla fuga e dal dramma vissuto, “... e fra una decina di giorni torno.”. Sono passati dieci anni...
Prende delle foto, Rosa, che ci mostra volentieri.
Immagini da un’altra vita rimescolano ricordi, la tristezza ci prende il cuore. Una vita serena, fatta anche di prospettive e orizzonti da raggiungere, magari piccoli, discreti e umani, ma necessari all’esistenza, tutto sconvolto da eventi più grandi di noi. E incomprensibili. E ingiusti. E lontani.
La rabbia sfuma nella rassegnazione. Rosa era l’unica a non avere figli. I due fratelli avevano famiglia e vivevano in Istria e in Slovenia, mentre la sorella fuggiva anche lei, con la sua, di famiglia, dal Kosovo. Alla fine è Rosa a doversi occupare dei genitori, anziani e malati.
Trieste è lontana, ormai, così come l’idea e, forse, la voglia di ritornarci.
Rosa ricama a mano, fa dei lavori molto belli. Ma anche i suoi, di occhi, sembrano non farcela più.
- Il dottore dice che non devo più lavorare, ma io aspetterò qualche giorno, mi riposerò e poi ricomincerò!
Fra due mesi, ci dice Rosa, anche gli ultimi 150 fra sfollati e profughi del centro dovrebbero essere sistemati altrove. Il centro è stato acquistato da privati per essere riportato alla sua funzione originale. Così, nel frattempo, hanno costruito delle case, piccole, 40 metri quadrati ciascuna, a Beranovac, vicino Ratina, comprensorio di Kraljevo.
- Le hanno fatte i tedeschi, con la cooperazione. In altre zone ci sono quelle fatte dagli italiani e sono migliori.
Altre case, più grandi, sono state costruite grazie ai fondi messi a disposizione da un giocatore di basket serbo, che gioca nella NBA americana. A quelle si accede tramite domanda, con graduatoria successiva a stabilire chi ne ha più diritto, e si dovranno pagare circa diecimila euro per diventarne, alla fine, proprietari definitivi.
Per queste dove dovrebbe andare Rosa, le famiglie pagherebbero solo un contributo mensile per acqua, elettricità e spese fisse. L’acqua...
- Se penso che avrò l’acqua in casa e un bagno tutto per me, non vedo l’ora di andare!
Non c’è acqua, infatti, in questo centro. Per averla, Rosa e gli altri devono uscire, andare a prenderla con secchi e bottiglie. E d’inverno, è dura.
Ma Rosa ha resistito. E resiste ancora. Da dieci anni. Quegli anni, che dovevano essere solo giorni...


Dopo una breve sosta al monastero di Žiča, torniamo.
La storia di Rosa ci rimane dentro, anche nel silenzio che circonda, fra i boschi di questa vallata che attraversiamo.
Abbiamo lasciato i ragazzi a casa di Ceca e Sonja Rakić e li troviamo che giocano a pallone, tutti insieme. Ci sono anche Saša e Andjela, Petko e Dejan, mischiati ai nostri figli. Snežana, la mamma di Ceca e Sonja, ma pure di Petko e Dejan, è felice di aver ospitato i nostri figli, anche se per poche ore, nella sua casa. Ci offre anche lei del liquore, uno alle visciole e uno alle noci, ma un altro caffè proprio non ce la facciamo a prenderlo.
L’atmosfera è bella, cordiale, si respirano gentilezza e amicizia.
A volte penso che molti di noi hanno più amici qui che in Italia.
E infatti, dobbiamo andare, perché alle cinque inizia la festa di Marko. Siamo venuti per lui, per i suoi 18 anni e allora andiamo.
C’è già molta gente. Novka, Marko, Milan e il piccolo Miloš ci accolgono, vestiti a festa, all’ingresso del giardino di casa, per darci il benvenuto ufficiale. Siamo vestiti un po’ a caso, poi abbiamo anche giocato con i ragazzi, prima. Ma non fa niente, Novka è felice. C’è commozione in quell’abbraccio. Veloci, passano negli occhi sei anni di vita, drammi e gioie, paure e speranze, partenze e ritorni. Ma ora, la musica risuona alta nel tendone preparato nel giardino che ripara dalla pioggerella leggera e che ospiterà gli invitati per due giorni di seguito.

Si mangia, si beve, si balla. Fa un certo effetto vedere i nostri figli ballare con piacere e in perfetta sintonia di tempi e passi, il kolo.
Ma è così, ormai, e questo da brividi di felicità.
E rilassa il volto e l’animo. Auguri ancora, Marko.



Anche in questo viaggio abbiamo portato cose.
Quattro computer, di cui uno nuovo regalato a Dragana, l’ultima arrivata nel gruppo ospitalità, proprio dalla famiglia che l’ha ospitata in estate.
Dragana, che è pure sostenuta a distanza da anni, vive a Vrnjačka Banja, altro centro termale, con la mamma Jelena.
Abbiamo poi consegnato gli altri. Sono computer usati ma risistemati molto bene da nostri amici prima della partenza. Verranno utilizzati al meglio perché questi nostri ragazzi stanno crescendo, ormai.
Ieri, venerdì, siamo andati a trovarne molti, anche dividendoci fra noi.
Resta un po’ di amarezza in chi non è riuscito a vederli proprio tutti, o a salutarne di nuovo qualcuno. E, magari, per non aver realizzato tutto ciò che ci si era prefissi alla partenza. Un’amarezza che ti porti dietro, nel viaggio di ritorno verso l’Italia. Un’amarezza che, alla fine, però, sfocia in altre idee, proprio come un fiume quando incontra il mare...
- Perché non cerchiamo un posto dove poter trascorrere insieme l’ultimo dell’anno? Sarebbe fantastico stare insieme quei giorni!
E allora... scommettiamo che, fantastico, lo sarà davvero?

lunedì 22 settembre 2008

Arrivederci!, Marko...

Ci sono stati degli "Arrivederci!" che non hanno avuto senso, nella mia vita.
L'Arrivederci dato a Marko quando è tornato a casa, anni fa, è stato uno dei saluti che, invece, un senso alla mia vita glielo hanno dato.
"Arrivederci, Marko!", oggi vale qualcosa. Una vita, forse.
La vita...
Vista e immaginanta da lassù, da un aereo in volo che ti riporta a casa, la tua, casa... può sembrare poco. Un granello di sabbia, su una spiaggia dorata.
Ma allora, se la spiaggia è dorata, anche quel granello lo sarà. D'oro.
Arrivederci, Marko...

mercoledì 17 settembre 2008

Sabato 20 Settembre, 2008...

Parto. Domani sera sarò a Kraljevo. Ci sarà la mia famiglia, ci saranno degli amici. Questa è la settimana in cui l'artista della vita diventa maggiorenne. Chi è l'artista della vita?
Eccolo, ve lo presento...


