Un
viaggio per capire è un viaggio per fare chiarezza, per diradare nuvole, per
riuscire a distinguere, fra le nebbie quotidiane, le cose che hanno valore
nella vita. Un viaggio per capire, è anche un viaggio con e per “Un Ponte per…”,
a raggiungere luoghi e persone dimenticate che noi, però, non sappiamo
dimenticare.

Siamo
davanti a un momento davvero difficile per la chiesa ortodossa serba e per
tutti i serbi del Kosovo e Metohija. La loro libertà, la loro indipendenza, la
loro stessa sopravvivenza è fortemente a rischio. Le trattative fra Belgrado e
Priština vanno avanti ma la sensazione è che, passo dopo passo, la Serbia dovrà
piegarsi al volere della Comunità Internazionale e riconoscere, di fatto, il
Kosovo attuale. Potranno forse spostare il confine doganale sul fiume Ibar,
lasciando i serbi a nord di Mitrovica attaccati alla madre patria, ma per
quelli rimasti nei villaggi all’interno sarà duro il futuro che si prospetta.
Io
espongo le mie preoccupazioni legate alla sempre più forte presenza, nella
terra sacra dell’Ortodossia Serba, di moschee musulmane ma pure di chiese
cattoliche. Molti soldi investiti e mi chiedo perché. La storia non ha segreti.
Queste terre, questo patrimonio culturale e architettonico interessano a molti. Nei
programmi delle scuole albanesi da tempo si insegna come questo patrimonio sia,
in realtà, una sorta di intrusione in un patrimonio pre-esistente. Qualcuno lo
fa derivare, insieme all'origine della stessa popolazione albanese ma senza
alcuna fonte certa, dimostrata o dimostrabile, dagli Illiri e dai Dardani;
qualcuno dagli antichi romani, la cui presenza è stata comunque documentata,
altri dalla chiesa cristiana prima dello Scisma del 1054. In mezzo, secoli e
secoli che sembrano solo una parentesi della storia, da chiudere senza stare
troppo a pensarci su.
Dopo veri e propri tentativi di plagio di una nostra iniziativa, quella sui pozzi, ci
teniamo, come associazione, a prendere le distanze da certe Onlus che si affacciano solo ora in Serbia, legate a doppio filo
con i settori più reazionari della chiesa Cattolica ma anche con l’estrema
destra, xenofoba e razzista, specchietto per le allodole per ingenui e ignari
che si accostano al problema, attratti dalla apparentemente umanitaria attività
di tali Onlus che, in realtà, altro non fanno che da paravento al connubio reazionario, creando confusione e
disorientamento anche tra chi le idee le aveva chiare fin dall’inizio. Come con
la Libia, come con la Palestina, come con la Siria attuale, come con l’Iraq in
passato, le attività trasversali di queste organizzazioni hanno sempre altri
scopi e sempre molto oscuri.
Andrej
sostiene che la chiesa ortodossa Serba è, invece, ancora molto forte,
determinata a contrastare con la sua opera e la sua capacità di dialogo le
derive naziste, razziste, violente e a proseguire nel suo ruolo che,
attualmente, è anche e soprattutto quello di non lasciare soli i serbi nel
“nuovo”Kosovo. Che soli, però, sembrano esserlo sempre di più. E indifesi. E
preda di ingiustizie, soprusi, prepotenze.

