venerdì 27 novembre 2009

SoS Kosovo!

Mancava questo tassello nella nostra presenza nella Serbia del dopoguerra.
Mancava, per provare a ristabilire verità storiche, attualità inconfutabili, certezza di dubbi.
Mancava, perché bisogna conoscere anche le altrui solidarietà, con un popolo che è stato vittima di ingiustizia. E lo è tuttora.
Così, dopo aver conosciuto e collaborato con Gilberto Vlaić e la sua associazione “Non bombe ma solo caramelle”, andiamo a conoscere una fra le voci più preparate della contro informazione sul tema ex Jugoslavia… Enrico Vigna, di “SoS Yugoslavia”.
Da Kragujevac, dove arriviamo in una serata che sembra annunciare proleče, primavera, e non zima, inverno, partiamo la mattina presto del 24 novembre alla volta di Kosovska Mitrovica.
Siamo in sette nel pulmino. Ci sono Rajka Veljović, storica interprete coordinatrice dell ufficio internazionale adozioni e rappresentante per anni, anche in Italia, del sindacato della “Zastava” di Kragujevac, la “Fiat dei Balcani”, testimone militante delle sue disgrazie, ultima in ordine cronologico “l’avvento” della Fiat di Marchionne (vedere i preziosi resoconti di Gilberto Vlaić )… c’è Jasmina Brajković, dell’associazione Malati di Sclerosi Multipla di Kragujevac… e ci sono Milija, Darko, figlio di Jasmina che guida il pulmino e Boris, figlio di Rajka. E poi ci siamo noi, Enrico Vigna, di “SoS Yugoslavia”, che porta a conclusione due iniziative a sostegno dell’associazione Malati di Sclerosi Multipla di Mitrovica e a sostegno di figli di scomparsi, attraverso i padri di Dečani, in Kosovo (SoS Kosovo). E ci sono io, Alessandro Di Meo, di “Un Ponte per…”, da dieci anni impegnato in iniziative di solidarietà con i profughi del Kosovo, quelli fuggiti “dalla parte sbagliata”, come dicevamo in un volantino del 1999, la parte dove non c’erano televisioni ad aspettare… che mi sono aggregato per capire come si muovono anche altre realtà nel Kosovo. Il Kosovo, però, dei serbi ghettizzati, criminalizzati, vilipesi, insultati, defraudati della loro terra, della loro memoria e delle proprie radici.
A Mitrovica salgono con noi anche Žarko, Ilija e Voikan, della locale associazione Malati di Sclerosi Multipla. Continuiamo in dieci, quindi, scortati da una pattuglia della polizia kosovara, alla volta del Kosovo. Passiamo il ponte sull’Ibar, non quello divenuto tristemente famoso, bensì un altro, parallelo, poche centinaia di metri distante.
Visiteremo il patriarcato di Peć dove, fra non molto, verrà insediato il nuovo patriarca che sostituirà il defunto Pavle. Non incontriamo madama Dobrila, che conosco, molto impegnata con i numerosi gruppi di visitatori. La ascolterò da lontano, descrivere le tre chiese che formano il patriarcato.
Fra molti imprevisti e problemi creati dalle pattuglie di scorta della polizia kosovara che si alterneranno (sono poliziotti albanesi, non so quanto felici di farci da scorta) che faranno perdere anche del tempo, arriviamo a Dečani che è già sera. Per le strade di Peć, imbottigliati nel traffico, la pattuglia aziona la sirena per passare prima attirando, in tal modo, la curiosità della gente che subito, in strada o da auto di passaggio, individuando targa serba, inizia l’opera di scherno e minacce, fatta di gestacci e urla.
Comunque, arriviamo a destinazione, non senza aver prima sventato il subdolo tentativo della pattuglia di riportarci indietro, verso Mitrovica, lamentando una mancanza di comunicazione in proposito, prontamente vanificata dalla consegna della corretta documentazione presentata in tempo utile alle “autorità” kosovare...
C’è molta gente, al monastero di Dečani, i tavoli per gli ospiti sono imbanditi, domani, 24 novembre, sarà la festa di Sveti Stefan Dečanski, re fondatore del monastero, venerato come santo. In pratica, la loro slava. Per questo non riusciremo a dormire al monastero. Circa duecento persone provenienti dalla Serbia, ma non solo, lo hanno preso letteralmente d’assalto, e la cosa fa veramente effetto. Assisteremo, comunque, alla funzione delle sei, ipnotica e magica nell’atmosfera serale, scoprendo che anche alcuni nostri militari impegnati a guardia del monastero sono da non molto divenuti ortodossi. Da una parte li capisco. Venuti in missione per continuare il “lavoro” iniziato dalla Nato e dalle sue bombe, si ritrovano nel mezzo di contraddizioni così evidenti da non poter evitare coinvolgimenti emotivi nei confronti di coloro che furono descritti come nemici. E per qualcuno, il coinvolgimento si è manifestato in questo modo. Effettivamente, qualcosa nell’aria c’è di affascinante, di ammaliante, di avvolgente.
Anche io accendo candele nel candeliere, parte bassa rigorosamente per i morti, parte alta per i vivi, dove intreccio fiammelle da mantenere accese. Ma i miei anticorpi, fondamentalmente atei, cercano strade per difendersi, anche se la sfida è alquanto impegnativa.
Riuscirò a incontrare rapidamente padre Andrej, che parla bene italiano e che sarà in Italia dal 30 novembre ad accompagnare padre Teodosije, figura primaria della chiesa ortodossa in Kosovo, col quale mi accordo per un appuntamento. C’è determinazione a spostare il nostro intervento a favore dei serbi rimasti, e in questo il ruolo dei padri di Dečani è davvero centrale.
A tarda sera, non senza aver gradito un piatto di zuppa calda di verdure, dell’aivar (peperoni cotti alla brace, macinati e messi sotto vuoto), del buon riso e del vino rosso, offertoci come rituale dei festeggiamenti, saremo costretti, nostro malgrado (la scorta ci attende fuori, puntuale), a fare ritorno a Mitrovica, dove dormiremo.