"Oggi ho ricevuto uno dei più bei regali della vita.
E’ un tavolino. In serbo si dice... “Sto”.
Come al gioco delle carte, “sette e mezzo”... quando credi di avere le carte giuste, allora dici proprio... Sto!
E’ molto bello, quel tavolino. Piccolo e semplice, da caffé, da the, da drink. O da rakija...
Chi lo ha costruito è un artista. Questa, è la sua prima, vera opera. Questo artista è Serbo. E’ un artista della vita. Lui, la vita, la prende in giro.
Perché la vita lo voleva fregare, a un certo punto. Un punto che era stato fissato davvero troppo, troppo presto.
Si era inventata, la vita, una di quelle malattie gravi, del sangue. Pensate... Anemia Aplastica.
A pronunciarlo, questo nome, nemmeno sembra quello di una malattia. Un gruppo musicale, forse...
La vita lo ha costretto ad anni di ospedale, con momenti nei quali tutto pareva finito e senza speranze, momenti nei quali ti arrendi e dici... va bene, hai vinto tu, te la rendo indietro, la tua vita. Momenti nei quali tutti sembrano arrendersi. Tutti, anche i medici. Ma lui, no. Lui non si era arreso. E non si arrese.
Lottò, momento dopo momento, ora dopo ora, giorno dopo giorno, fino a quel!, giorno. Fino al giorno del trapianto.
Di midollo osseo.
Adesso, dopo anni di lotta, l’artista della vita ha festeggiato la sua vittoria costruendo la prima opera da solo. Un tavolino.
In serbo si dice... Sto. E me lo ha regalato. Una sorpresa...
Mi ha bendato, mi ha guidato, me lo ha fatto toccare, carezzare, indovinare. E poi mi ha detto... “E’ per te, Ale!”
Nel vedere la foto che ci hanno scattato e che ci immortalava insieme, accanto alla sua prima opera, mi sono sentito un poco artista anche io. Perché la vera arte stava tutta, ma proprio tutta, in quella foto. Una foto che prende in giro la vita.
Proprio come sa fare benissimo un’orchestra per matrimoni e funerali, una di quelle che puoi ascoltare in Serbia. Loro, lo sanno fare bene... prendere in giro la vita... e la morte.

Oggi ho ricevuto uno dei più bei regali della vita.
Era un tavolino. In serbo si dice... Sto.
E io, adesso, come fosse al gioco delle carte, posso proprio dirlo... “Sto!”
.

(brano tratto dal libro: "Un sorriso per ogni lacrima" di Alessandro Di Meo)

sabato 13 settembre 2008

Riflessioni... in vacanza

Partiamo alle 9 da Civitavecchia.
Stavolta siamo in orario, che strano. A casa la fretta l’aveva fatta, al solito, da padrona. E alla fine, comunque, qualcosa la dimentichi sempre. Gli occhiali da sole, il binocolo, le carte da gioco, la carta stradale... Va bene, sono anni che andiamo in Sardegna, quella sta lì, non cambia, ma la cartina da sicurezza! E di questi tempi non si parla d’altro. Ci sono i cosiddetti tom-tom, che non so neppure come si scrive, i navigatori satellitari che ti dicono dove svoltare, quando andare, quando ti dovrai fermare, ma la cartina, la cartina... da un senso di libertà.
Poi, c’è chi si dimentica sempre, causa la fretta, di dar da mangiare al gatto, se ce l’ha. Io no, non posso, ne ho dieci e proprio non potrei dimenticarmi, perché quando esci di casa con le valigie, loro ti assalgono, te li trovi tutti intorno che saltano su borse e borsoni, rischi pure di portartene qualcuno via, se non gli dai ciò che gli spetta. Due anni fa, nella fretta della partenza, paura fondata di perdere il traghetto, entrai nella mia vecchia auto a chiudere un finestrino che rimaneva sempre aperto. I gatti entravano e ne facevano dei comodi salotti per le loro notti e non potevo lasciarglielo fare per tutto il tempo della vacanza. Così, velocemente chiusi tutto e non mi accorsi che, evidentemente, qualcuno di loro era dentro e, sotto il sedile, se ne stava a dormire beato.
Quando tornai, ne trovai due chiusi in macchina, rimasti così per dieci giorni, sotto il sole del pomeriggio, che la mattina la macchina era riparata all’ombra... Erano sopravvissuti!
Appena liberati i due, un maschio e una femmina, corsero alle ciotole del cibo che annusarono soltanto, per poi dirigersi piano alle ciotole dell’acqua e, lentamente, dissetarsi ma facendo attenzione a farlo piano. La mia vecchia auto versava in condizioni catastrofiche e, per ripulirla, la dovetti svuotare completamente. Ma ci vollero giorni e giorni, profumi e deodoranti vari, per poterla rendere ancora utilizzabile. In compenso, almeno dentro, sembrava nuova. I due gatti non si frequentarono per mesi e non si accoppiarono mai, fra loro. La convivenza forzata è pericolosa, a volte.
Noi siamo abbastanza affiatati e sulla nave, poco affollata, troviamo il nostro giusto spazio. Provo a dormire ma una fastidiosa trasmissione di un altrettanto fastidioso canale televisivo che continua imperterrito a condizionare tutto il condizionabile, nonostante siano anni che dovrebbe smettere di trasmettere o, quantomeno, dovrebbe andare a farlo da qualche altra parte dell’universo, mi impedisce di farlo. Rilassarmi.
Si parla di contenziosi giudiziari, una massaggiatrice russa non si limita a massaggiare un anziano signore ed esce con lui... lui ci prova ma non riesce a fare nulla... va in depressione e la moglie, un’anziana signora, risentita chiede un euro di risarcimento... Evidentemente, anche per lei l’uomo non deve valere granché.
Alla fine, fra un giudice che fa finta di giudicare, il pubblico che interviene, la pubblicità e il resto, mi perdo il finale e me ne vado fuori a godermi lo spettacolo del mare, fuggendo da quella melma di luoghi comuni e idiozie che ritrovi tutti i giorni davanti ai tuoi occhi, nella vita reale. Il problema Giustizia trasfigurato e umiliato dalla banalizzazione che ne viene fatta per gli Stolti (uso il maiuscolo perché non sanno di esserlo, appartenendo al popolo dei Semplici) mentre quella vera è roba di cui poco si parla, e in maniera anche piuttosto contorta, nei telegiornali, giornali radio, approfondimenti vari.
Vorrei protestare, provare a far spegnere le tv o che, almeno, si metta dell’altro.
Ma questo è un traghetto privato e nel privato fai un po’ come ti pare. Infatti, tutti i televisori sono sintonizzati allo stesso modo, sarà questione anche di sponsor, di pubblicità, di commercio. Mica siamo su un traghetto per andare su un’isola, no! Siamo sempre quelli da spremere, in qualunque occasione, mai lasciarci in pace, sempre a disposizione per essere condizionati e sfruttati e manipolati dalla pubblicità, l’anima del commercio. Delle anime... “De-mo-crazia!”, canterebbe Gaber...
Sul mio giornale leggo che un gruppo di indipendentisti sardi ha proclamato la repubblica di Malu Entu, sull’isola di Mal di Ventre, di fronte alla penisola, bellissima, del Sinis, provincia di Oristano. Hanno chiesto il riconoscimento all’Onu. Non credo glielo concederanno, mica sono il Kosovo!
Vorrei andare laggiù a solidarizzare, non so perché ma mi stanno simpatici. Solo che La Maddalena ci aspetta. E Maddalena, mia figlia, scalpita per arrivarci.


Sulla nave, in pochi giocano a carte.
Cuffiette filiformi attaccate alle orecchie, pc portatili accesi per film e musica o per l’immancabile lavoro da portarsi dietro. Ma di mazzi di carte, davvero pochi.
Ci son quelli dei miei figli che, stavolta, disdegnano i video giochi. Ma è solo un’illusione, lo so, forse, semplicemente, gli piacciono poco. Ma mi piace far finta che sia semplice predilezione per la briscola o il Machiavelli.
In sottofondo, un telegiornale da i soliti numeri dei morti sulle autostrade, vittime degli esodi. Secondo me, sono sempre gli stessi dati, da anni. “L’estate calda, erano decenni che...", e poi... "Siccità al sud, nubifragi al nord, ingenti danni alle coltivazioni...”. Che la natura, però, si sta ribellando davvero. Ma a rimetterci sono sempre quelli che hanno meno, gli sfigati del pianeta. Gli uragani colpiscono le povere genti del centro America, mica i ricchi centri delle ricche città. Al limite, gli sbandati di qualche periferia...
Forse, perché la terra li sente più vicini a se e li rimescola meglio. Per quelli che stanno su, ci vorrà la stagione adatta. Ma se li rimescolerà pure a loro.

