martedì 12 luglio 2011

Però, mia figlia deve guarire.

Eccomi in viaggio, in questa Serbia che arresta i propri generali per consegnarli in manette a chi l’ha umiliata, vilipesa, derisa, tradita, ferita, squarciata, offesa con bombardamenti, demonizzazioni, embarghi economici feroci, isolamenti.
Ma vuole l’Europa, questa Serbia, come fosse un dovere, quasi fosse colpa sua se questa Europa è una fregatura.
Entro nel pullman di linea che mi porterà a Kraljevo, da Belgrado. Oggi è caldo, ma il cielo di Belgrado è di un azzurro splendido, brillante, da paesaggio nordico.
Partiamo, il pullman non ha condizionatore e c’è un caldo afoso e inesorabile.
Ma il taciturno autista, non appena fuori dalla stazione, apre la porta anteriore.
Io sto seduto sul primo sedile, proprio vicino alla porta e la cosa mi fa piacere. Viaggiamo così, in barba a ogni regola, Del resto, fa troppo caldo, qualcosa bisogna pure inventarsi.
Agli incroci delle strade vendono cocomeri. E’ stagione. L’autista si accende una sigaretta e getta cenere dal suo finestrino che, puntualmente, rientra da quello dopo. Al casello chiude la portiera. C’è la polizia.
Superato il casello dell’autostrada, però, è di nuovo fresco, è di nuovo aria, è di nuovo ventilazione naturale.
Viaggio in solitudine.
Mi sento bene, la mia testa diviene improvvisamente sgombra, libera, pulita. Un po’ come questo cielo oggi, libero da grigie nubi, pieno di se. Mi riempio dell’essenziale, che oggi è il vuoto.
L’autista ha smesso di fumare ma sposta le cose sul cruscotto che stavano per volare via, guidando con una mano sola, in discesa, sull’autostrada. Nessuno sembra preoccuparsi. Lui sa quello che fa.
Si, sto davvero bene. Il viaggio mi rasserena.
Penso alla prima volta, subito dopo i bombardamenti “umanitari”, quando venivo a scoprire un mondo che non conoscevo. L’autista del pullman fuma molto e, adesso, sputa pure dal finestrino.
Non si fa!, quello dietro è aperto. Ma la cenere è più leggera, la porta il vento. Lo sputo no. Lo sputo pesa. Porta catrame, nicotina, inquinamento, disprezzo. Per una vita che non è più vita.
Salgono passeggeri dove non ci sono fermate, questo è davvero autobus per povera gente. Costa poco, rispetto agli altri. Salgono lavoratori che tornano a casa dopo il lavoro, pure loro avranno da sputare il loro sangue, il loro catrame, il peso di una vita che si fa sempre più dura.
Chiedo al bigliettaio se mi possono far scendere non alla fermata ufficiale ma vicino al mio hotel, che è di strada. Naturalmente non fanno problemi, si può fare. Saluto, mangio qualcosa da solo, vado a dormire, sereno e leggero. Domani sarà Kosovo. Domani sarà pure Metohija, la terra dei monasteri. E’ il nome giusto per quella terra.
A Dečani il sole filtra dalle finestre della chiesa. E’ bello. Ma io accendo un cero, di quelli grandi. Mia figlia non sta bene, me lo hanno detto al telefono. Niente di che, ma dentro sento qualcosa che non va. Allora accendo il cero, chiamo il suo nome. Dentro la chiesa, stavolta, anche io pregherò.

Con padre Petar visito alcune famiglie che verranno sostenute a distanza. Ho bisogno dei loro dati. E il solito rituale si svolge. Si arriva, si stringono mani, si chiedono nomi. Le storie, sembrano sempre le stesse.
Ma le persone no, quelle cambiano ogni volta. Prima di conoscere questa nuove famiglie abbiamo consegnato i sostegni a distanza a nove famiglie che avevamo conosciuto a novembre scorso. Alcuni dei loro figli verranno in Italia a Settembre, in una iniziativa di conoscenza e scambio. Petar scatta foto a me e ai bambini. Sono foto belle, vive, piene di amore. Stiamo facendo cose importanti, anche se piccole e minime. Ma di più non riusciamo e questo, in ogni caso, sembra davvero molto, vista la considerazione che c’è per quel che si fa.
A Raušić passiamo vicino alle case distrutte dei serbi. E’ il passato che va a braccetto col presente, fatto di cimiteri ortodossi invasi da sterpaglie, con le lapidi distrutte, in frantumi.
A Djurakovac c’è la chiesa ortodossa anche lei invasa dalle sterpaglie mentre, poco distante, una nuova moschea lucida e bianca e brillante, fa sfoggio di se.
Visitiamo la famiglia di Zvezdan Arsić, una di quelle che andremo a sostenere dalla prossima volta.
Mi colpisce l’aspetto di quest’uomo, malato e gracile, che fa della terra la sua unica fonte di sostentamento.
Solo che, ci dice, da cinque giorni hanno tagliato l’acqua e non può annaffiare il suo orto. Che sta rinsecchendo, così come i fiori nei vasi che Zvezdan ci mostra, sconsolato e tenero. Tutto intorno mi sembra povero, abbandonato, rassegnato. Padre Petar mi mostra, anche se ormai le conosco bene, quelle che erano le case dei serbi: distrutte. Ma mi dice, anche… “Le case dei serbi le riconosci bene perché o sono quelle distrutte che si incontrano nel paesaggio, o sono quelle piccole, piccole…”.
E’ vero. Qualcosa gli hanno ricostruito a questi serbi ostinati che non vanno via o che sono tornati. Ma sono davvero architetture minimali. Due stanze, un cesso, un tetto. E basta. Spesso, costruite vicino alle vecchie case, andate in rovina, saccheggiate e depredate. Quello che eravamo, quello che siamo diventati.
Ma alla Serbia che vuole l’Europa, tutto questo appare davvero lontano.
La notte a Dečani è incantevole, anche se triste e preoccupata. Mia figlia non migliora, la cosa sembra più seria di quello che appariva all’inizio. Dormo col cellulare acceso, in attesa di qualche messaggio rassicurante. Che non arriva.

