mercoledì 16 dicembre 2009

L'Urlo del Kosovo

Non racconterò, stavolta, di missioni, di iniziative, di progetti o progettini, come i professionisti della cooperazione sanno chiamare quelli che in questi anni abbiamo realizzato fra i dimenticati della Serbia. E non farò relazioni. Stavolta no.
Del resto, che c'è da raccontare?
Abbiamo incontrato dignità e disperazione, negli occhi di persone che non sanno più come andare avanti, rabbia e impotenza, negli occhi di chi si batte contro ingiustizie e malattie, vigliacche come le bombe che cadevano dalle nuvole, invisibili quanto gli assassini che le hanno sganciate. Vite che vanno comunque avanti, anche senza un perchè.
E non sembrano esserci più perchè a cui rispondere, oggi. In Kosovo, in Serbia, ovunque.

Il perché di una guerra, che ha regalato storia, arte, cultura, vite umane a mafie e narcotrafficanti, oggi al potere nel Kosovo. E ha consentito l’orribile traffico di organi, espiantati ai tanti serbi fatti sparire nel nulla dal terrorismo Uck, mesi, anni prima della guerra “umanitaria” e per i quali non ci sarà mai più giustizia.


E allora, racconterò del ritorno, fatto di stanchezza, solitudine, crisi e lacrime soffocate.
Per quella figura esile, minuta, furtiva come ombra, nel buio del monastero di Gračanica, che mi veniva incontro. Come anime di purgatorio, ci siamo rivisti, in quel buio, in quella solitudine…
Vi ste Irina sestra?” – “Siete suor Irina?
Da”, "Si", era lei e si è ricordata del nostro primo incontro, quattro anni fa, quando Irina mi raccontò delle sue visite periodiche e sotto scorta, ai pochi villaggi serbi scampati al pogrom del marzo 2004, villaggi nei quali svolgeva la sua professione di medico pediatra, curando e assistendo bambini.
Il volto non è più lo stesso, quello fresco e vivo di allora. Anche il mio non lo è più.
Zima” avanza sui volti, sulle pietre, sulle strade, regno inaffidabile di nervosi e ambigui passanti, che fanno tappa in un caffé. Gračanica di notte.
Inverno” avanza, imbianca destini e ti lascia dentro solo voglia di piangere.
Per tutti quei monasteri che, lontano da Gračanica, rischiano di sparire per sempre. Per tutte le suor Irina che rischiano di non avere futuro nel loro Kosovo e Metohija, da sempre la loro terra, la terra dei monasteri.
Quei soldati davanti l’ingresso del monastero presto se ne andranno. E se non lo faranno loro, lo faranno gli altri, schierati oggi a salvaguardia dei pochi serbi rimasti a vivere, isolati e ghettizzati, nei propri villaggi, mezzo distrutti accanto ai cimiteri dei propri cari.
Lanceremo un appello, fatto di parole, ponderate ed equilibrate, perché tanti possano sottoscriverlo e aderire a quel grido di disperazione e paura che, però, TUTTI!, dovremo urlare al mondo, unendoci a quell’albero, bruciato fin nelle radici ma che Boško ha portato in salvo, strappandolo al Kosovo e Metohija “liberato”, realizzandone scultura a simbolo di tutto il dolore e disperazione di un popolo umiliato, sventrato, avvelenato, defraudato.
Urlo lanciato per tutto quel patrimonio umano, culturale, artistico, a rischio sparizione, ma pure per quell’ombra, che non so togliermi dagli occhi e dalla mente… ombra che avanza, nel buio e nella solitudine di un monastero, uno dei tanti, bellissimo ma spento, isolato e buio, protetto da militari ignari e distanti, stonati e inaccettabili.
Quell’ombra, a simbolo di tutte le altre che il Kosovo inghiotte, ormai da anni, nell’indifferenza generale.
No, scusatemi, ma non mi riesce di vedere né di sentire altro, oggi, se non quel buio e quella solitudine… niente altro, se non quella voglia grande che ti soffoca la gola, impazzisce il cuore, allaga lo sguardo… paura di morire, insieme a tutto questo.

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