Puntuali, arrivano le notizie su violenze, la sicurezza, le norme sul rimpatrio degli indesiderati che commettono crimini. E i nostri, di criminali?
Quale sarà la loro patria dove rispedirli? I nostri assassini, tutti italiani, cento per cento doc!!! Per questi non c’è emergenza, non c’è il corteo di Forza Nuova, nemmeno fiaccolate. Forse, le vittime sono meno nobili. O meno strumentalizzabili.
Un Tir ha ammazzato una famiglia, l’autista è sotto choc... I Tir ci devono essere, se tu hai una utilitaria soccombi. E poi, il vero problema non è avere strade più sicure ma più sicurezza sulle strade! Cioè, tradotto, siccome il vero problema è la guida in stato di ubriachezza, non ci si preoccupa della velocità ma del fatto che chi va forte lo fa ubriaco! Allora, ecco a voi più polizia. E controlli e controlli e ricontrolli, su chi ha bevuto, su chi ha sniffato, su chi ha fumato. Quanta retorica. E ipocrisia.
Mio padre, quando la domenica sera tornavamo dalla campagna, spesso era in stato, diciamo, di allegria depressiva diffusa. Ma la sua seicento la riportava sempre a casa, con noi dentro, illesi. Perché la sua seicento andava a sessanta all’ora, con picchi massimi di ottanta. Così, se la cavava sempre. Avesse avuto una delle utilitarie cosiddette, di oggi, si sarebbe sfracellato, e noi con lui. E avrebbe sfracellato anche qualcun altro. Ma oggi si va così. Forte. Sempre di più. Per avere la sensazione, a parità di vita vissuta, di aver vissuto di più. Sarà.
Intanto, la sera, arrivati nell’isola, passeggiamo tranquilli e poi andiamo a letto. Siamo stanchi. Stasera vivremo di meno, ma le batterie vanno ricaricate. E nel modo più antico. E naturale. Dormendo.


Anche se qualcosa, da casa, te lo sei portato, immancabilmente c’è bisogno di fare la spesa il primo giorno. Così, passi per il bancomat pensando di farla franca. E, invece, già a prima mattina ti ritrovi davanti l’amante dello sportello bancomat che, davanti a te, davanti agli altri in fila da mezz’ora, senza un minimo di pudore, porta a termine un vero e proprio rapporto sessuale con l’ignaro e poco consapevole sportello.
Infila la sua carta, ne estrae soldi ma, non appagato, infila ancora e digita, e chiede, e toglie scontrini, e annulla, e conferma, e ridigita, numeri in gran segreto, coprendo con tutto il suo corpo quell’amplesso misterioso e sensuale. Finalmente se ne va, passando furtivamente una mano sui tasti, ultima, rassegnata, malinconica carezza del giorno.
Ci si potrebbe risolvere il problema prostituzione. Niente più ragazze in strada, niente più sfruttamenti, niente file di auto lungo le strade. Se viene in mente a qualche leghista è fatta. Sportello doppia funzione, una per pagare, l’altra per servizi vari.

Prendo i miei soldi e me ne entro nel supermercato dove tutto quello che vorrei è una saponetta. Ma sugli scaffali puoi solo assistere alle sfilate di miss flacone! Tutti i gusti, tutti i colori ma di saponette, niente! Alla faccia dell’emergenza rifiuti, del riciclaggio delle materie! Una saponetta che si consuma da sola, ormai è ritenuta poco igienica. E in nome dell’igiene, si producono tonnellate di plastica inutile e difficilmente riciclabile. Alla fine una la trovo, sola soletta, sembra quasi dimenticata, lasciata lì da anni e, in effetti, un po’ di polvere sulla scatola c’è.
Vorrei anche una mozzarella ma, anche stavolta, non puoi ottenerla senza che il dio igiene dica la sua. Così, per pochi etti di prezioso bocconcino bianco, sei costretto a portarti via almeno un chilo di plastica. Ci rinuncio. Sono in Sardegna, opto per il pecorino.
Nei giorni successivi, la saponetta si andrà consumando assumendo sempre più la forma del fossile lasciato dagli inquilini precedenti. Deve essere della stessa marca, credo sarà inutile cercarne altri tipi in tutta l’isola.
Scoperta fantastica… lasciando scorrere l‘acqua fredda dal rubinetto, dopo un po’ diventa calda. Lasciando scorrere l’acqua calda, dopo un po’ diventa fredda! Magie di un’isola.

Ieri, in un bar ho consumato un latte macchiato freddo pessimo. Il latte era tiepido e a lunga conservazione. Il bar, a dire il vero sembrava… di sinistra, perciò c’ero entrato. Stamattina ho cambiato. Finalmente mi hanno servito del latte fresco e a temperatura frigo. E’ un mio vizio, la mattina mi piace il latte freddo, macchiato. Ma il latte deve essere preso dal frigo e non dalla bottiglia che sta vicino alla macchina del caffè da mezz’ora. Quello, ormai, è tiepido. Sono contento, questo bar mi rivedrà. Solo che, uscendo, vedo su un banco nel retro la bandiera “Berlusconi for president”!
Credo che domani farò colazione a casa…

Il programma, anche oggi, latita. Io voterò per un pranzetto in un tipico ristorante. Controllerò prima la bandiera, ammetterò solo quella sarda.
Difficilmente verrò accontentato e resterò solo, con la mia minoranza. Al solito.
Domenica ci sarà la prima di campionato e la mia squadra giocherà proprio a Cagliari. Dovrei rintracciare il sardo che, anni fa, dopo avermi rifilato del buon formaggio a un prezzo cattivo, mi mostrò il suo aquilotto. Unico sardo dell’isola, disse con orgoglio, a fare il tifo per la mia squadra. Non mi fece sconti postumi, ma mi regalò un salame piccante molto buono. Certo, lui mi porterebbe in un settore diverso da quello riservato agli ospiti, dove potrei godermi meglio lo spettacolo, senza confondere la mia fede calcistica con atteggiamenti violenti di inaccettabili ideologie che stanno infangando sempre più questa sana passione.
Ma per domenica avremo la gita in barca, fra le meraviglie nascoste di questo arcipelago. Speriamo serva a far decollare questa vacanza, ancora al palo. A prescindere dai risultati di campionato…

Parlo con degli amici che ci sono venuti a far visita insieme al loro cane, di come la verità venga intesa soggettivamente. Così, non si distingue più, negli avvenimenti storici contemporanei e non, tra le reali motivazioni che determinano certi eventi e i coinvolgimenti personali, usando questi ultimi non come deterrente generale, ad esempio, contro le guerre, ma come giustificazione delle stesse. Così, se hai avuto delle perdite in famiglia a causa della guerra, il fatto che il “tuo nemico” sia quello aggredito al quale, comunque, sono state inflitte perdite umane pesanti, non ti toglierà dalla mente che “quelli” sono i cattivi, e tu stai fra i buoni.

Passeggiando per le strade del paese noto cartelli di protesta contro alcuni sfratti forzati ai danni di cittadini residenti nella famigerata zona rossa del prossimo G8, che si svolgerà proprio qui, a La Maddalena, forse per compensare il fatto che gli americani se ne sono andati dall’isola di Santo Stefano, proprio qui di fronte.
Nei cartelli si sostiene che il G8 porterà sicuramente vantaggi per l’isola, solo che gli scriventi non vogliono subire questo tipo di penalizzazioni. Insomma, vogliono i vantaggi, ma non i disagi. Un po’ come nella costruzione delle terze corsie, quando i cartelli ti dicono che si sta lavorando per te, quasi a renderti meno asfissiante quella fila in cui ti sei ritrovato e dalla quale non uscirai prima di un paio di ore, come minimo… Tranquillo, sembrano volerti dire, non appena avremo finito non farai più queste file e potrai andare veloce, magari a sfracellarti da qualche parte, come vuoi, con chi vuoi, contro chi non vorrebbe… Aspettate, cari cittadini sfrattati a tempo de La Maddalena! Soffrite un pochino, in silenzio, e anche per voi, fra un po’, prepareranno questa sorta di terza corsia sulla quale potrete, tranquillamente e allegramente, andare a sfracellarvi. Nel nome del G8.

