venerdì 12 dicembre 2008

Jelena

Jelena se ne stava in disparte. Discreta, come chi non vuole disturbare.
Eravamo in quella scuola alberghiera per la formazione di tanti ragazzi, la più grande e rinomata, così ci disse il suo direttore, del sud della Serbia.
Le avevo dato appuntamento lì per consegnarle la rata del sostegno a distanza perché lei alloggiava proprio a cinque minuti da quella scuola, a Vrnjacka Banja, rinomato centro termale.
Stavamo passando velocemente col direttore che faceva strada, proprio come un vero manager sa fare. Ma le andai incontro ugualmente per salutarla, lasciando il piccolo gruppetto alla sua corsa. Jelena mi sorrise, e mi disse di non preoccuparmi, che avrebbe aspettato che avessimo finito il nostro giro.
Quando, finalmente, terminammo la visita alla scuola, Jelena ricevette la sua quota del sostegno a distanza. Ci invitò a casa per un caffè, ma andavamo di fretta...
"La prossima volta, Jelena, che ora andiamo di corsa!".
Ci disse che Dragana, la sua unica figlia che avevamo ospitato in Italia l'estate passata, era a scuola e che il computer che le avevamo regalato la volta scorsa lo usava sempre, spesso con le sue amiche, e che si divertivano molto.
Dragana era una ragazzina davvero amabile. Adesso, però, era preoccupata di mantenere la linea, non voleva diventare troppo "rotonda". E così, stava attenta al mangiare...
"Però, a capodanno, la dieta la lasceremo stare tutti! Abbiamo organizzato una festa, tanto per stare tutti insieme e passare una bella serata in amicizia, in attesa del nuovo anno. Verrete? Ci farebbe davvero tanto piacere, avervi fra noi..."
Ma sul volto di Jelena scese, improvviso, un velo di tristezza e di malinconia.
"Dragana verrà, se possibile, e verrà se anche la sua amica, Milijana, verrà. Ma io, io... no. Quando ci sono le feste, io preferisco stare a casa. Grazie, grazie lo stesso".
Aveva perso il marito, Jelena, nel '98. Nel Kosovo, dal quale poi fuggì con la sua Dragana.
Ucciso, come tanti altri Serbi. Fatto sparire, nel nulla, cancellato da tutto, meno che dal suo cuore. Il suo nome era Pera Adzancic.
La successiva guerra del '99, sarebbe stata fatta a difesa dei suoi assassini. Erano passati 10 anni, ormai. Ma Jelena era ancora innamorata di quell'uomo, del suo ricordo. Ci salutammo.
L'avremmo pure accompagnata con la nostra macchina, ma lei preferì tornarsene a piedi, nonostante la neve, nella piccola stanza di quell'ex albergo per operai delle manutenzioni elettriche, messo a disposizione per gli sfollati di guerra.
Sola, con il suo velo di malinconia a ripararle il viso. Dal freddo, insopportabile, della solitudine.

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