“Io, io… le metterò da parte le mie idee.
Non starò a ripeterle ancora, come ho fatto in questi dodici anni. No, basta. Mi arrendo. Mi dichiaro sconfitto. Non le rinnegherò, ma nemmeno starò qui ancora a difenderle, come fossi un Don Chishotte dei tempi moderni.
Ve la do vinta, tutto quel che avete sempre affermato e sostenuto, anche con bugie secondo me, sulla Jugoslavia, sulla Serbia, sul Kosovo e Metohija, ve lo riconosco buono. Non mi sentirete più. Mai più. Però…
Però proprio voi, che avete sostenuto che in Kosovo era in atto una pulizia etnica… che andava fermato il dittatore pazzo sanguinario, Milosević… che andavano arrestati i suoi complici, come Mladić… voi che avete affermato ovunque e sempre e con forza che la Serbia andava fermata, perché il suo nazionalismo esasperato stava producendo tragedie, calpestando diritti umani, violando leggi e regole internazionali… voi.. voi… come potete tollerare tutto questo, adesso, in silenzio?
Voi che avete abbracciato, facendo vostre, le motivazioni di interventi considerati umanitari, cosa fate oggi? Dove è la vostra umanità, davanti a persone come Zvezdan?
Io non ero e non sono d’accordo con voi, ma il mio è un parere poco importante. Ma voi che avete difeso, a vostro modo di vedere e di dire, diritti umani, e che pensate di sostenerli ancora, ieri come oggi, non sono forse umani i diritti anche di queste persone? E perché, allora, ve ne state in silenzio?

Perché restate in silenzio davanti ai tanti serbi scomparsi, ai quali hanno forzatamente espiantato organi, immessi nel mercato clandestino per finanziare movimenti di liberazione che fanno sfoggio, nel Kosovo “moderno e liberato”, di bandiere USA da balconi e tetti, quasi fossero le loro? Perché voi, si proprio voi, oggi, non dite nulla?”

A Dečani si incontrano i vescovi di Žiča, monastero vicino Kraljevo, un tempo sede del patriarcato e di Raška e Prizren, quindi della Metohija. Sono Hrisoston e Teodosije.
Nell’omelia Hrisoston esalta il ruolo, fondamentale per i serbi che resistono, dei monaci di Dečani.
Petar deve servire messa, “ho il servizio”, ci dice.
Alla fine saluteremo lui e Isaja, mentre Andrej lo salutiamo per telefono. Speriamo di rivederci presto.
Alla frontiera fra Serbia e Kosovo un poliziotto fa l’occhiolino in modo evidente e spudorato a Vesna, la ragazza della Croce Rossa che ci ha accompagnato, facendo anche da interprete.
Così vanno le cose, così sembrano proprio andare.
Mentre lasciamo Kosovska Mitrovica, sulla strada del ritorno inizia a piovere. Speriamo la pioggia arrivi da Zvezdan, e da quelle famiglie che non hanno acqua per il proprio orto. E speriamo pure che quel cero acceso, mantenga la sua luce a lungo. Mia figlia deve guarire.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

E te lo auguriamo col cuore,
nonostante a volte dissenta dai toni da te usati ti seguo sempre con passione.

Un abbraccio

Sajkaca ha detto...

Complimenti per il tuo lavoro e il tuo blog. Domani quando accenderemo il kandilo farò una preghierina anche per tua figlia, sperando che stia meglio! un abbraccio!

Alessandro Di Meo ha detto...

grazie, Sajkaca. E grazie Marco.