Tornando a casa, accendo la radio in macchina.
Siamo senza TV e può succedere, almeno i primi giorni, di andare in astinenza da notizie.
Mi sintonizzo sulla Rai, si parla di Afghanistan, c’è un generale intervistato che sta parlando. Usa espressioni come “Verminaio di talebani”, senza che il conduttore senta l’esigenza di specificare se si tratti, appunto, di vermi, di scarafaggi, di topi, rettili (con tutto il rispetto) o per caso non si tratti di uomini.
Il generale va avanti sostenendo che, in quel verminaio, non si può certo distinguere, durante le azioni militari intraprese che, bontà sua, si guarda bene dal definire “di sostegno alla popolazione civile”, fra civili e non. E fra adulti e non. E fra giovani e non. E fra donne e non. Tutto, a giustificare la strage di decine di donne e bambini avvenuta pochi giorni fa a causa di un attacco delle milizie Nato.
Ho spento. Con rabbia. Sono riuscito a rovinarmi anche questa serata.
Vorrei tanto trascinare in quel “verminaio” la famiglia di questo generale, se davvero ne ha una… e poi vedere se la sua fede incrollabile nella guerra presenterà le sue piccole crepe, oppure no. Certo, sarebbe tardiva fessura, oltre che opportunistica. Ma almeno, farebbe sorgere il dubbio. Come in quei due militari italiani, piloti di elicotteri, che si sono rifiutati di bombardare un villaggio nel dubbio, fondato, ci fossero civili. Due eroi…
Sono stati rimpatriati, forse verranno processati, forse congedati. Problemi psichici, hanno detto. Gli unici due normali, rimpatriati per problemi psichici.
Chissà se il nostro generale racconterà mai la verità ai suoi figli, sempre che ne abbia davvero… Se sarà mai in grado di usare quelle due semplici parole, uniche e facili, per definire le sue azioni militari e il suo operato, che gli varranno, sulla bella divisa, qualche medaglia in più, consegnata dall’intero arco istituzionale, all’unanimità!
Due parole semplici, uniche e facili… Eccidi e assassini.
Eccidi, prodotti attraverso stragi legalizzate dall’arroganza e dalla prepotenza di un invasore. E assassini. Coloro che, come lui, confondono obiettivi militari con civili. Donne, bambini, uomini, anziani, vecchi e non.
Mi fermo. Mio figlio ha vomitato. Ieri abbiamo mangiato malissimo in un ristorantino davvero poco tipico, per nulla caratteristico. Lui ci ha bevuto su del the freddo, mentre un’influenza intestinale che pare stia girando da queste parti ha fatto il resto. E ha vomitato. Degna conclusione per queste mie poche, inutili, righe. Ma anche degna risposta, mettiamola così, in faccia a quel generale.


Siamo davvero un popolo civile.
Ho scoperto che si vendono a soli tre euro, dei fantastici posacenere da spiaggia. Che popolo civile. E di commercianti.
A dire il vero, l’idea era venuta già a mia moglie che, riciclando piccoli contenitori in plastica, li usava per le cicche delle sigarette. Ma c’è il problema dello smaltimento dei flaconi in plastica che, a dirla tutta, qui sembra aver risolto il vento, che li dissemina lungo tutto il territorio, negli anfratti della macchia che fa da contorno alle coste e alle calette. Ce ne sono migliaia, fra bottigliette, buste, scatoline, flaconcini. Chissà, magari sono semplici dimenticanze di distratti turisti che lui, il vento, pensa poi a nascondere nella macchia. Ma non gli riesce granché bene. Perché sono troppi! Forse, non sono soltanto dimenticanze...
Forse, un’invenzione di cui davvero ci sarebbe bisogno, e te ne accorgi proprio mentre osservi i resti plastificati dispersi nella macchia… sono contenitori, sempre rigorosamente in plastica, per escrementi umani!
Lo so, sono un po’ rozzo, ma il modello usato per i cani andrebbe già bene. Ce ne saranno a centinaia, tutti contrassegnati con il loro fazzolettino di carta, quasi a indicarne la presenza, che popolo civile siamo diventati… Lasciamo lì il nostro escrementino, in bella vista, ma con la carta sopra! Così, chi passa, lo vede e lo evita. Come bandierine messe lì, in un campo di battaglia, del tipo di quelle usate in certe trasmissioni TV, “illuminanti” sulla questione guerra, col generale tutto preso a spostarle e ripiantarle dove serve. Forse, il generale dell’intervista via radio, saprebbe destreggiarsi bene anche qui…


Un gabbiano su uno scoglio.
Si guarda intorno, sembra sia casa sua, quella. E in effetti, quella è!, casa sua. Siamo noi, gli ospiti. Di questo mare studendo, che si insinua fra isole fantastiche che, a disegnarne il profilo, non riusciresti a farle così. Si siamo noi gli ospiti. Anche suoi. Quelli che lo guardano, lo fotografano, gli girano intorno, gli buttano del pane da mangiare, da litigarsi coi pesci.

Sulla barca che ci accompagna alla scoperta di calette apparentemente irraggiungibili, si parla fra i partecipanti alla gita. Siamo pochi, ma quasi tutti dipendenti pubblici.
Eh, il ministro Brunetta, antipatico da morire ma, in fondo, un po’ ha ragione…”
E io, allora? Che guadagnavo trenta mila lire a settimana, quando ho iniziato a lavorare?” (madonna, ma quanto tempo è passato? Avrà la mia età questo qui…)
E Benigni ha la casa proprio lì’, nell’isola di Santa Maria. Eh già, la vita è bella!”
Quel gabbiano si avvicina. Non ascolta il vociare o, forse, non gliene frega niente. Gli tirano pezzi di pane e formaggio, arrivano anche i pesci, sono uno spettacolo. Si avvicinano in gruppo e mangiano, litigandosi quelle briciole.
Un po’ come noi uomini, si accontentano delle briciole, litigandosele... Ma il gabbiano apre le ali e si getta sui pezzi più grandi.
La barca ci costa un po’, qui è tutto piuttosto caro. Ma ne vale la pena. Chissà che ne pensa Brunetta, il ministro, qui i soldi si danno… come si dice? Cash!, e senza l’ingombro di ricevute. Qui non c’è assenteismo, qui si guadagna davvero. Ma il ministro avrà la sua barca, anzi, il suo yatch, che volete che se ne faccia di una barca così? A me, fannullone dipendente pubblico, non resta che pagare, coi soldi del mio stipendio misero ipertassatoallafonte, e riflettere che quel gabbiano la sa lunga. Eh si, perché a lui, del prossimo G8, importa poco. Lui se ne sta sul suo scoglio. Se glielo dovessero togliere, perché magari da fastidio alla barca di qualche potente terrestre, beh, lui se ne troverebbe un altro. Perché lui, il gabbiano, conosce il mare. E sa come fare per viverci sopra, in barba agli arroganti. E penso che una legge per regolamentare la navigazione, per esempio, andrebbe affidata ai gabbiani! Così come una legge per regolamentare la pesca andrebbe lasciata ai pesci. E così discorrendo, una legge su clandestini e immigrazione, andrebbe fatta scrivere non a possessori di barche e yatch, ma a quegli uomini e a quelle donne che arrivano sfiniti sulle nostre coste, consumati da settimane di stenti e di speranze messe a prova di morte continua. Loro si, la saprebbero lunga!
Scadendo in basso di livello, ma molto… penso che una legge per combattere profittatori e assenteisti, fannulloni e furbetti, che pure ce ne sono, e tanti… andrebbe lasciata a chi, con quegli stessi fannulloni e profittatori del pubblico salario, ci va tutti i giorni a prendere il caffè. Non a ministri che girano con auto blu, contornati di segretarie e portaborse, lacchè e palestrati buttafuori. Gente che non sa nemmeno che fare la spesa all’Eurospin significa risparmiare qualche euro, alla faccia della pubblicità che fa lievitare i costi di tanti prodotti!
La gita di oggi, però, con l’Eurospin c’entra poco. Ci costa 200 euro, 50 a testa, ragazzi compresi. Ma è un prezzo di favore. Certo, avessi voluto ricevute o altra robaccia del genere, con applicazione di IVA o altri insulti tipici, avrei pagato di più . Ma la meraviglia di questo posto fantastico, sarebbe rimasta quella. Concorro a evadere tasse.