Il giorno dopo, 24 novembre, martedì, ci recheremo, sempre a Mitrovica, in una specie di mercatino fatto di piccoli negozi e qualche bancarella apparentemente improvvisata, fra le vie della parte nord che, però, è gestita da albanesi. I serbi ci vanno a fare “shopping”, perché si trovano cose a basso prezzo. Comprerò dei calzettoni, fatti a Prizren, mentre le donne del nostro gruppo, fatalmente, si perdono nei negozietti.
In questa parte, delimitata da bandiere rosse con l’aquila bicefala e dalle immancabili bandiere a stelle e strisce… forse in onore del padre della patria kosovara albanese, Bill Clinton… serbi e albanesi sembrano convivere ancora oggi. E le auto che passano, con targhe albanesi del nuovo Kosovo, con targhe serbe del vecchio Kosovo, con targhe serbe della Serbia o con targhe senza targa, perché immatricolate chissà dove e chissà come… oppure senza targa semplicemente perché sono taxi e, attraversando di continuo i ponti sull’Ibar, non vogliono rischiare troppo… le auto che passano ce lo confermano.
Verrebbe istintivo andare dall’altra parte, quella albanese, ma la cosa viene considerata rischiosa e da evitare. Strano, però, o forse no… che i serbi non possano andare dall’altra parte, attraversando ponti sull’Ibar, quando di qua, al contrario, gli albanesi ci vivono e fanno affari!
Ma tanto è, e ce lo conferma quanto avvenuto pochi giorni fa, quando un gruppo di serbi, per fare visita al cimitero serbo ortodosso situato nella parte sud, ha avuto bisogno della scorta armata che non ha evitato, però, di lasciarli insultare a distanza durante la visita al cimitero, in gran parte distrutto dalla violenza razzista kosovara albanese. Strano anche, o forse no… vedere nella parte nord di Mitrovica, il cimitero musulmano intatto e libero di ricevere visite.
Impossibilitati ad andare ancora a Dečani, dove una funzione religiosa straordinaria avrebbe celebrato il santo fondatore, andiamo in visita a un vicino monastero, quello di Sokolica, situato al di qua del ponte, quindi, per intenderci, nella parte serba oltre Mitrovica.
Pochi chilometri percorsi in salita e ci ritroviamo accanto a un villaggio albanese, ben tenuto e ristrutturato che vede eretta, in una vecchia casa in pietra, una scuola frequentata dai ragazzini albanesi del villaggio. Pare fosse la casa natia di Isa Shala “Boletini”, eroe kosovaro albanese vissuto a cavallo fra fine 800 e inizio 900, precursore del Kosovo indipendente e nominato “eroe del Kosovo” da Ibrahim Rugova nel 2004.
Dubbi, nei racconti di parte serba, sull’eroismo di Boletini, nativo di Mitrovica, ne fanno uomo esperto nella “risoluzione” delle controversie fra clan albanesi. Si dice ci si rivolgesse a lui quando si intendeva, dopo uno sgarbo subito, fare “giustizia”, uccidendo uno di un altro clan.
Allora, trattasi di sicario, prezzolato assassino o di eroe fautore della Grande Albania dove far confluire il Kosovo etnicamente ripulito dai serbi? Nemmeno ai posteri, ormai…
Ma la cosa davvero stupefacente, o forse no… è che in questo piccolo monastero, tenuto da monache, una statua della Madonna col bambino (Sokolica è l’unico monastero ortodosso a esporre al suo interno una statua, anche se pare ve ne sia un altro dalle parti di Prizren, a Orahovac, sud del Kosovo, verso il confine fra Albania e Macedonia) viene adorata e venerata soprattutto dalle donne albanesi con problemi di sterilità, omaggiata di oggetti in argento e oro per ricevere grazia di gravidanza. Questo è uno dei motivi per cui fu risparmiata dalle violenze che hanno prodotto la distruzione di oltre 150 monasteri ortodossi, fra il giugno del 1999 e il 17 marzo del 2004.
Dopo aver constatato di persona le qualità artistiche di queste monache, che stanno affrescando gli interni della chiesa, le loro capacità nel coltivare orto e giardino, arriva l’ora di tornare.
Sulla strada incontriamo indicazioni per altri monasteri, Studenica e Gradac fra tutti. Sarà per un’altra volta. Ci fermiamo per un caffè sotto il fantastico castello di Maglić e ricordi tornano alla mente.
Lascio la bella compagnia a Kraljevo, che è di strada, dove devo assolvere ad alcuni impegni, non richiesti ma moralmente (e affettivamente….) irrinunciabili.
Il tempo è davvero poco, così visito solo alcune di quelle famiglie dove è istintivo, ormai, sentirsi a casa propria. Ricevo inviti per prossimi compleanni di ex fanciulle ormai diciottenni (Tanja Vuković, della quale assaggio deliziosi cornetti preparati nella scuola che frequenta), inviti da estendere ad amici, con scambi di promesse e accordi… fettuccine contro cancellazioni di lacrime da un quadro!
Si incontrano volti aperti e preda del futuro, ma pure volti stanchi e preda di angosce.
Figli con negli occhi speranze di crescita, università, lavoro e vita, padri e madri con sguardi rassegnati, sempre più incapaci e inadeguati ad affrontare realtà quotidiana, fatta di disillusioni, bocconi amari, umiliazioni, lavori dimezzati, malpagati, se e quando, pagati.
Resta la solita alternanza di energia e stanchezza, gioia e tristezza, sorriso e lacrima.
Unica certezza… il pullman dell’una e mezza di notte, dove proverò a dormire, da Kraljevo mi porterà a Belgrado, dove alle sei e quaranta mi attende l’aereo che mi riporterà a Roma e, quindi, al mio posto di lavoro. Poche ore dopo l’incanto di Dečani e Peć, le contraddizioni di Sokolica e Mitrovica, le atmosfere del castello di Maglić e… quelle di Kraljevo. Ma i giorni di ferie sono quasi finiti e non posso passarli tutti in Serbia. E questo è davvero un peccato.

