martedì 27 luglio 2010

la Fiat Bomba!

Nell’articolo di Alessandro Robecchi di domenica scorsa su “il manifesto”, “Le newco del mondo libero”, mancava all’elenco un modello di auto: la Fiat Bomba.
Questa potrebbe davvero essere prodotta in Serbia, proprio in quella fabbrica, la Zastava, distrutta dai bombardamenti del 1999. Ci racconta Rajka Veljovic, del sindacato Samostalni, che ormai non esiste più, messo all’angolo e lasciato senza i secondi…
“Nel 99 fummo uniti a difendere la Zastava. Stavamo dentro, invitammo le maggiori testate televisive europee per dire che non avremmo abbandonato quella che era la nostra seconda casa. Ma ci bombardarono lo stesso.”.
L’intera intervista è riportata nel film-documentario “L’urlo del Kosovo”, che in questi giorni esce unitamente al libro di cui Tommaso Di Francesco ha scritto appassionata recensione il 23 luglio.
Quella che era la Torino dei Balcani, la città jugoslava di Kragujevac e quella che era la Fiat dei Balcani, la Zastava, furono bombardate senza nessun tipo di remora o ritegno, il giorno della Pasqua ortodossa, mandando in frantumi strutture, macchinari e… uova pasquali, colorate e pronte da distribuire fra i lavoratori. In un vortice dove tutto si mischia, vita e morte, dramma e grottesco, lacrime e scoppi di risate, fu bombardata quella che era la seconda casa di questi lavoratori, così come tutta la Serbia e così come tutto il Kosovo, ultima amputazione in ordine cronologico della Jugoslavia, ultimo schiaffo in faccia a i Serbi.
A Kragujevac un inquinamento ambientale spaventoso dovuto alle fuoriuscite di materiale tossico e oli combustibili usati nelle lavorazioni industriali, ha causato e causa tuttora, nascite con malformazioni e l’insorgenza di malattie tumorali mentre i profughi, che da Kragujevac a Kraljevo vivono sparsi in decine di migliaia, molti dei quali provenienti dalle fabbriche satelliti della Zastava, in particolare da Pec, nel Kosovo occidentale, hanno reso, loro malgrado, la situazione di vita quotidiana drammatica per tutti. Cacciati senza nessuna possibilità di ritorno dalla loro terra, dalla loro vita, nel giro di poche ore dal 10 giugno del 1999, con la Kfor che assisteva “distratta” alle violenze dell’estremismo panalbanese, vivono spesso di sussidi, aiuti, e lavori saltuari. Lavoro diventato una chimera anche per chi lo aveva sempre avuto garantito.
Salari che non arrivano ai 200 euro, prezzi che salgono alle stelle, le verdure più semplici che arrivano anche a un euro al chilo, mentre rasenta i due euro al chilo la carne, senza contare le spese fisse per elettricità, riscaldamento e altro, con il dinaro che ogni mese perde punti, (dall’inizio dell’anno a oggi è passato da 95 per 1 euro ai 105 attuali), se non fosse per le secolari capacità di adattamento alla tragedia delle donne e degli uomini di questo popolo, sarebbe la catastrofe.
E invece, eccoli che ancora resistono. Si resiste a Kragujevac, città che nell’ottobre del ’41 vide intere generazioni di uomini e ragazzi e adolescenti ammazzate in un giorno e mezzo dalla belva nazifascista. Oggi un parco ricorda quell’eccidio al cui confronto le nostre Fosse Ardeatine diventano una carezza. Sa sopportare la gente di Kragujevac il destino avverso, ci vuole ben altro che un Marchionne qualunque per piegarla. Ma questa contrapposizione fra lavoratori italiani e serbi fa molto male, soprattutto a loro. Perché nella sede del vecchio sindacato campeggiano alle pareti le foto della solidarietà, che ancora unisce i lavoratori italiani e serbi, attraverso i sostegni a distanza di centinaia di famiglie di operai o ex operai della Zastava. Dalla Fiat non è arrivata una lira, ancora oggi, mentre dai lavoratori delle varie organizzazioni sindacali la solidarietà non è mai mancata, da quel maledetto 24 marzo 1999 fino a oggi. Non avrebbero mai pensato di doversi trovare coinvolti in queste strumentalizzazioni, vere e proprie guerre fra poveri.
Dalla Fiat, che prima delle bombe era solita mandare panettoni, sono arrivati solo diktat e imposizioni che hanno avuto, come conseguenza, licenziamenti in massa, subappalti, ritmi di lavoro disumani, perdita di garanzie e diritti, impoverimento dei salari, perdita di futuro.
Bisogna che questi ponti fra lavoratori italiani e serbi non vengano distrutti dalla superficialità e dalla propaganda, così come vennero distrutti tanti ponti della Serbia durante i bombardamenti. Vogliono le guerre fra i poveri, ma è ora che i “poveri” comincino a guardare oltre il loro stretto utile quotidiano, perché ci sarà sempre qualcuno più ricattabile pronto a fare gli interessi di manager e aziende senza scrupoli. E gli stessi lavoratori dovranno diffidare dei tanti, soprattutto politici che, a parole, sono con loro ma poi, nei fatti, li lasciano soli. Chi sta rischiando davvero di essere ridotto alla fame, sono soltanto loro, i lavoratori. Pensano di ridurli a più miti pretese, tenendoli sotto ricatto. Ma potrebbero sbagliare e dare modo alla solidarietà di avere il sopravvento.
E allora, questa Fiat Bomba davvero potrebbe diventare un veicolo affidabile, da prodursi in cooperazione Italo-Serba. La Fiat Bomba, della solidarietà.

1 commento:

балканска девојка ha detto...

fantastico e realmente triste questo post !