Quando vado in vacanza in posti da sogno, come questo, mi viene spontaneo pensare che la gente non ci muore. Così, penso pure che a La Maddalena, la gente davvero non muoia. Come fai a morire in un posto così?
Invece la gente ci muore eccome, me ne accorgo dai manifestini istati a lutto che, come in ogni altro posto, tappezzano alcuni muri della cittadina. Peccato, davvero ci credevo a questa favola…

Qui, ogni paesaggio è caratterizzato dai fichi d’india. E i recinti di terreni, spesso sono affidati a questi frutti, tipici di queste isole. A parte le spine, davvero un problema se non sei pratico, questi frutti sono davvero buoni. Ma a me sembra che non siano sfruttati per il meglio e per il loro valore. Nel senso che non mi accorgo di produzioni di marmellate, liquori, grappe, altro. Niente di niente, come se non esistessero.
Il buon Troisi, genio forse incompreso, sicuramente sottovalutato e dimenticato del nostro folle tempo, in un pezzo comico di tanti anni fa, in cui si sosteneva che il Vesuvio fosse pieno di purè e, quindi, pieno di risorsa non sfruttata per Napoli, si arrabbiava e si batteva per sostenere l’esatto contrario. “Ma qua purè e purè! Accà nu ci sta niente!”, gridava… Qui si potrebbe, forse, raggiungere un compromesso. Per la Sardegna non ci sarebbe purè, però… ci sono i fichi d’India! Originali, buoni, tipici, caratteristici, possibile mai non se ne possa fare una risorsa? Al prossimo G8 metterei la questione al primo punto. Ma, forse, provo a dire.. a lor signori di queste questioni interessa poco.


C’è un sottile filo al quale si resta appesi, a volte. La forza di quel filo farà la differenza. Perché se non lo è, se non lo sarà, forte… non ti terrà più. C’è chi lo chiama Angelo custode, da piccolo lo pregavo tutte le sere...

Oggi abbiamo scoperto una caletta davvero stupenda. Subito via con le maschere, a inseguire pesci, a rubare fantastiche immagini che, dopo che le hai rubate, loro restano lì, a disposizione di tutti. E’ un bel rubare, quindi…
Parlo con un visitatore occasionale dell’isola. Mi racconta di come, il primo giorno, subito si fosse lanciato all’inseguimento di un sarago gigante.
Nuotava, con la sua maschera e il boccaglio. Gli piace nuotare così, mi dice, e guardare sotto fra sassi, alghe, sabbia e fossili che fanno da fondale. Avvicinandosi all’altra parte della caletta, dove altri costoni di roccia dolcemente se ne entrano nell’acqua, mi racconta degli scheletri di ricci da portare a riva per la figlia. Era in acqua da più di mezz’ora, ormai. Mi racconta di come, dopo un po’, avesse cominciato a sentire troppo le variazioni di temperatura, fra una nuotata e l’altra, fra un costone e l’altro.
Anche io non resisto più come un tempo nell’acqua del mare. Sarà l’età…
Lui continua il racconto.
Il freddo gli fa decidere di tornare indietro. Riattraversando lo specchio di acqua che lo separa da una costa all’altra della caletta, nuota deciso. Forse un pochino troppo. A metà, la sua testa gli comincia a fare strani pensieri. Inizia a preoccuparsi che possa vincerlo la fatica. La fatica…
Appena un attimo prima la mente gli aveva fatto notare come l’acqua riesca a tenerti tranquillamente a galla e anche se dovessi stancarti lei, l’acqua, ti terrebbe a galla, dolcemente, per farti riposare, riprendere fiato, ripartire verso la riva.
Ma quel giorno no. Quel giorno, la fatica sembrava farsi improvvisamente pesante. L’aria dal boccaglio, improvvisamente, non entrava più a sufficienza.
Lui si sente affaticato, il suo cervello gli ordina che è proprio così, che la fatica sta avendo la meglio sulla sua ragione. Si ferma, mette fuori la testa e quella maledetta riva, adesso, sembra davvero troppo lontana, tanto da pensare che non riuscirà a raggiungerla.
Un attimo prima non era così ma ora, ora, la sua mente lo convince che non ce la farà.
Prova a togliere il boccaglio, cerca di prendere più aria di quanta ne ricevesse prima, ma invece dell’aria, dalla bocca entra acqua! Addirittura acqua! La mente lo persuade che il corpo non ce la farà, che la riva rimarrà lontana, che l’aria non basterà più, che ora berrà! E lo fa davvero, beve… Strappa con forza la maschera, la getta via, possibile che tutto debba finire così, che tutta stia finendo così, in questo modo idiota, e assurdo?
Col cuore in gola, ancora acqua dal naso, nella gola, si sente mancare, andare giù, le forze, le forze!, stanno andando, eccole che se ne vanno, sta per gridare, sta per gridare, sta per gridare ma, chissà perché, sa pure che non lo farà, la mente è accesa solo per quella cosa idiota, inutile impennata di orgoglio, a ricordare la dignità! E non grida, non grida, sta per lasciarsi andare, si sente tirare verso il fondo ma solo una cosa gli resta chiara del suo futuro prossimo, l’ultima… che morirà così, senza un solo grido, bocca spalancata, urlo rattrappito, mente svuotata!
Ma eccolo… il filo.
Il filo, il suo filo, improvvisamente esce allo scoperto, sembrava perso, dimenticato, andato, anche lui, come la vita, ormai… Il filo… Il filo gli ripete “stai calmo, nuota lentamente e respira, stai calmo, nuota lentamente e respira…”.
Lui si aggrappa al suo filo, lo ascolta, nuota lentamente e lentamente respira, adagio, con dolcezza, il filo gli indica la via, lo riaccompagna a riva, quella riva che solo un attimo prima sembrava irraggiungibile, lontana, inarrivabile. E che ora, solo ora, percepisci che lei se ne sta lì, serena, immobile, dolce e tenue, nell’infrangersi pacato delle onde sulla sabbia. Un infrangersi dolce, e incantevole. Come questa caletta, qui a Caprera.
Il panico… questo buco nero della umana intelligenza, che tutto riduce, in un attimo, a un ammasso di idiozie. I tuoi pensieri, le tue riflessioni, le tue certezze, i tuoi valori. Eccoti qui, davanti al panico che ti prende, ti sovrasta e quella riva diventa lontana, irraggiungibile, la tua ultima immagine di questa vita. Ma il filo, ti riporta alla tua umana intelligenza, al controllo di te, ce la fa, ce l’hai fatta… e tutto, intorno, torna come prima. Come prima, come un attimo prima. Del panico.

Tornato a riva, sul suo asciugamano, bevuto un sorso di acqua dolce, fingendo un sorriso, riesce solo a dire… “Non ci crederete, sono riuscito a perdere la maschera. L’avevo tolta un attimo, mi è sfuggita di mano, l’ho persa. Ora vado a recuperarla”.
Il suo filo, anche per quella volta, l’aveva tenuto a galla.


