domenica 13 ottobre 2013

Ci salverà un soldato?

Domani, 14 ottobre, ricorre l'anniversario della strage che i criminali nazisti commisero a Kraljevo, Serbia, nel 1941. Circa seimila persone trucidate. A ricordare il martirio, i "tronchi spezzati" dello Spomen park, il parco della Memoria, dietro la ferrovia. Priebke laggiù non sanno chi è, Priebke è cosa nostra. Ma, di sicuro, non ce lo vorrebbero, fra quei tronchi...

Ci salverà un Soldato?

C’è la neve nel parco di Kraljevo.
E’ il parco che raggiungi attraversando la ferrovia, prima del campo Rom. Forse, la neve c’era pure quel giorno di Ottobre del 1941, quando i nazisti sterminarono più di seimila persone, compresi donne, bambini e anziani.
Blocchi di pietra come tronchi di albero recisi, a ricordo di quelle feroci rappresaglie e di quelle vite spezzate.
Formano recinti come a dire...
“Noi ci facciamo ancora compagnia, col calore dei nostri corpi che solo in apparenza si sono raffreddati. Non saremo mai soli, finché gli sguardi dei passanti sapranno ancora fermarsi per noi...”.
Ci sono anche blocchi di pietra che riportano, scolpite, date successive al 1941. Sono gli scampati, i miracolati sopravvissuti fra le cataste macellate dell’invasore. Li hanno commemorati anche loro, se lo meritavano.
Ma, di lato, un po’ in disparte, c’è un altro tronco reciso in pietra.
Riporta scolpita la stessa data. Sta lì a memoria di un soldato che si rifiutò di eseguire l’ordine della belva nazista. Non ammazzò, ma fu ammazzato, perché considerato traditore.
Forse, avrebbe meritato di starci pure lui, in quei recinti. O, forse, meriterebbe che altri seguissero il suo esempio. E che si formassero recinti nuovi, ma di alberi veri e vivi, piantati da chi obietta, rifiuta, disprezza. La guerra e i suoi ordini, infami e folli, da eseguire.
C’è la neve, nel parco di Kraljevo.
Forse, come quel giorno di Ottobre del 1941. Ma il calore che sento crescere dentro, quello, questa neve non saprà mai freddarlo. E ce ne sarà sempre, finché lo sguardo del passante saprà ancora fermarsi qui.

venerdì 11 ottobre 2013

Puno srece, Deki! (buona fortuna, Deki!)

Dejan Stankovic, campione della Stella Rossa, della Lazio, dell’Inter... ha lasciato il calcio oggi, con l’ultima apparizione nella sua nazionale, la Serbia, che ha vinto 2 a 0 contro il Giappone, in una gara amichevole.

Il racconto che segue, per far capire chi è Dejan Stankovic,  è del 2008.

Il prossimo 5 febbraio saranno passati dieci anni, dal trapianto, avvenuto nel 2004. Ma quest’anno, a ottobre, Marko non potrà venire per il controllo annuale perché, dalla regione Lazio, ci hanno informati non ci sono fondi per i controlli. Per lui come per tanti altri che, negli anni passati, hanno avuto la fortuna di trovare le cure giuste in Italia. Lacrime di Lampedusa…

Sarebbe facile fare un paragone con i fondi che sempre si trovano per lavori come l’Alta Velocità (già si preparano le cariche dei celerini per la manifestazione, poco istituzionale, del 19 ottobre), o per l’acquisto degli F35, o per garantire gli stipendi a parlamentari e rispettivi lacchè. Ma scado nel qualunquismo, scusatemi.
 ***
un Pallone...


