Caro Noodles, mi è capitato oggi di sbrigarmi per tornare a
casa.

Da quel giorno in cui ti prendemmo, dentro una scatola di
cartone, con tua sorella, sono passati più di tre anni. Era un primo maggio, passato
fra cibi biologici e tavoli di solidarietà, fra vino e libri. Tua madre era
morta e cercavano qualcuno che si prendesse cura di due minuscoli esseri quali eravate
tu e tua sorella. Ti si dava il latte con una siringa, siringa che, per te, non
c’era bisogno di premere: succhiavi quel latte con una forza impensabile. E
poi, con la nostra Lepa che da poco aveva partorito tre cagnolini, non avevi problemi a ciucciarle
latte, mentre la accarezzavo e tenevo quelle piccole "belve" dei suoi cuccioli
chiusi in cantina, che non ti avrebbero certo permesso di startene comodo lì, a
scorazzarle sulla pancia! Tua sorella non ce la fece, troppo debole e troppo
poco disperatamente attaccata alla vita, come invece ti dimostrasti tu.
Ti viziammo già da allora, ma eri un piccolo orfanello,
vittima di un grave deficit di “accudimento” e tu, ogni volta, ce lo ricordavi,
facendo il “pane” e attaccandoti ai nostri maglioni come fossimo Lepa di quei
giorni. Fra i cuccioli di Lepa c’era Vago, che tenemmo e che divenne nostro e
tuo grande amico, anche se, quando entravate in casa a coppia, come due gringo
in un saloon, lui ti andava sempre a fregare rimasugli di cibo nella tua ciotola.
Ma lo tolleravi, con l’aristocrazia tipica del gatto che si chiede, facendo le
proprie pulizie sulla sua poltrona:”Ma ‘sto plebeo di cane, che ci fa qui?”
E adesso?
E adesso basta. Ti sei preso tutta la scena come meglio non
avresti potuto. Tu non sei sparito come gli altri, senza lasciare una traccia,
un biglietto, un verso, no... tu sei rimasto qui, fino alla fine. E ti ho
trovato. Non è stato bello, sai? No, non è stato bello andare verso la cantina
per posare cose e vederti, piccola macchia bianca nell’oscurità, giacere a
terra senza vita. Altri, prima di te, sono spariti nel nulla, lasciando ferite
mai completamente rimarginate. Gastone, Mocciolo, Virgola... tu no, tu sei rimasto. E ti
ho trovato.
Si, adesso basta con il solito tornare a casa e sbirciare,
fra parole di circostanza, se ci sei o no. “Prendete gli zaini, le buste della spesa le prendo io” e, con la coda dell’occhio ma soprattutto del cuore, vedere se spunti
da qualche parte, da un cespuglio, da dietro un vaso, dal tetto, da sotto un
tavolo, da sopra una gatta. Basta.
Basta col cercarti fra mille sensazioni, basta col pensarti
fra i mille pericoli di una vita davvero felina, una o tre, cinque o sette vite
che importa? C’eri, tornavi, ti si rivedeva, tutto svaniva in un lampo: “Oh, ecco
il buon Noodles!”. Eri ancora tu, come sempre, tutto poteva riprendere coi
soliti ritmi del tuo viverci accanto.

Sei stato un grande, Noodles. Ma, come nel film “C’era una
volta in America”, avessimo puntato su di te, avremmo perso. E oggi, abbiamo
perso.
Ora c’è un salice a farti compagnia. E’ piccolo ma ha buone
radici. Se avrà la tua stessa voglia disperata di vita, ce la farà. E ti terrà
accanto, in quel letto che ti ho preparato stamattina, all’alba, una scatola
avvolta in un telo a ripararti dall’umidità. Un letto annaffiato dalle nostre
lacrime, che uscivano inarrestabili e improvvise e così dolci per te, nel
ricordo delle tante risate assieme. Dalla "tua" finestra, adesso quel salice si vede bene. Da quella finestra, continueremo a cercarci.
Che la terra ti sia lieve, buon Noodles. E
che sappia custodire tutto di te, come un segreto dentro una piramide.
p.s. Ti ho messo del cibo, accanto. Dovessi mai svegliarti,
avresti sicuramente fame. Buonanotte, Noodles.