Correre, o anche solo camminare, da Caprera a La Maddalena nell’ora del tramonto è una emozione unica.
Se non fosse per quei motorini a quattro ruote che si sono inventati di questi tempi, che ti sfrecciano vicini veloci e rumorosi e che ti fanno tornare alla mente tutto il tuo rancore verso il mondo cosiddetto civile, sarebbe una meraviglia.
Mi accosto a un piccolo slargo dove pascolano, liberi e indisturbati, tre piccoli cinghialetti.
Ma, di fianco, c’è una piccola colonia felina, saranno una ventina fra gatti adulti e gattini, sembra di stare a casa mia! Arriva una signora che porta loro da mangiare e da bere, è una delle colonie feline di Caprera, mi dice, quasi con un certo orgoglio! Ma lei “smadonna”, contro il comune, reo di non occuparsi di quei gatti.
Il marito, rimasto al volante dell’auto, non scende. Bofonchia di far presto, di smetterla di lamentarsi, “ché lo fai tutti i santi giorni!”.
La signora porta solo tanto amore a questi gatti. Il comune non ci pensa, questi gatti devono mangiare e bere tutti i giorni, che poi i cinghiali, quando lei se ne va, si mangiano e si bevono tutto!
Eh già, cara signora, forse sono già tutti troppo occupati col G8.
Al secondo punto dei lavori, metterei la questione “Gatti di Caprera”. Ma dubito che lor signori possano interessarsene. Forse, inizierebbero ad andare via tutti.

La mia corsa diviene più determinata. Mi fermo al passo solo in un paio di occasioni, devo riprendere con cautela. Ma va già bene così. Solo, mi chiedo… passo davanti all’istituto Santa Maria dell’Agonia… termino la corsa, dopo una salita piuttosto impegnativa, ansimando, proprio davanti a un negozio di pompe funebri…
Ma non sarà il caso, da domani, di cambiare percorso?

Una bella doccia e tutto passa, anche i cattivi pensieri. Però, dovrei insegnare ai miei figli che quando uno si toglie l’accappatoio, le maniche, le maniche!!!!… vanno rigirate nel verso giusto e non lasciate arrotolate al contrario.
Glielo dico sempre, ma non imparano mai. Decido che l’unico modo per insegnarglielo davvero, sarà far trovare loro le maniche arrotolate al contrario. Proprio come le lasciano sempre loro. Solo così capiranno…
Mi asciugo, mi rivesto, rimetto a posto l’accappatoio. Ma prima di andare, arrotolo al contrario le maniche.


Eccoci di ritorno.
Anche per quest’anno salutiamo questa meraviglia di isola, angolo di mondo che riassume il mondo.
Prendo i giornali non appena scesi dal primo traghetto, entriamo in un bar per fare colazione e già riesco a rovinarmi questo inizio di giornata, mesto e malinconico, nella dolcezza dell’alba vista sorgere su Caprera e che lasceremo a Caprera.
Mi ostino a chiedere il latte macchiato col latte freddo di frigorifero, lo chiedo in modo preciso, lo sottolineo, di frigorifero, ma niente… e arriva il solito bibitone mezzo stiepidito! Perché non chiedo altro? Un succo, un’aranciata, un bicchiere di Vermentino! Vabbè, è mattina, ma almeno mi accontenterebbero…

La nave che ci riporterà in continente sembra uno spot della Warner e Bross. Ma dentro, di simpatico succede poco. Gente che si getta sui tavolini e sui divani liberi, che occupa posti per dieci anche se gliene servirebbero appena tre o quattro. Noi ci arrangiamo negli oblò. Abbiamo sonno, ci siamo alzati presto, c’è voglia di allungarsi un po’. Ma questo è un dormire circolare, con le gambe all’insù. Pazienza, farà bene alla schiena e alla circolazione. Del resto, non c’è altro.
E’ l’emblema della nostra società contemporanea.
Da piccolo, quando mio fratello finiva nelle colonie aziendali e noi si andava a trovarlo, la domenica, d’estate, sui prati di quelle colline, all’ora del pranzo, intere comitive si chiamavano a distanza, durante improvvisati quanto organizzatissimi, fornitissimi, inesauribili pic-nic sull’erba. Ci si invitava a voce, da lontano, ché quando ci si riconosceva ci si chiamava, non ci si voltava dall’altra parte. Erano tempi in cui ci si accontentava, c’era memoria del peggio e così si viveva e si lavorava più felici, anche a garantire la pensione ai più vecchi. Si andava allo stadio tutti insieme e ci si sfotteva senza mai (o quasi…) litigare.
Ma eravamo appena usciti dalla guerra, c’era bisogno di stare uniti, vicini, insieme. Come a Natale o a Pasqua, quando ci si riuniva in famiglia e si era sempre in tanti.

Oggi, siamo più tranquilli, meno preoccupati e della memoria possiamo farne a meno.
Le guerre le fanno altrove, abbiamo occupato sedie, tavolini e divani del mondo. E ci stiamo talmente comodi che chi rimane in piedi, scomodo, anche con bambini in braccio, che si arrangi! L’importante è garantirsi i propri privilegi. Anche quelli superflui.
Arrivederci, arcipelago de La Maddalena! Riprendiamo la muta e discreta, quotidiana lotta contro scempio e prepotenza, ignoranza e arroganza, insolenza e ipocrisia di una società che, come questa nave, lenta e inesorabile avanza imperterrita verso la sua destinazione, un porto, certo. Ma dalla quale tutti, chi prima chi dopo, dovremo scendere. Comunque, prima o poi.


Il comitato di accoglienza per dipendenti pubblici di rientro dalle vacanze-lampo, ci da il consueto e atteso benvenuto.
File chilometriche sul Grande Raccordo Anulare, camion in lunga fila che sfiatano di lato nuvole di scarichi tossici, ci vogliono due ore per riprendere l’autostrada verso casa. Qui, il bis, con nuove code dovute a traffico intenso e a lavori in corso.
Ma non desistiamo. Abbiamo ancora due giorni di ferie e li passeremo, dopo una sosta a casa per dar da mangiare ai gatti e al cane e per riempire di acqua fresca le loro ciotole, al paesello in Umbria, dove l’8 settembre c’è la festa.
Non è per l’armistizio badogliano del ‘43, ma è per la festa della Madonna locale (credo di Gabriello, ma non ci giurerei…). Intanto, divampa la polemica sui ragazzi di Salò. A dire il vero, sono anni che divampa. Da quando, nel nome della riappacificazione sociale e del revisionismo buonista che ci affligge da anni, questi veri e propri traditori dell’Italia furono accostati ai partigiani. Rispetto pieno per chi muore, rispetto totale per il dolore dei propri cari. Ma giustificare certe scelte solo perché, nel loro nome, si è deciso di morire, proprio no. Il sangue del tuo popolo non si baratta con una ideologia.
E’ quello che fecero costoro, dando in pasto alla belva nazista i loro nemici, politici o razziali. Avrebbero sterminato e mandato a morire nei lager gassificatori migliaia di loro coetanei e non, stesso sangue, stesse usanze, stesse Madonne di Gabriello da festeggiare, la sera, ballando tutti insieme. Lo hanno fatto e lo avrebbero rifatto. In nome della loro scelta. Fascista, filo-nazista, lucidamente violenta e antipatriottica. Semplicemente, servi dell’invasore.