martedì 17 novembre 2009

Liberi da cosa?

Si sono svolte domenica 15 novembre le elezioni in Kosovo dove, c'è da dire, la "democrazia" sta dando i suoi frutti. Infatti, come nei maggiori stati democratici al voto è andata meno della metà degli aventi diritto (45 per cento su 1 milione e mezzo di albanesi).
Per questa parola, "democrazia", c'è poca affinità dunque, con la parola "libertà" che, notoriamente, è sinonimo di partecipazione!!!
Svariati partitini retti da ex criminali di guerra, giocando alla politica si contendono la vittoria, in perfetto stile nostrano. Tutti hanno vinto nessuno ha perso. A perdere, in realtà, sono i kosovari tutti, albanesi e non, in quanto il Kosovo è ormai la controfigura della terra che era. E il trucchetto, ormai, lo stanno scoprendo (alla buon'ora!!!) anche molti di quelli che hanno osannato l'indipendenza dichiarata unilateralmente e contro ogni diritto internazionale nel febbraio 2008.

Ma tanto basta ai governi occidentali per accreditare come democratico un narcostato, violento e illegale!
I pochi serbi rimasti hanno quasi completamente disertato le urne, ovviamente non riconoscendo legalità a queste elezioni farsa. Ma è significativo come nelle zone più interne, come ad esempio Gracanica (di fianco la foto del monastero) e Strpce, si siano raggiunte quote dal 30 e del 23 per cento dei serbi aventi diritto (in pratica, poche centinaia di votanti).

Questo dovuto un po' alla paura di rimanere ancora più isolati dal contesto, un po' per rafforzare il peso della presenza serba in Kosovo, cosa che viene a più riprese chiesta dai serbi delle enclavi e dalla chiesa Ortodossa, ultimo bastione resistente, vero e unico faro dei serbi che continuano a vivere, fra milioni di difficoltà, in Kosovo. Ruolo che la morte del patriarca Pavle (un "sant'uomo", ci confidano molti amici serbi), avvenuta domenica, all'età di 95 anni, dopo 19 anni di patriarcato, rende ancora più centrale.
Intorno alla chiesa Ortodossa ruota, infatti, tutto ciò che resta dei serbi e della Serbia nel Kosovo di oggi. Inoltre, cosa da non sottovalutare per il carico simbolico che l'evento porterà con se, il prossimo patriarca dovrà essere ufficializzato, come vuole la tradizione ortodossa, proprio nel patriarcato di Pec. Cioè, nel pieno di quel Kosovo e Metohija che continua ad accreditarsi al mondo come "liberato". Ma da chi e da cosa, dopo queste elezioni, sembra semplice per tutti da capire... Dal diritto, dalla legalità, dalla partecipazione.