“Ti
impediremo di fare figli!”, gridavano in quella cella dove la polizia kosovara
lo aveva rinchiuso. Il ragazzo, di origini albanesi, era troppo amico dei
“serbi cattivi”. Prima della guerra umanitaria del ’99, molti albanesi sono
stati ammazzati dagli stessi miliziani dell’Uck, attuali poliziotti del Kosovo
“indipendente”, proprio perché amici e solo per questo considerati
collaborazionisti dei serbi. Gli è pure andata bene. Hanno rischiato di fare la
fine di ragazzi italiani come Federico Aldrovandi o Stefano Cucchi, ammazzati
perché “troppo irrequieti” per la pazienza dei servitori dell’ordine e dello
stato in cui si sono fatalmente imbattuti. Insomma, questi episodi nel nuovo
Kosovo, voluto fortemente dalle diplomazie occidentali, sembrano davvero “prove
generali di democrazia”.
In
Kosovo e Metohija mi incontro con Ilarion, abate del monastero di Draganac.
Siamo a Novo Brdo, nei pressi di Gnjilane. Qui è Kosovo orientale. Siamo felici
di riabbracciarci e lui mi offre subito da mangiare, dopo avermi mostrato la
cappella dove si svolgono le funzioni in questo periodo di inverno, quando
nella chiesa del monastero è troppo freddo. Ci sono altri visitatori. Justine,
monaco del monastero, ci mostra un pezzo di tronco di albero la cui sezione
riproduce la croce ortodossa in maniera straordinaria. Dopo poco arrivano
soldati Usa della Kfor. Entrano ma non dicono buongiorno. Se ne andranno allo
stesso modo. Del resto, sono venuti in questa terra senza invito, sono
consapevoli del loro saper prendere senza chiedere.

Poi
parliamo del progetto di realizzazione di pozzi artesiani. Ne hanno già finiti
cinque, acquisteranno tutte le pompe necessarie per portare acqua nelle case.
Sono molto impegnati dalla cosa, cercheranno di continuare nella prossima
primavera, tempo permettendo. Ribadiamo la nostra disponibilità di fondi,
chiediamo solo di fare attenzione a non sovrapporre la nostra con altre
iniziative di altre associazioni, per evitare confusione fra i nostri
sostenitori e finanziatori. Per loro è un impegno gravoso, si scusano per
malintesi passati, ma si dicono disponibili a continuare nel progetto, perché
lo ritengono davvero meritevole e utile.

Il
rapporto con questi monaci è forte, la loro presenza è quanto di più necessario
per la gente dei villaggi, sanno che non resteranno soli, ci sperano, come
sperano che sempre ci possa essere da qualche parte una campana e i suoi
rintocchi a ricordare che nel Kosovo odierno, dove è proibita la parola
Metohija, che significa “terre che appartengono ai monasteri", i serbi
continueranno a esistere e a vivere sulla loro terra.
Con
Sonja, del villaggio di Osojane, parlo di queste difficoltà e di come anche per
loro esistano i desideri. Ma sono così diversi dai nostri, che non riesco a
continuare a parlare quando mi dice che un suo desiderio di vita sarebbe, ad
esempio, quello di…
“Viaggiare
in pullman da casa mia, a Osojane, fino a Belgrado senza che si rompa durante
il tragitto impiegandoci un giorno intero!” – “Stare in casa senza la paura che
qualcuno venga a provocare tirando sassi alle finestre o facendo il prepotente
con le auto” – “La sera, passeggiare nelle strade del mio villaggio in
tranquillità, senza paura di incontrare fanatici violenti e razzisti, che non
vogliono che i serbi continuino a esistere in quella che da sempre è anche la
loro terra.”.

Questo
è stato il mio viaggio per capire. Un viaggio dove incontri chi si nutre
dell’essenziale, dove ti rigiri nei pensieri senza trovare risposte, perché
semplicemente non esistono. Dovrai vivere, dovrai lasciar passare il tempo,
dovrai andare avanti, senza dimenticare cosa c’è che ti lega a questa terra.
Ma
un viaggio per capire è anche un viaggio dove senti la fatica dentro. E’ un
viaggio che ti porta altrove, con la testa, con i piedi, con lo sguardo. A
cercare di comprendere cosa ci sia, nascosto dentro te, che ti comprime così
forte il cuore e gli occhi, portandoti a camminare su strade sconnesse e
impervie, dove poter viaggiare senza fretta, ma con attenzione. Cercando, davvero,
solo di capire.