Ma l’8 settembre a Parrano è altra cosa.
Si balla in piazza, al ritmo di walzer, mazurka, mambo, tango, rumba, paso doble e ciaciacià! Non manca mai l’hully gully (ammesso che si scriva così…).
Giovani, anziani, bambini alle prime armi, tutti accomunati da quel semplice stare insieme, da quel fluido roteare intorno la pista da ballo. La fisarmonica impazza, ti viene da gettarti nella mischia sebbene, a guardarli, questi ballerini di provincia meritino il massimo rispetto, non puoi confonderti troppo a loro, perché loro ce l’hanno nel sangue, questi balli, tu no. Tu puoi provare, riuscire a cavartela, dignitosamente, senza sbagliare troppo ma poi devi lasciare spazio a loro. E goderteli, se ce la fai. Perché sono belli da vedere, uno spettacolo nello spettacolo. Fuochi pirotecnici illuminano il cielo già stellato di suo e ti chiedi perché ancora bruciare così soldi per razzi e mortaretti illuminanti che rievocano guerre stellari e ogni anno chiedono il loro tributo di morti sul lavoro. Ma ogni volta, alla fine, ti metti lì e li guardi. Ipnotici, belli, ti ammaliano ogni volta di più, ogni volta di meno, forse, meglio lo scorso anno. Poi, di nuovo il ballo.
Adesso c’è meno gente e allora anche i ballerini più discreti si fanno avanti, non c’è più ressa, si può fare. Ed eccoli, finalmente…

Quei due ragazzi conosciuti poco più che bambini, eccoli!, che iniziano a ballare.
Si divertono, ballando, si guardano negli occhi come tanti anni fa, la prima volta che li hai visti insieme. Loro si, lo sanno fare... Amarsi, ballando. Ballare, amandosi...
Divertono lo sguardo, giocano, fingono movimenti, poi se ne vanno, sulle ali della loro gioventù, che sta maturando, che sta per dare il proprio frutto. La pancia di lei tradisce un’attesa, ma la loro dolcezza alleggerisce tutti i volteggi, fino a farla sembrare un piccolo cuscino sul quale lasciar riposare il corpo di lui. Belli, come solo qui, in posti come questo, puoi vederli. Lontani anni luce dal coattume delle città, teste rasate e beauty center, autoradio a palla e linguaggi tamarri, goffaggine e sciatteria, rime da canzonette in odor di malavita e reality show. Stridenti a tutto ciò, meriterebbero il primo posto sempre e ovunque. Stasera, cari ragazzi, il primo posto ve lo concedo io. Nel mio cuore, nei miei occhi, nel mio desiderio di fortuna, tutto per voi. E che la vita vi possa scivolare addosso come fosse solo, e sempre, una meravigliosa vacanza di mare.

lunedì 25 agosto 2008

rimandato a... settembre!

... solo per dire che riprenderò a scrivere sul blog a settembre.
Nel frattempo, me ne starò a La Maddalena per qualche giorno, poi a Parrano (Umbria) il 6, 7 e 8 dove, la sera, cercherò di promuovere il libro e le attività svolte in Serbia (e non solo) con Un Ponte per... Per adesso, un caro saluto a tutti voi.

martedì 19 agosto 2008

Siti si, siti no...

Mi sono sempre chiesto, quando qualcuno, all’angolo di una strada o a un semaforo, mi chiede soldi, se io riuscirei mai a farlo… Non credo sia cosa così semplice.
Fermare qualcuno che pensa ad altro e parlargli della tua situazione, della tua disperazione o, più semplicemente, parlargli del tuo vivere, testimoniato da quell’atto così istintivo ma pure così complicato e davvero non facile, chiedere soldi… beh, non deve essere semplice.
Io l’ho fatto.
Ho chiesto soldi, ho chiesto aiuto. A gente che aveva altro per la testa. Altri pensieri, altre idee...
Non era per me, era per qualcun altro, insomma, avevo la mia motivazione. Come chi ti chiede soldi per la strada, la sua motivazione ce l'ha. Motivazione che ti permette di infischiartene delle figure che puoi fare, dell’immagine che puoi dare. L’immagine... oggi così importante, tutti si sbattono per una immagine appropriata. Chiedere soldi non aiuta a costruire una immagine appropriata. Io ho chiesto soldi. Alla faccia dell'immagine...
L’ho fatto quando Marko aveva bisogno di fare la spesa tutti i giorni e sua mamma Novka mi chiamava in continuazione. Io non potevo farcela da solo e allora ho chiesto aiuto. Novka e Marko sono stati quasi tre anni in Italia. Non sono pochi…
Ho chiesto anche piastrine, per Marko, che non trovi all’angolo di una strada.
Le piastrine le devi donare, ed è pure cosa alquanto complessa.
Qualcuno mi ha suggerito, preziosamente, che in un blog come questo stona un pochino pubblicizzare un sito dedicato a una squadra di calcio. Che poi è pure la mia!
Il suggerimento era davvero giusto. Ma io voglio dire che tutti i siti qui pubblicizzati, sono siti di gente che mi ha aiutato, che ci ha!, aiutato.
Che ha raccolto soldi e ce li ha dati… che ha mandato gente a donare piastrine, per Marko… Che ha pubblicato lettere o semplici, accorati, emozionanti appelli.
Quando Marko era in sala operatoria per l’operazione al cervello, ho telefonato a Radio Città Aperta e, in diretta ho chiesto piastrine… Quando c’era da chiedere aiuto ho scritto a: il manifesto, che ha pubblicato le mie lettere… E Fusolab ha raccolto soldi… e Lazionet pure… ed altri ancora, fra i quali il Coordinamento Jugoslavia vivrà!, che ancora non ho messo per semplice dimenticanza, si sono rimboccati le maniche. I miracoli non avvengono da soli… Non parlo poi di Un Ponte per… che, esistendo, ha permesso che Marko sia ancora vivo!
Vorrei tranquillizzare tutti.
Non faccio menzione di alcuni siti per semplice simpatia o sintonia o complicità.
Semplicemente, quando Marko e Valerio erano chiusi in un reparto di Ematologia, dove si eseguono trapianti di midollo e Valerio festeggiava il compleanno, avere tute e maglie della sua squadra, la Lazio, da donargli… fargli la sorpresa di portare giocatori della sua!, Lazio, a trovarlo, è stato emozionante. E' stato bello!
Fosse stato della Roma, tranquilli, sarebbe accaduta la stessa cosa.
E quando Marko è dovuto tornare per i controlli dopo il trapianto, avere l’aiuto di un calciatore Serbo, che ora gioca con una squadra di Milano, dai colori nerazzurri ma prima giocava con la Lazio… non ne faccio il nome perché questo giocatore non vuole pubblicità legata a questo tipo di eventi, a differenza di altri calciatori che quando si muovono per ospedali hanno sempre telecamere e microfoni ad accompagnarli… quando questo giocatore, conosciuto da Marko grazie al sito che riporto nel blog, si è offerto di aiutarlo pagandogli i viaggi avanti e indietro per l’Italia, beh, è stata una grossa mano che ci è arrivata. Anche perché, oltre all'acquisto dei biglietti, c’è sempre qualche imprevisto per ottenere in tempo utile il visto di ingresso in Italia (la Serbia non fa parte dell'Unione Europea) e poi c’è il problema dell’accompagno all’aeroporto, con la carrozzina, ché Marko ancora non si muove proprio bene, anche se ha fatto progressi da gigante! Quando tutto questo si risolve per interventi, diciamo esterni, tutto si semplifica.
Credetemi, se lo leggerete quel racconto, Un Pallone… capirete quanto la buona volontà e la tenacia, da sole, spesso non bastino.
E allora, ecco perché qui si riportano alcuni siti, solo apparentemente in contrasto fra loro.
Non per semplice pubblicità o per affinità, diciamo, esistenziali. O, addirittura, per scelta politica! Per carità, la politica!
Non avrei difficoltà (forse...) a nominare un sito, diciamo, di simpatizzanti fascisti o politicamente a destra. Solo che, e questo è un fatto, fascisti o simpatizzanti di destra che si sono prodigati, ad esempio, per Marko, non ce ne sono stati. Direte voi, ma tu non li hai cercati! Ecco, mettiamola così, allora.
La colpa è mia, che non li ho cercati. Che non ho nel Dna, la capacità di ricercare i miei simili in certi posti. Li cerco solo dove dico io. A volte, li trovo pure…
Io ho cercato, ed ho trovato, semplicemente, gente che ha dato una mano. E che merita di non essere dimenticata. Almeno su questo blog. Per siti di altro genere, prego accomodarsi altrove.

giovedì 14 agosto 2008

A srce u Srbiji (col cuore in Serbia...)