 C’è un pallone, che rimbalza fra sentimento e ricordo, fra amore e scaramanzia, fra speranza e paura, fra gioia e dolore, costruito per fare la spola dall’Italia alla Serbia e viceversa, chiuso in una valigia.
Non lo so, in questo momento, mentre ne scolpisco il ricordo, se riuscirò mai a scriverne la storia completa, sua e dei protagonisti che gli sono stati intorno, che non l’hanno mai colpito a pedate, quel pallone... E se, questa cosa, al pallone avrà fatto piacere. So soltanto che è una storia che dovrà essere raccontata, prima o poi, per non mandarla persa, insieme a mille altre, negli anfratti della memoria. Ma intanto, c’è quel pallone...
Marko era in sala operatoria.
C’eravamo abbracciati, con la dottoressa Anna Locasciulli del San Camillo di Roma. Era un abbraccio rassegnato, triste, solitario e finale, quello che precede la sconfitta ineluttabile che sta per prendere il posto della speranza che stava per realizzarsi. Era stato trovato un donatore di midollo compatibile... speranza bloccata da un destino beffardo e cinico, proprio all’arrivo della notizia.
Marko aveva avuto una emorragia cerebrale, per mancanza di piastrine. Troppe erano state le trasfusioni, si cercava di fargliene, ormai, solo di essenziali.
Troppo indebolito il suo organismo, quella mattina Novka mi telefonò, in preda alla follia... Marko era crollato a terra, in strada, sembrava morto.
In quella sala operatoria avrebbero tentato l’impossibile, ormai si era davanti all’epilogo, ma nessuno aveva il coraggio di pronunciarle, quelle parole... “E’ finita...”.
No, non poteva essere finita e allora avanti col cercare quanti più donatori di sangue e piastrine possibili, avanti con i turni in ospedale a fianco alla mamma, saremo in tanti, sempre presenti.
In uno di quei momenti, drammatici e strazianti, arrivò una telefonata... Era un amico di Marko, un calciatore serbo molto famoso che era andato a trovarlo il giorno del suo compleanno, in ospedale, promettendogli che gli avrebbe presto mandato anche un pallone. Marko aveva conosciuto Deki un pomeriggio di sole, quando andammo a seguirne gli allenamenti e poi nello spogliatoio, a fare foto, a ricevere magliette, a sorridere, felici...
Ma quella volta, sembravano proprio sbagliati tutti i tempi, come dire... No, fermo, Deki, sei in fuorigioco!
Ma il regalo era ormai arrivato al San Camillo, Deki ci avvisava che un suo amico stava lì, fuori dell’ospedale, col compito di consegnare quel regalo, adesso così  assurdo...
Non riuscì ad aggiungere altro.
Andammo, Novka e io, abbracciati verso l’uscita.
Marko era in sala operatoria e non si poteva davvero fare altro che aspettare quelle parole... che nessuno aveva il coraggio di pronunciare. Ma nemmeno si poteva stare a subire passivamente. Così, Novka pregava.
Ad alta voce, ma pregava. Non un dio o, forse anche quello... lei pregava Marko, lo chiamava dal suo cuore, gli diceva di continuare a lottare. Era una litania dolce e discreta, che spezzava il silenzio del dramma, litania sacra, di mamma che non può accettare, dopo tanto lottare, che tutto vada a perdersi così.
Arrivammo all’uscita dell’ospedale, fuori in strada. Giuseppe, l’amico di Deki ci consegnò il regalo per Marko.
In quel momento, presi quel pallone fra le mani e lo guardai... C’era una strana atmosfera, come se proprio in quel momento stesse per iniziare una partita di calcio, fra la vita e la morte...
Un pallone, quel!, Pallone... regalo di vita, simbolo di gioia e gioco, contro quella tragedia che stava per compiersi.
Tornammo in corsia, col Pallone fra le nostre mani.
Da quel momento, come per incanto, poco alla volta Marko si riprese.
Quel Pallone fu l’unica cosa ammessa dalla dottoressa sul comodino durante il trapianto di midollo, che avvenne due mesi dopo. E continuò a starci, ogni volta che Marko ebbe bisogno di tornare per le visite di controllo. Chiuso in valigia, quella del bagaglio a mano, che non si sa mai... il Pallone, quel! Pallone... ci fu sempre.
A ormai quattro anni dal trapianto, Marko, che quest’anno diverrà maggiorenne, tornerà per i controlli.
Il 5 di Febbraio, festeggia un altro compleanno, Marko. Insieme a quel Pallone...
Inconsapevole del tempo ormai prossimo alla fine, in pieno recupero, lanciato in contropiede, il calciatore Serbo ha beffato con un delizioso pallonetto il portiere...
Come fosse il destino di Marko messo davanti la porta della vita, a bloccarla.
Davvero un gran goal, quella volta, Deki!

 

martedì 8 ottobre 2013

Koreni su ovde (le radici sono qui...)

http://www.youtube.com/watch?v=RzgumH7shYY&feature=mfu_in_order&list=UL

Non so perché, in questo buio che circonda, mentre penso a ciò che scriverò di questo viaggio, ho gli occhi umidi…
Mentre ritrovo il calore dei luoghi consueti e ammiccanti, delle quotidiane lotte contro il tempo, che fugge via scontato, ripenso a quelle tende…
A quegli uomini che aspettano…
A quelle famiglie, di notte beffate di giustizia, di giorno illuse di libertà…
A quegli occhi bambini, tenuti lontani con amore, dall’odio…
A quei soldati, trasformati dall’umano contatto, ma pure dall’umana conoscenza, in ex nemici… da complici di un terrorismo finto-indipendentista, etnico-razziatore, delinquente e fascista, svasticheggiante assassino, prezzolato o fanatico che differenza fa, poi ripulito nella ridicola polizia del Kosovo…
Da complici di tutto questo, quei soldati sono diventati deterrente alla violenza e confortevole sicurezza. Per villaggi e monasteri.