Ci sono molti modi di raccontare un viaggio...
Iniziando dagli imprevisti di una partenza alla Stanlio e Onlio e i loro arrivederci, con una macchina moderna, confortevole, capiente e comoda scelta come mezzo per cinque baldi ex giovanotti ma che un dosso mette fuori gioco... addio alla coppa, quella dell’olio, sogno svanito alle 6 e mezza di mattina... fino alla scelta di ripiego, una vecchia ma esperta auto che di viaggi in Serbia se ne intende, uno in più non le farà certo paura...
Oppure, un viaggio lo si può raccontare con i dettagli delle soste, del traffico, delle Vinjete slovene che si pensava fossero dei nuovi fumetti comici dell’ultima entrata in Europa mentre, scoperta deludente e davvero meno divertente, si tratta di tassa da pagare, trentacinque euri, per passare sulle autostrade slovene con la stessa macchina, per sei mesi al massimo...
Oppure ancora, un viaggio lo si può raccontare parlando di quel che è la mèta agognata, in questo caso il festival delle trombe di Guča (si legge Guccia...), del clima respirato, di quell’atmosfera di festa e follia, di quella sensazione di stare per una sera fuori dal mondo e dalla realtà...
Ma un viaggio come il nostro, quello di cinque ex ragazzi che se ne vanno fin laggiù per tre, quattro giorni, due di viaggio, con la scusa del festival ma poi infilano dentro quel povero bagagliaio, esperto si, ma pure davvero molto comprensivo e complice, paziente e caparbio, tanti di quei vestiti, che servono sempre, un computer completo di tutto per quei ragazzi, per quella famiglia, a loro non glielo abbiamo ancora portato, gli servirà davvero, e tanti altri regali... un viaggio così, come lo racconti? Che poi, una volta arrivati, non la vai a trovare Dragana, la piccola Dragana, ultima arrivata nel gruppo ospitato da anni e sostenuta a distanza con Un Ponte per...? E ti accorgi che vive in un posto troppo umido, una stanza di un ex hotel a Vrnjačka Banja, dove alloggiano tanti profughi e sfollati... una stanza proprio come fosse un hotel, ma quella è tutta la loro casa! Però, un computer c’entrerebbe pure, magari la prossima volta lo portiamo a lei... la mamma Jelena ne sarebbe felice!
E poi il papà di Sonja e Ceca, che guida taxi e quando lo chiamiamo non ci fa pagare perché è l’unica cosa che può offrici, ci dice, ringraziando di quel computer regalato loro e dell’ospitalità data ai suoi figli durante l’estate... Grazie di cosa, Slavolijub? Siete, siamo amici, ci sentiamo una grande famiglia, ormai, siamo abituati a sentirci così...
E non vuoi andare a trovare, prima di partire che il tempo è sempre poco, la famiglia di Stefan, Miki e Aleksandar? Hanno la cena pronta per noi, riusciamo a dire di no, proprio non ce la facciamo, ma un caffè e una rakija non si possono rifiutare... E i lavori di ricamo, mamma Božica?

Ne ho iniziati alcuni, ma non trovo il tempo di finirli” – “Dai, a Settembre se li finisci possiamo aiutarti a venderli!” – “Si, va bene!
I ricami... Andiamo a trovare Rosa Lazić, che adesso lavora molto coi giapponesi, ci dice...

Spesso viene anche la moglie dell’ambasciatore a trovarmi. Loro vogliono lavori come questi...” e ci mostra dei guanti di lana che andranno anch’essi ricamati, dei porta bottiglie in tela con motivi a fiori e frutta, tutti rigorosamente ricamati a mano... Rosa ci lascia portare via quei suoi lavori, tovagliette e centri tavola, che cercheremo di vendere e che le pagheremo solo una volta venduti...
Se non mi fidassi di voi, di chi mi dovrei fidare? Prendeteli pure”... Le ordiniamo anche delle tovaglie grandi, per la prossima volta.
Nello stesso centro di Mataruška Banja, vive da pochi mesi Danijela Karadžić con la sua famiglia. Li cerchiamo, li troviamo, Danijela non c’è, è in Bosnia da una zia. Ma ci sono Ivana,ospitata in Italia da quest'anno, Marija e Tomi. Il tempo di scambiare qualche parola e capire che per Ranka, la mamma, poco è cambiato da quando viveva nel centro di accoglienza di Vitanovac. Sono in lista per avere un contributo per ristrutturare una vecchia casa che diventerebbe di loro proprietà. Ranka lavora facendo pulizie nelle case del centro termale. I lavori di ricamo non riesce più a farli, per mancanza di tempo.
Ci sono molti modi di raccontare un viaggio, ma mettersi a fare fettuccine a mano e mangiarle insieme a persone conosciute in questi anni, dopo averne condiviso lacrime e stenti, ma pure gioie e sorrisi, da sensazioni davvero uniche ed emozionanti. Si fanno foto, nostra sorella Novka non sta ferma un attimo, ci sono i suoi genitori coi quali brindiamo insieme, il piccolo Miloš che vuole starci sempre accanto mentre Beba ci racconta come, andando in piscina, abbia imparato a fare i tuffi senza la mano a chiudere il naso... ma stare lì, tutti insieme, mangiare e bere, scherzare e ballare con la musica che riporta alla mèta del viaggio stesso, non puoi raccontarlo in modo banale.
E così, mai da soli, si va anche a Guča la prima sera, affittando un pulmino a prezzo scontato dal nostro amico Rade. Insieme a Saša e Andjela, a Dušan e Zoran, a Tina e al piccolo fratellino Nikola, con Aleksandar, Miki e la mamma, e quanti altri che avremmo voluto vicini, ma non ci è stato possibile raggiungere in questa occasione... si gira per quelle strade invase da musica, caos, follia e divertimento, coi ragazzi che non tornerebbero mai a casa, alla ricerca del momento esatto per lasciarsi andare. Ma il momento è rimandato... al giorno dopo, forse. Quando, in sei nella macchina, noi cinque più Marko, arriviamo a Guča per non andarcene più, se non alle prime luci dell’alba. Orchestre che si alternano in strada, danzatrici più o meno credibili, cambi di ritmo impressionanti, luoghi al coperto dove una decina di orchestre, forse più, sparse fra i tavoli cercano di superarsi a colpi di decibel, grancasse, trombe e tromboni... nel rispetto dei tempi musicali! E allora via, eccolo, forse, il momento esatto, quello cercato, agognato, hai fatto mille e cinquecento chilometri per viverlo, finalmente è arrivato... il momento di lasciarsi andare!

E ti senti bene.
Il giorno dopo sei cotto. Hai dormito poco, devi preparare le ultime cose prima del rientro, incontrare ancora persone. A settembre, qualcuno di noi tornerà di sicuro, perché Marko diventerà maggiorenne. Marko, il figlio più grande di nostra sorella Novka, l’artista della vita, si, proprio lui, diventerà maggiorenne...
Quanto tempo è passato da quella mattina di novembre quando sei arrivato in quella stanza di ospedale col volto spaurito e gli occhi gonfi di pianto per quello che avevi lasciato alle spalle e per la paura di guardare davanti a te, eh, Marko? E quanta gente hai conosciuto, quanta ne hai vista passare, gente che ti ha accompagnato verso questo traguardo che merita davvero che, per una volta, sia Guča a trasferirsi a casa tua! Si, vedrai, ci sarà una bella festa e ci sarà la musica di Guča. E noi, saremo lì con te, ancora. A mangiare, bere, ballare, cantare. Ma, allora, il momento per lasciarsi andare, quello vero, forse, deve ancora arrivare...