Proprio per questo, andranno via, lasciando “giustizia e sicurezza” nelle mani nel neo-Nato-narco-Stato.
Quanta giustizia riceveranno quei volti, così determinati a vivere nella loro terra?
E quale sicurezza potrà rendere, a quegli sguardi, più coraggio di vita?

Fanno paura, tanta determinazione e coraggio!

Fa paura, quel non volersene andare, quel resistere, ad ogni costo, quell’attendere ai propri diritti. Negati, rimandati, posticipati, nascosti, prepotentemente ignorati. E repressi.

Hanno bisogno di stare soli, non vogliono contaminazioni, i monoetnici abitanti del nuovo Kosovo "libero e indipendente"! Libero di cacciare serbi, da sempre in quelle terre, indipendente da nessuno, preda di mafie, malaffare, Usa e basi Nato...

Hanno paura di Rade, anziano signore ormai solo, insieme ai suoi cani, che offre rakija e sorrisi. Amari, ma leali e sinceri…
Hanno paura di suor Isidora, anziana monaca di Gorioć, che aspetta il nuovo giorno legata alla sua fede, che non l’ha mai abbandonata al dubbio…
Hanno paura di Anastasija, piccola principessa nelle braccia, calde e certe, di sua madre…

Si, qualcuno ha paura dei serbi in Kosovo.

Hanno avuto bombe della Nato in appoggio, schieramenti diplomatici, i più imponenti al mondo… potenti lobby americane a sostegno, propaganda globale e soldi, tanti… ma ancora non riescono a liberarsi della presenza dei serbi e dei loro simboli.

Come i monasteri, molti distrutti... a volte più isolati dei villaggi, accerchiati dall’odio rancoroso e villano, in balia e vittime del revisionismo a orologeria, che ne vorrebbe la cancellazione dalla memoria.
Sono tornato a voi.

Quanto siamo simili, cocciuti di ideale, d’una convinzione, di un puntiglio!

Scopro perché amo la vostra esistenza, il vostro orgoglio, la vostra fierezza.
vostro testardo e invincibile fruire del tempo. A voi, a me, il tempo non sconfigge certezza. A voi, a me, il tempo non sconfigge idea. Rimaniamo così, anche soli, se necessario. Ma privi del compromesso, che vuole in cambio l’anima. Siamo simili, ci siamo riconosciuti. Resteremo testardi. E invincibili.
 
http://www.youtube.com/watch?v=RzgumH7shYY&feature=mfu_in_order&list=ULIl

Passero solitario...

Io vado ‘ndo  cazzo me pare.
Fermame co’ le frontiere, se ce riesci. E da magnà me lo trovo da solo, nun me servono ristoranti o bancomat pe’ li sòrdi.
‘Ndo me pare me fermo, annuso, ‘ndo me pare me riposo.

Poi, riparto ma nun metto benzina, ché nun me serve. Solo, un posto sicuro pe’ dormì. Ma tranquilli, me lo trovo da me.

A me, la polizia nun me serve, a me nun chiedono documenti. A me la polizia nun me becca, nun me rinchiude. Mai.

Viaggio, ma nun devo fa affari co’ nessuno, l’intrallazzi nun fanno pe’ me. Viaggio perché libero, me sento così.

E voi, che de tutto questo c’avete bisogno… voi, che me guardate romantici, co’ tenerezza, nun v’accorgete  dell’unica cosa mia che ve manca: la libertà.
Fino a quanno me reggerà la pompa.
Allora, nun ce saranno chirurghi plastici, ortopedici, cardiologi o accanimenti terapeutici. Sarà stato forse un gatto, più giovane e svelto a zompà.
Più de me, che me sarò sentito stanco. De campà.

(Belgrado, quest'anno)

sabato 5 ottobre 2013

“5 ottobre, 2013”

Nato al tempo di vendemmia,
uva che impara a diventare vino,
subito imparasti a fare a meno.
Diventasti così bravo che, quando sarebbe arrivato il più,
non l’avresti riconosciuto.
A forza di fare a meno,
non restò che la tua Ombra
e ti fu pure sufficiente.
Oggi, neppure lei si aggira più fra noi.
E se manca l’Ombra, a mancare è pure il Sole
e, senza Sole, l’uva non matura.
Indicami da che parte sorge,
il Sole,
che a forza di fare a meno,
a forza di farti Ombra,
ti sei scordato di dirmelo…
da che parte stava, il Sole.
Quello che fa maturare l’uva,
quell'uva che impara a diventare vino.